Amarcord: Lampros Choutos, il predestinato che non giocava mai

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Predestinato. Un termine del quale forse nello sport si abusa, al punto che basta essere dotato di un discreto talento per venir etichettato così ed attirare di conseguenza aspettative forse più alte della realtà. Lampros Choutos, invece, predestinato lo era per davvero, ma nella sua carriera non è riuscito ugualmente a rispettare le altissime premesse che c’erano su di lui.

Lampros Choutos nasce ad Atene il 7 dicembre 1979, 1 metro e 77 per 74 kg di peso forma, professione centravanti, ma non di quelli statici, bensì un attaccante moderno, bravo ad occupare l’area di rigore ma anche ad uscirne per favorire l’inserimento dei compagni, nonché dotatissimo balisticamente al punto da essere considerato una notevole minaccia anche per i tiri dalla distanza. Choutos impressiona diversi osservatori sin dai tempi in cui frequenta la scuola media, peraltro spesso marinata per andare a giocare a pallone con gli amici o con comitive improvvisate, purché si riuscisse ad organizzare una partita andava tutto bene. In famiglia gli rimproverano di bighellonare troppo e studiare poco, ma lui in testa ha soltanto un’idea: diventare calciatore. E le doti le ha, tanto che, superato agevolmente il provino, entra a far parte del settore giovanile del Panathinaikos, una delle società più importanti e blasonate della Grecia. E’ il 1993 e Choutos lascia a bocca aperta allenatore, compagni e perfino qualche giocatore della prima squadra che si ferma a guardare gli allenamenti dei ragazzini e resta folgorato dal talento di quell’attaccante che sembra nato col pallone attaccato ai piedi: ha forza, carattere, voglia, capacità di apprendimento, insomma tutto quello che ci vuole per scalare ad ampie falcate le gerarchie calcistiche.

Passa qualche mese e il nome di Lampros Choutos inizia a girare con insistenza nell’ambiente romanista, sono diversi i procuratori e gli scout del club giallorosso che riempiono relazioni dettagliate ed entusiastiche che poi riportano al presidente Sensi e a Bruno Conti che cura l’intero settore giovanile giallorosso. Il giovane centravanti greco viene così invitato a Trigoria per sostenere un provino: è lo stesso Conti, assieme a Roberto Pruzzo, a visionarlo e gli bastano pochi minuti per capire quel ragazzino non deve tornare a casa senza prima essersi impegnato con la Roma. L’ex campione del mondo convince Franco Sensi e Choutos entra nelle giovanili della Roma con l’etichetta di bambino prodigio, anche se la strada che porta al successo è lunga e deve necessariamente passare per l’apprendimento della lingua italiana, l’educazione, la disciplina e la scuola. Choutos in allenamento si impegna, sui banchi molto meno: in classe è spesso distratto, guarda dalla finestra con aria annoiata, gli insegnanti lo riprendono di continuo perché è indolente e gli unici momenti felici degli anni scolastici sono quelli con un altro ragazzino promettente e di tre anni più grande di lui: Francesco Totti. I due diventano amici, sono entrambi guasconi, amano le risate e gli scherzi, molto più dei libri; però l’amicizia con Totti aiuta Choutos ad ambientarsi, il giovane greco impara la lingua e quando indossa gli scarpini da calcio ritrova d’incanto determinazione e concentrazione, i portieri delle squadre giovanili della Roma non ne possono più delle bordate scoccate dalla punta ellenica che puntualmente si infilano in porta esattamente dove aveva previsto lui.

Nel 1995 Choutos è già in Primavera nonostante non abbia compiuto neanche 16 anni. Qualcuno domanda a Bruno Conti se non sia un salto precoce, ma il dirigente risponde: “Gli allenatori mi dicevano che lui si annoiava coi coetanei, che non serviva a niente lasciarlo lì a segnare 30 gol in partitella, non si divertiva lui e non capivano niente gli altri“. Altro che predestinato, Choutos sembra proiettato ad ampie falcate verso la prima squadra e in effetti il tecnico Carlo Mazzone lo tiene d’occhio, spesso e volentieri lo fa allenare con i grandi dove il greco ritrova Francesco Totti, ormai lanciato verso il ruolo di titolare dell’attacco romanista. La vita calcistica di Lampros Choutos ha la sua svolta il 21 aprile 1996 quando la Roma ospita all’Olimpico il Napoli e la giovane promessa nata ad Atene è in panchina; è l’85’ quando Mazzone fa un cenno a Choutos che da qualche minuto si sta riscaldando a bordo campo: “Dai che tocca a te“, gli dice l’esperto tecnico romano. Al ragazzino si ferma quasi il cuore, poi Marco Delvecchio segna la rete del 4-1 per la Roma e la sostituzione può avvenire: Choutos esordisce in serie A a 16 anni e 4 mesi, prendendo peraltro il posto del suo amico Totti che gli fa l’occhiolino e gli sussurra: “Fai quello che sai fare“. Il debutto è da brividi, Choutos sembra davvero un bambino, gli occhi sgranati, i capelli ricci tagliati corti, il fisico non ancora sviluppato completamente. Un debutto che potrebbe essere coronato perfino da un gol se l’attaccante greco non si facesse prendere dall’emozione calciando addosso al portiere Taglialatela un perfetto assist di Aldair. Ma pazienza, è già tanto quello che è accaduto in quel 21 aprile, anche se Mazzone e la Roma sono chiari con lui: questo è stato un premio, ma da domani torni in Primavera.

Nell’estate del 1996 l’ambiente romanista parla molto di Lampros Choutos, i cronisti locali si chiedono se il nuovo allenatore Carlos Bianchi lo terrà in pianta stabile nella prima squadra o meno. Choutos va in ritiro con i grandi, fa perfino le foto ufficiali sia coi compagni che da solo, quelle che poi vengono utilizzate per l’album delle figurine e, in tempi più moderni, per i siti internet di statistiche. Ma quello che sembrava il trampolino di lancio verso una carriera importante resta un unicum: Choutos viene dimenticato dalla Roma e resta in Primavera a segnare caterve di gol sperando che prima o poi qualcuno si ricordi di lui. Quando a Bianchi viene fatta qualche domanda sul giovane attaccante greco, il tecnico (spesso dopo aver battibeccato con l’interlocutore, ritenuto inadeguato a parlare di calcio poiché non ex calciatore) glissa, dice che arriverà anche per lui il momento giusto, basta aspettare. Ma Choutos aspetta e nulla accade, neanche dopo l’esonero di Bianchi e l’arrivo in panchina di Zdenek Zeman nel biennio 1997-1999. Il bomber ellenico è il simbolo della Roma Primavera, ma dalla prima squadra nessun segnale, tanto che in molti si chiedono cos’è che non vada in quella punta così brava a vedere la porta e a cui non viene data nessuna opportunità; i tifosi telefonano alle radio capitoline e spesso chiedono ai conduttori: “Abbiamo perso tempo a far giocare Fabio Junior e Bartelt, perché non provare Choutos?“.

Qualcosa sembra cambiare a luglio del 1999 quando sulla panchina della Roma arriva Fabio Capello. Choutos ha ormai vent’anni ed ha capito che se non riesce ad emergere ora rischia di rimanere un eterno incompiuto; Capello ha stima di lui, apprezza il suo modo di interpretare il ruolo dell’attaccante, molto moderno, capace di far movimento e non restare fermo in mezzo all’area come un palo della luce: “Non voglio vigili urbani in area“, urla Capello in allenamento, invitando i suoi attaccanti a muoversi senza dare punti di riferimento. Domenica 29 agosto 1999 la Roma esordisce in campionato sul campo del Piacenza e Choutos va in panchina; i giallorossi vanno in vantaggio con Francesco Totti, ma vengono rimontati a dieci minuti dal termine dagli avversari. Capello allora tenta il tutto per tutto e all’84’ manda in campo Choutos al posto di Montella, anche se il risultato non si schioderà dall’1-1. Per il greco è la seconda presenza in serie A, arrivata a tre anni e mezzo di distanza dalla prima e con la speranza che non sarà l’ultima. Capello sembra apprezzarlo, lo tiene in prima squadra, gli fa giocare anche uno spezzone di gara nel ritorno del primo turno di Coppa Uefa contro il Vitoria Setubal ed un altro in campionato contro la Juventus all’Olimpico. E’ il 17 ottobre 1999 e sarà quella l’ultima presenza di Choutos con l’amata maglia giallorossa, perché da allora per lui gli spazi si chiudono, Capello vede la squadra in difficoltà e preferisce affidarsi agli elementi più esperti, ad uno zoccolo duro formato da 13-14 giocatori. Per il greco non ce’è più posto e a gennaio torna in patria dove firma un contratto a titolo definitivo con l’Olympiakos Pireo, la società più celebre e vincente del paese, che versa alla Roma 10 miliardi di lire per il cartellino dell’attaccante.

Inizialmente sembra che i giallorossi debbano mangiarsi le mani per la cessione, dato che Choutos contribuisce attivamente alla vittoria dello scudetto dell’Olympiakos realizzando 7 gol in 13 partite, un bottino tutt’altro che disprezzabile. La stagione successiva, 2000-2001, porterà paradossalmente alla Roma la gioia più grande con la conquista dello scudetto dopo 18 anni di attesa, e a Choutos l’evento che di fatto chiuderà la sua carriera; dopo 3 reti in appena 6 presenze di campionato e dopo esser diventato un pilastro della nazionale greca under 21 con ben 15 gol in 10 apparizioni, infatti, l’attaccante dell’Olympiakos si infortuna ad un ginocchio e deve operarsi. La società gli propone l’intervento col medico di fiducia del club, ma Choutos ne sceglie un altro ed è come se realizzasse un clamoroso autogol perché il chirurgo sbaglia qualcosa, il ginocchio non torna come prima, anzi, il calciatore fatica anche a reggersi in piedi e deve tornare sotto i ferri. Fra interventi e riabilitazione, l’ex romanista perde oltre un anno di lavoro che per un atleta professionista è come se un esperto di informatica non rimanesse aggiornato per dieci anni. Torna in campo nella stagione 2002-2003 a campionato in corso, offre il suo contributo realizzando ben 10 reti in 20 partite, la media perfetta di un gol ogni due incontri, ma nonostante ciò sente che qualcosa nel suo fisico non gira più come prima, il ginocchio gli fa male quando viene sollecitato troppo, non sopporta i carichi di lavoro estremamente alti ed è costretto a fermarsi diverse volte. Colleziona 8 presenze e 2 reti nella stagione 2003-2004, la prima in cui l’Olympiakos non riesce a conquistare il titolo nazionale, il 30 giugno 2004 il suo contratto col club del Pireo non viene rinnovato e Choutos si ritrova disoccupato ad appena 25 anni.

Gli viene in soccorso l’Italia, stavolta la chiamata non arriva da Roma ma da Milano dove Roberto Mancini è fresco di nomina come allenatore dell’Inter ed ha bisogno di una punta di riserva, possibilmente poco costosa e consapevole del ruolo da comprimario che andrebbe ad occupare. Choutos accetta, Mancini è stato uno dei suoi idoli da bambino, come potrebbe rifiutare una simile proposta da lui, dall’Inter, dalla serie A e nel momento in cui si ritrova senza contratto? A Milano sta bene ma non va mai neanche in panchina, allora l’Inter a gennaio gli propone il prestito all’Atalanta e Choutos accetta senza rifletterci più di tanto. E sbaglia, perché il tecnico atalantino, Delio Rossi, afferma subito che Choutos non giocherà mai perché lui punta su altri attaccanti e il greco serve soltanto per far numero. Ma ormai è fatta, l’ex romanista si impegna in allenamento, spera di essere utile ai bergamaschi che tentano una complicata rimonta salvezza, ma poi finisce puntualmente in tribuna e Rossi gli preferisce il giovane nigeriano Makinwa, il croato Budan e l’attaccante Sinigaglia che di gloria ne ha avuta poca anche in serie B. Il 29 maggio 2005, all’ultima giornata di campionato e con l’Atalanta ormai retrocessa aritmeticamente in serie B, Delio Rossi fa esordire Choutos al 78′ sul campo del Siena al posto di Lazzari, unica apparizione del greco con la maglia atalantina. Tornato all’Inter per fine prestito, l’attaccante ellenico viene girato nuovamente a titolo temporaneo, stavolta in Spagna al Maiorca dove resta fino a gennaio segnando 2 reti in 9 partite e tornando in Italia alla Reggina, ma anche in riva allo Stretto brilla poco, gioca 9 spezzoni e non segna mai.

Tuttavia, l’Inter se lo riprende e stavolta lo tiene in squadra, è lo stesso Mancini nell’estate del 2006 ad affermare che Choutus gli sarà utile, nonostante il parco attaccanti interista sia affollato di campioni come Ibrahimovic, Crespo, Cruz, Adriano e Recoba. E’ un’altra stagione senza acuti per il greco che, quantomeno, riesce a giocare tre spezzoni di partita, due in Coppa Italia contro Messina ed Empoli, uno in campionato proprio all’ultima giornata il 27 maggio 2007 entrando all’80’ al posto di Mariano Gonzalez nel 3-0 dell’Inter neo campione d’Italia contro il Torino. Briciole o poco più, poi il ritorno in Grecia nel Panionios dove Choutos giocherà un anno e mezzo segnando 12 gol, quindi una breve parentesi al Paok Salonicco (9 presenze, nessuna rete), infine l’ultimo ritorno in Italia quando nella stagione 2009-2010 gioca in serie C1 con la maglia del Pescina, formazione abruzzese della provincia di Avezzano, con cui disputa 18 partite segnando anche 3 reti, le ultime della sua carriera, chiusa a 31 anni nell’anonimato e senza aver rispettato quasi nessuna di quelle svavillanti premesse di cui tutti parlavano fra la metà e la fine degli anni novanta. Ha provato a cercare ancora squadra dopo il 2010, ma senza riuscirci e dicendo definitivamente addio nel 2013, restando nullafacente per tre anni prima di intraprendere un percorso come consulente sportivo.

Le statistiche dicono che Lampros Choutos ha vinto 5 scudetti (4 in Grecia ed uno in Italia) ed una Coppa Italia, oltre a 4 titoli di capocannoniere nelle giovanili della Roma. Sarebbero risultati di tutto rispetto, ma il contributo che l’attaccante ellenico ha fornito è stato pressoché nullo, se si eccettua il primo campionato con l’Olympiakos. Mancanza di fiducia nei suoi confronti? Carattere? L’occasione giusta arrivata nel momento sbagliato? L’intervento chirurgico sbagliato? Di tutto un po’, probabilmente, sta di fatto che Lampros Choutos ha vissuto una carriera ai margini del grande calcio, ne ha rasentato il perimetro senza mai caderci dentro, dice di non aver rimpianti, ma chissà se è vero. Per gli appassionati più incalliti, la domanda è ancora oggi ricorrente: ma che fine avrà fatto quel centravanti greco che nelle giovanili della Roma segnava gol a grappoli? Eh già, strana storia quella di un predestinato che non ha di fatto mai giocato.

di Marco Milan

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