Gianluca Vialli, il combattente che ha fatto penare anche la morte

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Non è stato un finale di 2022 piacevole per il calcio, non è iniziato bene neanche il 2023. Dopo Sinisa Mihajlovic e Pelé, infatti, se ne va anche Gianluca Vialli, colpito oltre 5 anni fa da un aggressivo tumore al pancreas che non gli ha lasciato scampo, portandoselo via a soli 58 anni fra lo sgomento di un mondo che lo rimpiange e non riesce ancora ad accettare una fine così ingiusta.

Per un’intera generazione, Gianluca Vialli è stato il centravanti per eccellenza, il bomber che faceva gol in rovesciata, il combattente con la voglia di vincere che non lo abbandonava neanche nelle amichevoli, il trascinatore che lottava, sbuffava, si innervosiva, era antipatico agli avversari perché li faceva correre più degli altri, ammaliava i bambini che provavano ad imitare le sue rovesciate nei campetti, sbucciandosi gomiti e ginocchia, ma senza avvertire dolore, perché era più forte la volontà di fare come il loro idolo. Vialli ha vinto tanto da calciatore e alcuni dei suoi successi sono stati leggendari: lo scudetto con la Sampdoria nel 1991, conquistato dopo un patto di sangue col resto della squadra, coi grandi senatori: “Non lasceremo la Samp fin quando non avremo vinto lo scudetto“. E i blucerchiati lo vinsero davvero, con Vialli capocannoniere della serie A (19 reti) e la coppia con Roberto Mancini, unita dentro e fuori dal campo. E poi la Coppa dei Campioni con la Juventus nel 1996, l’ultimo trionfo dei bianconeri in Europa, alzata al cielo di Roma dal bomber di Cremona con la fascia da capitano al braccio.

Difficile il rapporto con la Nazionale, nonostante i 16 gol messi a segno, lasciata nel 1992 dopo un connubio complicato con Arrigo Sacchi. Avrebbe potuto giocare in maglia azzurra almeno fino al 1996, forse addirittura nel ’98 quando, in fondo, c’era il ruolo di chioccia di Christian Vieri da ricoprire ai mondiali francesi. Gianluca Vialli non si è mai fermato a guardarsi indietro, ha sempre guardato avanti, anche nei momenti più duri, quando ha scoperto il cancro, quando perse a Wembley nel 1992 la finale di Coppa Campioni contro il Barcellona dopo aver pure fallito un paio di gol clamorosi che avrebbero potuto cambiare per sempre il destino e la storia della Sampdoria. Eppure, Vialli e suo “fratello” Mancini si sono presi la rivincita 29 anni dopo quando sullo stesso terreno hanno conquistato gli Europei, vinti dalla Nazionale azzurra contro l’Inghilterra l’11 luglio 2021. E proprio dopo quella finale, l’abbraccio fra i due ex sampdoriani, sentito, fraterno, appassionato, commovente, emblema di un’amicizia andata ben oltre il calcio, ben oltre lo spogliatoio, ben oltre la stima reciproca. Vialli e Mancini, pronunciati spesso come un unico cognome. Fa male dirlo oggi, perché oggi perdiamo un pezzo importante della nostra vita, dei nostri ricordi e delle nostre emozioni.

C’è poco altro da aggiungere, perché la notizia della scomparsa di Gianluca Vialli ha reso tristi tutti, gli appassionati di calcio e chiunque in questi ultimi anni si era appassionato alla battaglia di un ex campione che non aveva avuto paura di aver paura, di temere la morte, di porsi come obiettivo principale quello di sopravvivere ai propri genitori. E forse non ha perso del tutto, perché la malattia che lo ha strappato alla vita è una delle peggiori, ci sono esperti che hanno reputato miracolosa la resistenza dell’ex bomber, ma chi lo ha conosciuto sul campo sa benissimo che di miracoloso non c’è stato nulla: Vialli sapeva come combattere e lottare, perfino la morte ha dovuto aspettare a lungo prima di avere la meglio.

di Marco Milan

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