Il Pd stravince e trova in Matteo Renzi il suo leader
di Fabio Grandinetti
La politica italiana si riduce ancora una volta ad una questione di leadership. Le Europee appena concluse non sono state un referendum sull’euro, una contesa tra europeisti e euroscettici – come d’altra parte la campagna elettorale aveva lasciato presagire – ma una scelta tra il giovane premier, il guru d’opposizione e il vecchio Cavaliere, tra la speranza, la rabbia e il revanchismo, per dirla in parole renziane.
Ebbene, non ha vinto la speranza, non ha vinto l’Europa, ha stravinto Matteo Renzi. Il Pd, seppur in pieno stravolgimento ormonale, ha raggiunto un risultato storico: era dal 1958, dalla Dc di Fanfani, che un partito non sfondava la soglia del 40%. Un dato che non può essere ignorato dai rivali al Nazareno e alla Casaleggio Associati. Sarà stata la capacità di bucare lo schermo, o l’immagine di un governo giovane e quasi istericamente riformatore, o la paura dei grillini, o il tracollo dell’area moderata e conservatrice. Sta di fatto che il premier, a dispetto dei toni pacati e composti delle reazioni post voto, è oggi un leader più forte, popolare, affascinante, legittimato a governare non tanto dalle consultazioni europee in sé, ma dal trionfo elettorale che da esse è scaturito. Un primo ministro che si appresta a guidare il semestre europeo forte di un’affermazione al di là di ogni più rosea aspettativa, che fa del Pd la delegazione più numerosa nel gruppo del Pse. Il centrosinistra italiano ha finalmente trovato il leader che per anni ha cercato disperatamente e in nome del leader sembra pronto a sacrificare la logica collegiale e correntistica che finora lo ha caratterizzato. E non importa se alle promesse dovranno fare seguito i risultati di medio e lungo periodo, non importa se l’elettorato italiano mostra tutta la sua scabrosa volatilità ad ogni tornata elettorale. Quando un leader strizza l’occhio in maniera tanto ammiccante e trasversale al popolo italiano è lecito attendersi un altro “ventennio”.
Soprattutto se si considera che il risultato delle Europee ci consegna un sistema partitico nuovo di zecca, in cui balza all’occhio l’assenza di un asse stabile di centrodestra. Angelino Alfano è costretto a salutare in “gazebiana” maniera le aspirazioni di leadership e ad Arcore farebbero bene a dare inizio alle audizioni. Fi, Lega, Ncd e Fdi raccolgono insieme poco più del 30%, dieci punti in meno del solo Pd. «Fi mantiene il ruolo guida nella coalizione», è il mantra ripetuto dai fedelissimi di Berlusconi, ma la battaglia con Grillo per il ruolo di contendente principale del Pd è persa. Mentre i rivali di una vita trovano il leader, il centrodestra assiste mestamente alla dipartita del proprio. La tempistica, forse, non è casuale ed ora si dovrà tamponare l’emorragia di consenso brancolando nel buio.
A proposito di sangue, la coltellata al cuore mimata da Grillo è l’immagine della sconfitta del M5S. L’inedita prudenza mostrata dai poveri portavoce Lombardi e Morra domenica sera e la conferenza stampa annullata del mattino seguente sono i segni di una sconfitta dolorosa e inattesa. La pugnalata al cuore è stata l’unica “dichiarazione” ufficiale del M5S fino al video pubblicato sul blog, in cui il comico ha confermato l’acume analitico che da sempre lo contraddistingue dicendo quello che nessun politico dovrebbe mai dire, prendendosela con l’elettorato, accusando i più attempati di egoismo e di becero calcolo elettorale. Ma abbiamo troppa fiducia nelle capacità di lettura dell’opinione pubblica di Grillo e Casaleggio per non pensare che sia forte in loro la consapevolezza che il problema risiede altrove. E anche per il M5S il problema sta nella leadership. Da punto di forza alle politiche a tallone d’Achille alle europee, la comunicazione di Beppe Grillo è stata fin troppo violenta, trionfalistica, sfrontata e misera di contenuti. «Stavolta bisogna che la gente capisca che dobbiamo fare un culo così a tutti – aveva dichiarato meno di due mesi fa – perché su una cosa non ho dubbi: o vinciamo, o stavolta davvero me ne vado a casa. E non scherzo». E il M5S non ha “non vinto” come Bersani l’anno scorso, ma ha straperso le elezioni. Ma Grillo non farà alcun passo indietro. I suoi attivisti dovranno convivere con l’imbarazzo e saranno costretti a ripetere «ma lascia stare Grillo, noi siamo il M5S». E come loro, ma per ben altri motivi, Enrico Berlinguer e Fabrizio De André non potranno mai prendere le distanze da Grillo e dal suo movimento. Più che i commenti sul culone della Merkel, a indignare dovrebbe essere l’appropriazione indebita di sensibilità e personaggi commessa da chi ha la faccia e mostra solo il viso.
L’Europa contro l’austerity sterza a destra
I popoli europei, le nostre genti
(la culla della civiltà moderna)
le palle han grosse come una cisterna
per colpa dei politici fetenti.
L’austerity riporta alla caverna,
è dura metter cibo sotto i denti,
lavoro non ce n’è, siamo agli stenti.
Qui serve una rivolta, ma fraterna.
E infatti contro banche e potentati
i popoli europei picchiano duro:
populismo e movimenti di destra
vengon su come funghi coltivati.
L’endemica incertezza del futuro
li spinge a mangiar sempre ‘sta minestra.
Matteo facci sognare!
E adesso Matteo facci sognare,
tante cose hai promesso, e tutte belle.
Hai fottuto Berlusca e i cinquestelle
e il Partito è poco più che un calzare.
Ora vedi di non far marachelle,
molla il vezzo che hai di sgambettare.
Non hai più scuse per non governare,
dalla bici t’han tolto le rotelle.
Da sanare hai un Paese un po’ in affanno:
i giovani, il lavoro e le riforme.
E bada, tu l’hai detto: come un treno!
Tu certo eviterai che il disinganno
di te faccia un bersaglio per le torme.
Siam tutti dietro a te, ma stai sereno!