Caso ebola, Tor vergata: “Il nostro cerotto la fermerà!”
È un “cerotto”. Ma alquanto “speciale”. Trasparente e traspirante. Resistente all’acqua e funzionante senza batteria. L’ing. Stefano Milici lo ha ideato per la sua tesi di laurea. Poi concretamente sviluppato e perfezionato dal gruppo di lavoro coordinato dal professor Gaetano Marrocco, presso i laboratori dell’Università di Roma, Tor Vergata. È in grado di misurare la febbre. E può trasmettere dati a distanza. Ma non solo! È, potenzialmente, una soluzione assolutamente innocua e altrettanto efficace per arginare l’emergenza virale da ebola. E non finisce qui. La tecnologia RFID (Identificazione a Radiofrequenza), ovvero la piccolissima tecnologica interna al cerotto, si può usare per molto altro ancora. E se distribuita nell’ambiente e/o sul nostro corpo aiuterà a vivere meglio. Abbiamo incontrato Sabina Manzari, una giovane ingegnere biomedico che lavora attivamente nel team in questione. E le abbiamo chiesto di raccontarci i segreti del cerotto e del futuro degli RFID.
Ing. Manzari, pochi giorni fa nel sito del vostro gruppo www.pervasive.ing.uniroma2.it , è stato scritto: “sarebbe possibile usare cerotti RFID negli aeroporti in caso di emergenze sanitarie quali ebola e/o aviaria”. Come? Ci può spiegare meglio?
In alcune emergenze, come recentemente per SARS ed Ebola, è importante monitorare la temperatura di persone potenzialmente infette per evitare il diffondersi del contagio. Si può quindi immaginare di equipaggiare i passeggeri negli aeroporti con il nostro sensore epidermico e controllare poi la loro temperatura nei vari momenti di transito, per esempio durante gli usuali controlli di sicurezza senza insormontabili cambiamenti alle procedure già esistenti. Il sensore di temperatura integrato nel microchip presente nel dispositivo rivela variazioni di un quarto di grado fino a 65 gradi. Il cerotto, che è resistente all’acqua e traspirante, si può applicare, per esempio, sul braccio e non è sempre attivo: entra in funzione quando si trova in un campo elettromagnetico e invia informazioni solo se interrogato. L’antenna, presente nel cerotto, raccoglie l’energia elettromagnetica necessaria ad alimentare il microchip che si accende e, a comando, esegue una lettura della temperatura del corpo e trasmette il dato verso un dispositivo interrogante fino alla distanza di due metri in modalità passiva (senza batteria). Quest’ultimo può essere un lettore portatile, grande quanto un portachiavi oppure un varco simile a quelli che si trovano nei negozi per il controllo degli oggetti acquistati. Inoltre, il dispositivo potrebbe essere utilizzato negli ospedali e nei centri di soccorso da campo dove le unità di lettura potrebbero essere installate nelle porte di accesso dei vari locali in modo da monitorare lo stato di salute di medici e infermieri che interagiscono con pazienti già contagiati, individuando e isolando situazioni critiche che richiedano maggiori approfondimenti.
Ipotizziamo una pandemia e la necessità di diffondere questa “tecnologia preventiva” su amplia scala. Di che tempistiche e di che costi, a livello nazionale e internazionale, stiamo parlando?
È prematuro dare una risposta precisa a questa domanda. Ma il costo del cerotto, una volta industrializzato, sarebbe di pochi euro. E quindi ampiamente diffusibile su larga scala.
Risponda ad una critica: questa tecnologia è una sorta di “grande fratello” in versione miniaturizzata? C’è qualcosa, in natura, alla quale vi siete ispirati o essa è completamente frutto della tecnica e dell’ingegno umano?
La tecnologia RFID (Identificazione a Radiofrequenza) esiste già da molti anni ed è stata sempre utilizzata per scopi prettamente logistici, come sostituti dei codici a barre. Tag RFID sono ad esempio gli stessi patch anti-taccheggio che già troviamo nei libri o nelle etichette dei vestiti. La nostra “invenzione” è stata aggiungere funzionalità sensoristiche wireless a questi dispositivi molto semplici. Non lo definirei come un “grande fratello”, bensì come una realtà aumentata equipaggiata da tag RFID in grado di trasmettere a distanza informazioni su stato e salute di cose, persone e ambiente.
Quindi, in poche parole, cos’è un radio-sensore basato sulla tecnologia di identificazione a radiofrequenza (RFID)? Come funziona?
Un dispositivo RFID si compone di due elementi principali: un chip con una memoria ed un’antenna. Questi dispostivi possono trasformarsi in strumenti di rilevamento e sono silenti finché non sono vicini allo strumento che permette di leggere i dati rilevabili: accostando loro un lettore, anche integrabile in uno smartphone il dispositivo si attiva in modalità wireless tramite campi elettromagnetici e trasmette i dati conservati nella memoria del microchip. Le stesse etichette anti-taccheggio o usate per logistica tramite l’opportuna integrazione di sensori analogici o digitali possono essere in grado di “sentire” l’ambiente in modo discreto ed economico.
Parliamo del momento presente. In quali contesti la tecnologia RFID è già realmente utilizzata e operativamente efficace?
Come dicevo sopra le applicazioni per logistica sono le più diffuse: Le soluzioni su tag a 125/134 kHz trovano campi applicativi nella tracciabilità animali domestici e di allevamento (cani, mucche, ecc.), immobilizer per auto (sono ormai contenuti in tutte le chiavi di apertura e avviamento delle auto, moto, camion, ecc.), apertura serrature (settore alberghiero e controllo accessi). Le soluzioni su tag a 13,56 MHz trovano applicazioni per la tracciabilità (alimentare, prodotti, etc), borsellini elettronici non bancari (villaggi vacanze, discoteche, logistica in generale, etc), per carte bancarie, tessere documenti di identità elettronici, titoli di viaggio elettronici, sistemi di bigliettazione elettronica per metropolitane, treni, autobus, moneta elettronica per Macchine Distributrici prodotti alimentari, pagamenti vari… I tag UHF ISO 18000 leggibili in teoria fino a 10m, sono dedicate alla logistica sia interna che esterna d’azienda, ma anche per la protezione del marchio o prodotto da clonazione (brand Protection) ed in generale dove si necessita di tantissimi tag e pochi lettori in proporzione al numero di tag. Le soluzioni con tag 2,4 GHz e oltre si usano per per la mobilità (Telepass e similari) e gli interporti.
6) Parliamo del futuro prossimo. Quali gli sviluppi più possibili?
Sicuramente, la sensoristica RFID è lo sviluppo futuro di queste etichette passive. Infatti, la tecnologia di identificazione a Radiofrequenza potrebbe rappresentare la reale svolta per la diffusione di sensoristica ambientale e per la salute umana nell’ambito dell’Internet of Things. I vantaggi rispetto ai dispositivi già in commercio sono numerosi: I tag RFID non hanno bisogno di batterie o manutenzione, sono a basso costo e relativamente semplici e non invasivi. Possono essere muniti di diversi sensori che monitorano temperatura, umidità, pressione, luce, movimenti, etc….
Una ultima domanda. Visto tutto quello ci ha appena detto, tra quando sarà realmente possibile l’Internet Of Things, ovvero la trasformazione di Internet nella Rete delle Cose?
L’Internet of Things è già presente al giorno d’oggi e rappresenta l’interconnessione wireless di oggetti e cose unicamente identificabili. Recenti studi ci dicono che già ora la quantità di dispositivi fisici connessi a Internet è maggiore dell’intera popolazione della Terra ed è in continua ascesa grazie alla crescente presenza delle reti WI-FI e internet 4G-LTE. Il passo successivo sarà la connessione a Internet di oggetti di tutti i giorni con in più la funzionalità di fornire dati statistici e sensoristici.
di Eloisa De Felice