Camere aperte. Uno studio di Openpolis da i numeri sul Parlamento.

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di Emiliana De Santis

Camere Aperte 2013 è il Rapporto sull’Attività del Parlamento nella XVI Legislatura presentato al Senato lo scorso 5 febbraio. Numeri e grafici che spiegano più di mille parole ma che non vogliono affatto essere un giudizio di merito: si tratta di indici e valori che, opportunamente analizzati e confrontati tra loro permettono all’utente di capire di più e meglio l’attività di Montecitorio e Palazzo Madama, oltre che approfondire specifici temi e monitorare gli eletti di Camera e Senato.

Lo studio, alla sua terza edizione, analizza un arco temporale che va da aprile 2008 a dicembre 2012, prendendo quindi in considerazione sia l’operato del Parlamento nel suo complesso, sia quello dei Governi Berlusconi e Monti, quest’ultimo ormai al rush finale in vista del voto del 24 e 25 febbraio. Nelle intenzioni dei curatori, i  dati – raccolti tramite la piattaforma online di Openpolis e dai siti istituzionali – vogliono fornire un quadro schematico, misurabile e allo stesso tempo esaustivo a tutti coloro che intendano consapevolmente usare la propria cittadinanza e quindi informarsi su come realmente vanno le cose nei palazzi della politica. Naturalmente un dato, in sé, non dice nulla e non può cogliere tutte le sfumature dell’umana natura che pure si celano dietro a una qualsiasi misurazione. C’è inoltre da precisare che è esclusa dal Rapporto l’attività delle Commissioni poiché non è pubblica: nell’introduzione è di fatti specificato che Openpolis aderisce al movimento italiano e internazionale che chiede che i dati pubblici siano aperti, lo stesso che si è fatto promotore e sostenitore dell’adozione dei FOIA in Italia, come spiegato su Mediapolitika del 28 gennaio. Al momento infatti, i redditi degli onorevoli e dei senatori, i bilanci dei due rami parlamentari e le spese dei gruppi – sebbene introdotto l’obbligo di rendicontazione – sono visibili solo previo consenso (il partito in questo senso più trasparente è l’Italia dei Valori, seguito dal Pd) e solo ad uso interno ossia attraverso i server di Camera e Senato.

Alcuni numeri. Nel 2012 i nostri rappresentanti hanno lavorato per ben 2717 ore al Senato e 1995 alla Camera (poco più di tre ore ogni giorno a Palazzo Madama, ancor meno a Montecitorio), e i più operosi sono stati l’onorevole Bruno Donato del Pdl e il senatore Carlo Vizzini dell’Udc-Svp. Il tema trattato con maggiore frequenza negli ultimi quattro anni è stato l’economia e il ricorso al decreto legge molto frequente: 115 ddl presentati di cui l’84% approvati. Facile quindi intuire, confrontando il dato con le percentuali relative all’iter legislativo, quanto spesso e quanto forzando la mano – come ammonito più volte dal Presidente Napolitano – i governi siano ricorsi a questo strumento d’urgenza e al voto di fiducia in mancanza di una solida maggioranza e in situazione di scarsa governabilità. L’operosità dei parlamentari, definita come indice di produttività, è stata altresì calcolata in base all’efficacia acquisita dai provvedimenti loro presentati: ogni gradino aggiuntivo nel lungo iter di approvazione di un disegno di legge, fa acquisire punteggio al parlamentare che se n’è fatto promotore apponendovi la prima firma o essendone relatore in aula. Da qui emergono anche il consenso che taluni parlamentari o disegni di legge hanno, valutato in base alla firme raccolte e alla presenza ai lavori e alle votazioni. Restano esclusi il lavoro di lobbying e predisposizione, spesso lungo e faticoso, e quello istituzionale (Presidente o Vice presidente di Commissione, Giunta, Comitato, Capogruppo o Questore) ma, come sottolineato prima, trattasi di elementi non quantificabili, almeno non fino a quando alcuni dati resteranno esclusi dalla pubblica fruibilità.

Evidente ma quasi scontato, che il 77% delle leggi approvate nella legislatura sia stato di impulso governativo mentre in soli 90 casi su 8590 un dl di iniziativa parlamentare è arrivato al sì delle Camere. Antefatto e conseguenza delle risicate maggioranze e dell’assiduo ricorso alla blindatura, ottenuto con il voto di fiducia, peraltro sudato ma sempre concesso. Segno della necessità non solo di avere un parlamento più compatto e governabile ma anche coalizioni coerenti e coese, nonché una riforma che regoli i poteri dell’esecutivo, in questo modo comunque esercitati ma interpretando estensivamente il dettato normativo.

I numeri non parlano da soli. Tuttavia, in un sistema democratico, sono importanti per capire e quindi per prender consapevolezza ed esercitare un controllo su quello che, oggi come oggi, sembra essere sempre più oscuro e lontano.

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