Amarcord: Francia ’98, l’esordio del Giappone ai mondiali

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Li hanno sempre chiamati Samurai, appellativo abbastanza comune a chiunque in Giappone si cimenti in qualsiasi attività che abbia un minimo di competizione. Eppure, quella squadra si affacciava per la prima volta alla fase finale dei mondiali di calcio, l’intero continente asiatico non aveva mai brillato, fatta eccezione per gli ottavi di finale raggiunti dall’Arabia Saudita a Usa ’94.

L’allargamento dei mondiali da 24 a 32 squadre partecipanti, voluto dalla Fifa a partire dall’edizione francese del 1998, regala più possibilità a paesi e federazioni fino ad allora tagliati fuori quasi a prescindere. L’Asia, ad esempio, che sino ad Usa ’94 aveva potuto portare due nazionali, vede raddoppiare la possibilità e in Francia si presenta con ben 4 partecipanti: la Corea del Sud, ormai un’istituzione della vecchia Coppa Rimet, l’Arabia Saudita, l’Iran (che vince lo spareggio intercontinentale contro l’Australia) e il Giappone che mai prima d’ora aveva raggiunto la fase finale, ma che a metà degli anni novanta ha visto un notevole incremento degli investimenti del paese attorno al calcio e che, soprattutto, deve prepararsi ai mondiali che ospiterà assieme alla Corea del Sud nel 2002. C’è curiosità attorno ai giapponesi quando il 16 novembre 1997 battono per 3-2 l’Iran conquistando il primo storico accesso alla fase finale dei mondiali, a meno di dieci anni dall’istituzione del campionato nazionale (la J League) che ha permesso ai calciatori di essere più preparati sia a livello tecnico che tattico, anche se l’obiettivo, appare ovvio sin da subito, non potrà che essere quello di fare una figura dignitosa.

Nel sorteggio di inizio dicembre del 1997, il Giappone viene inserito nel gruppo H assieme ad Argentina, Croazia e Giamaica. Qualificarsi per gli ottavi sembra chiaramente impossibile, però la presenza dei giamaicani (anch’essi al debutto mondiale) potrebbe permettere ai nipponici di guadagnare qualche punto che potrà essere utile per la storia e, soprattutto, per il futuro. Il commissario tecnico è un giapponese doc, si chiama Takeshi Okada, è giovane (42 anni) e molto preparato, consapevole dei limiti della propria squadra, ma anche ambizioso: “Non andremo in Francia a farci prendere in giro“, dice con fierezza prima della partenza per l’Europa. La stella della squadra è un centrocampista molto ordinato e molto tecnico, Hidetoshi Nakata, che proprio nell’estate del 1998 sbarcherà in Italia e giocherà con ottimi risultati a Perugia, Roma, Bologna e Parma, restando ancora oggi il miglior calciatore della storia giapponese. Anche del centravanti Nakayama si parla molto bene, nonché del centrocampista Okano che ha segnato il gol qualificazione contro l’Iran diventando l’idolo del paese.

Il 14 giugno 1998 il Giappone debutta nella fase finale del campionato del mondo a Tolosa contro l’Argentina. La gara è proibitiva, ma i nipponici vendono cara la pelle, sono ordinati e concentrati, pagano un’unica disattenzione che porta al gol argentino di Batistuta, ma escono dal campo con dignità, sconfitti per 1-0 al termine di una prestazione di tutto rispetto. Nell’altra gara del girone, intanto, la Croazia supera 3-1 la Giamaica e la classifica si staglia già in quella che sembra la sua naturale conformazione. Il 20 giugno a Nantes, il Giappone se la vede proprio con i croati: perdere vorrebbe dire lasciare anzitempo i mondiali, ma la Croazia è forte in tutti i reparti, può schierare gente del calibro di Boban, Bilic, Asanovic, ma soprattutto il centravanti Davor Suker che è uno degli attaccanti migliori d’Europa. I giapponesi combattono, la loro tattica un po’ lenta ma precisa innervosisce i croati che, come spesso accade agli slavi, se non pescano la giornata giusta rischiano di fare anche figuracce epocali. E in un caldo pomeriggio francese sembra davvero che il Giappone possa cogliere il suo primo e forse insperato punto ai mondiali; ma al 77′ arriva la beffa: un innocuo cross dalla sinistra pesca Suker in area, il centravanti calcia di sinistro, il tiro non è né potente e nemmeno angolato, ma passa sotto la pancia del portiere ed entra in rete, 0-1 e partita finita.

E’ un brutto colpo per il Giappone, peraltro aritmeticamente eliminato a causa del 5-0 che l’Argentina rifila alla Giamaica e che proietta sudamericani e croati a 6 punti e le altre due a 0. Peccato, passare il turno era impresa titanica, ma il ko con la Croazia ha fatto veramente male ad una squadra e ad una nazione che con orgoglio voleva quel punto. Ma se la qualificazione è ormai sfuggita, nell’ultima gara contro la Giamaica i nipponici possono portare a casa i primi gol, i primi punti e, perché no, anche la prima vittoria al campionato del mondo. Lione, 26 giugno 1998, si gioca Giappone-Giamaica, partita assolutamente inutile ai fini della classifica, ma terribilmente importante per due nazionali che non vogliono lasciare la Francia a quota zero. Inspiegabilmente, però, il Giappone gioca molto peggio delle altre due partite, sembra spento, distratto, mentre i giamaicani sono leggeri, a loro riesce tutto, ai giapponesi non riesce nulla. Il pomeriggio si trasforma in un party caraibico, sugli spalti le bellissime giamaicane si esibiscono in danze che attirano lo sguardo dei tifosi molto più dell’insipida partita, mentre in campo la doppietta di Whitmore porta la Giamaica sul 2-0. Il gol del Giappone (il primo ai mondiali) arriva, ma troppo tardi, lo segna Nakayama, l’assalto finale degli uomini di Okada non produce che qualche mischia e la partita finisce 1-2.

Il Giappone lascia così Francia ’98 con zero punti, tre sconfitte ed appena un gol segnato, ma getta le basi per una stabilità che negli anni sarà premiata, poiché dal 1998 i nipponici non hanno più mancato una qualificazione, raggiungendo anche gli ottavi di finale in tre edizioni (2002, 2010 e 2018). La prima avventura è stata un semplice assaggio, da cui però in Giappone hanno tratto insegnamento e fatto tesoro degli errori commessi, dando il via ad una tradizione mondiale ormai ampiamente collaudata.

di Marco Milan

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