Tra incudine e martello. La generazione in saldo di Underemployed

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di Beatrice De Caro Carella

A qualche mese di distanza dalla chiusura della sua prima stagione, approda in Italia la una nuova sitcom di MTV. Protagoniste, le generazioni smarrite dell’oggi; dietro al concept, la penna di Craig Wright, sceneggiatore di punta tra Lost, Six Feet Under e Brothers & Sisters, che dopo la sfortunata Dirty Sexy Money, torna all’attacco, firmando per la nota TV via cavo il soggetto di Underemployed – Generazione in saldo

La serie, tuttavia, rischia parecchio, perchè batte il ferro ancora caldo di tematiche affatto nuove al panorama seriale contemporaneo. Underemployed, infatti, cavalca l’onda del filone pseudo-tardo-adolescenziale, tornato in voga, che cerca di raccontare il senso del presente: tra dilemmi già visti, neonate emergenze, vecchi rimedi e nuovi equilibri. Impossibile per la giovane serie, dunque, sottrarsi al confronto con Girls e Workchoolics.  Serie coeve, già di successo. Anche se l’unica domanda da porsi a visione conclusa é se la neonata, tra le due, morirà infine d’incudine o piuttosto d’un ben assestato colpo di martello.

Girls è un prodotto HBO (True Blood, I Sopranos, Game of Thrones). Universo, declinato al femminile, di problematiche da precari stagisti contemporanei. Quattro giovani donne, inghiottite dal trambusto della metropoli, che lungi dal viverlo da protagoniste, lo attraversano da outsiders senza slanci. Esplicito (e quasi doveroso d’altronde) il riferimento a una delle serie culto degli anni ’90, Sex & The City, le cui disinibite protagoniste fanno oggi capolino tra i ricordi quali testimonial, fuori moda, d’un epoca d’edulcorato ottimismo e desueta aggressività femminista. La prospettiva di racconto, qui intelligentemente ribaltata, e adattata al presente, racconta in Girls, invece, di giovani donne dalla psicologia ben più sfumata e controversa; tra dipendenze materiali, psicologiche, bisogni fittizi e sogni di concretezza e realizzazione, che devono ancora fare i conti con la consapevolezza tardiva d’essere divenuti adulti. Per cominciare ad apprendere l’antica arte del compromesso.

Workchoolics, viceversa, passa la parola ai ragazzi. Impiegati d’ufficio, sottopagati, sfigati. Sciupafemmine falliti. È la controparte maschile, altrettanto controversa, d’una realtà psicologico-relazionale che tutti ci accomuna. Cambiano i toni, che da comico-celebrali divengono grotteschi, ma lo sostanza è la stessa. Anche se l’emittente, Comedy Central  – Scrubs, South Park per citarne un paio – detta uno stile inconfondibile.

Underemployed sembra voler riunire gli opposti, per abbracciare un’ipotetica prospettiva d’insieme su tutte quelle insicurezze e incertezze proprie delle precarie generazioni di laureati di oggi. Al centro, un gruppo misto d’amici che ha condiviso ogni cosa e si prepara adesso ad affrontare il mondo, sicuro delle sue reali chance di conquistarlo. C’è chi sogna di cambiarlo con la sua musica, chi di raccontarlo con le sue parole, chi vuol solo apparire e sfondare con indosso un paio di slip firmati Calvin Klein, chi abbraccia una filosofia eco-friendly e chi, molto più banalmente, vorrebbe solo divenire parte integrante del dorato mondo della vita aziendale.

Senza infamia e senza lode, la complicata vita dei cinque ragazzi di Underemployed  “si fa guardare” e strappa anche qualche sorriso. Nel mezzo, qualche edulcorazione di troppo, toni smorzati, accenni di buonismo e una ricetta semplice per la felicità, che vince nella vita, forse, ma poco convince sullo schermo: l’unione fa la forza. I nostri fantastici cinque sono amici per la pelle, pronti a correre in soccorso l’uno dell’altro all’accendersi d’un immaginario bat-segnale; pronti ad accettarsi per quello che sono, e ad incoraggiarsi a vicenda a scoprire chi sono, nella convinzione che la corsa all’oro della società che i nostri padri hanno costruito per noi non rappresenti in fondo il vero traguardo al quale agognare.

La sitcom di MTV, insomma, per quanto gradevole, non lascia il segno. Racconta poco e indaga ancor meno. Gli ascolti, per una volta, sono dalla parte del pubblico, se non altro ancora potenziale; per una scelta, vista l’abbondante offerta, almeno consapevole.

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