Amarcord: Alberto Urban, il vagabondo della trequarti

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E’ destino di numerosi calciatori quello di essere amati alla follia dai tifosi, ma diventare difficili da collocare per gli allenatori. Ciò capita a quei giocatori dotati di estro, fantasia, ma anche anarchici, spesso avulsi dal resto della squadra. A chi non viene in mente, ad esempio, Alviero Chiorri, pigro, indolente, ma tecnicamente sopraffino? Meno eccentrico ma senz’altro appariscente è stato anche Alberto Urban, poca gloria in serie A ma quell’appellativo di “Baggio del Cosenza” che ancora oggi lo accompagna.

Alberto Urban nasce in Francia ma è italianissimo. Classe 1961, di professione calciatore, ma sul ruolo ci sarebbe incertezza. Centrocampista? Mezzala? Fantasista? Un po’ di tutto questo, perché Urban in campo corre, lotta, prende botte e si rialza, gioca a testa alta, dispensa assist e non disdegna neanche di fare gol, il tutto a dispetto di appena 165 centimetri di altezza. La tecnica è di quelle che lasciano incantati gli spettatori, i compagni e pure gli allenatori che poi, però, iniziano a chiedersi in quale zona di campo farlo giocare, perché Urban appare troppo trequartista per fare il mediano e troppo centrocampista per fare la seconda punta. Ne nasce così un ibrido che dà comunque i suoi frutti perché il ragazzo è a tratti immarcabile e gli avversari se lo ritrovano praticamente dappertutto; chiedere a chi lo affronta quando gioca in serie D col Tolmezzo e poi con il Gorizia, chiedere ai dirigenti dell’Udinese che lo osservano e poi lo portano a Udine nel 1983.

Sembra l’inizio di una carriera sfavillante, invece in bianconero Urban non gioca mai e dopo un paio di mesi finisce alla Cavese in serie B. In Campania, il fantasista si ritaglia il suo spazio, segna 2 reti ma la squadra retrocede comunque in C1 dove Urban rimane anche per le successive due stagioni con 16 reti in 85 apparizioni e, nonostante la squadra non riesca a risalire in B, il calciatore è apprezzato dai tifosi che lo eleggono quasi subito a idolo, anche perché oltre alla tecnica, Urban dimostra anche carattere, i suoi duelli nei sentitissimi derby fra Cavese e Salernitana diventano epici e ancora oggi a Cava de’ Tirreni li ricordano con nostalgia e piacere. Nel 1986 passa al Cosenza, sempre in C1, e anche in Sila diventa immediatamente un beniamino del pubblico; ai cosentini la serie B manca da tantissimo tempo ed è l’obiettivo dichiarato della società. Niente da fare il primo anno, è invece un trionfo il secondo con promozione ed entusiasmo della gente che ha proprio in Alberto Urban una delle icone di quell’annata da sogno, culminata col successo per 2-0 al San Vito contro la Nocerina e in cui l’ex cavese realizza una delle reti dei rossoblu.

Il Cosenza torna dunque in serie B e Urban può finalmente confrontarsi con una categoria importante e ad un’età più matura rispetto a quando l’aveva assaggiata ai tempi della Cavese. La stagione 1988-89 è quasi perfetta per i calabresi che giocano un calcio spumeggiante e, pur essendo appena saliti dalla C1, non hanno alcun timore reverenziale e giocano alla pari con tutti gli avversari, tanto che già dopo metà campionato appaiono in grado di lottare clamorosamente per la serie A, categoria che a Cosenza non hanno mai visto. Urban è uno degli artefici di quella squadra magnifica: i tifosi lo hanno ribattezzato il “Baggio di Cosenza“, un po’ per i capelli ricci simili a quelli del fuoriclasse della Fiorentina e della Nazionale, un po’ per quell’estro che fa sognare un’intera città. Lui parla poco ma risponde sul campo, in fondo proprio come Roberto Baggio, e quando non segna manda in gol i compagni di squadra che scartano come regali di Natale gli assist perfetti di quel centrocampista a cui alla fine gli allenatori dicono: “Vabbè, gioca un po’ dove vuoi“. Del resto, Urban non è né pigro e né svogliato, anzi, corre e combatte più degli altri, quando subisce fallo si rialza senza fiatare, a Cosenza coniano il motto “in ginocchio mai“, e lui lo rispecchia alla perfezione non rimanendo mai a terra davanti agli avversari.

La stagione del Cosenza è tanto bella quanto sfortunata: i rossoblu chiudono il campionato al quarto posto alla pari dei corregionali della Reggina e della Cremonese, ma sfavoriti dalla classifica avulsa. Ne consegue che le altre due disputeranno lo spareggio per la serie A ed ai cosentini rimarrà l’amaro in bocca per una promozione annusata, sfiorata e persa proprio sul filo di lana. Il rapporto fra Urban e il Cosenza sta per chiudersi, lo sanno tutti in città, le chiamate dalla serie A sono diverse e alla società le cessioni dei suoi migliori calciatori (Urban, appunto, e Michele Padovano) servono per finanziare la campagna acquisti e rifondare una squadra ormai giunta alla fine di un ciclo. Inizialmente, Urban vorrebbe raggiungere proprio Padovano che nel frattempo è stato acquistato dal Pisa, ma l’affare non va in porto e da Cosenza il trequartista passa al Genoa, altri colori rossoblu ma ambiente del tutto diverso. La gloriosa compagine genoana è tornata in serie A dopo oltre 5 anni in B e l’entusiasmo è alle stelle.

In panchina c’è Franco Scoglio a cui Urban piace parecchio, lo trova un calciatore eclettico, dinamico, molto tecnico, poco gli importa che sia di difficile collocazione tattica in campo. “Se corri non c’è problema“, gli dice il tecnico siciliano. E Urban corre, non è velocissimo ma sa sempre piazzarsi al posto giusto, anche se dopo qualche giornata una parte del pubblico è scontenta perché si aspettava qualche gol dall’ex cosentino che invece sotto porta latita e non la butta dentro neanche per sbaglio. Il paradosso, inoltre, è che si era presentato al Genoa proprio con un gol, siglato in Coppa Italia il 23 agosto 1989 nel 3-0 di Marassi contro il Padova. Quando chiedono a Scoglio come mai Urban non segni mai, l’allenatore lo difende e risponde che ai gol devono pensarci le punte e che Urban si sta comportando bene al suo primo anno in serie A. E quando gli domandano come lo abbia inquadrato tatticamente, lui risponde: “E’ un vagabondo in mezzo al campo, trova lui la posizione migliore dove giocare e a me sta bene così“. Il Genoa alterna buoni risultati e prestazioni convincenti ad altre occasioni in cui capitola, e pure la classifica vive di alti e bassi, anche se i liguri non saranno risucchiati mai nei bassifondi veri e propri della graduatoria.

Il 17 dicembre 1989 si gioca la penultima giornata del girone d’andata ed il Genoa ospita al Ferraris l’Atalanta. Da qualche settimana, Urban sta giocando peggio rispetto all’inizio della stagione e dagli spalti sono piovuti anche alcuni fischi. Il riscatto, però, è dietro l’angolo e dopo un solo minuto l’ex cosentino ritrova fiducia ed applausi, nonché raccoglie la soddisfazione della sua prima rete in serie A, peraltro rocambolesca per uno alto poco più di un metro e sessanta. Un traversone di Ruotolo dalla trequarti, infatti, viene trasformato da Urban nel gol del vantaggio genoano con un colpo di testa in tuffo dal limite dell’area che fa impennare il pallone e beffa il portiere atalantino. In meno di dieci minuti, però, l’Atalanta capovolge il risultato e si porta sul 2-1 gelando lo stadio genovese. Il Genoa si getta all’attacco, Urban è ispiratissimo, prima offre a Fiorin la palla del pareggio ma il centrocampista sbaglia, poi calcia lui stesso verso la porta bergamasca e il tiro finisce alto. Ma è la sua giornata, forse la migliore della sua carriera, di sicuro la più gloriosa in serie A: il 45′ è ormai scoccato quando Urban prende palla sulla destra e si invola verso la porta, scarta un avversario, si accentra e in corsa batte di sinistro il portiere per il 2-2 definitivo che fa esplodere Marassi. Rimarranno le sue uniche prodezze in serie A.

Nel girone di ritorno, Urban gioca meno, a volte mostra guizzi e giocate, altre è più spento, risentendo anche dell’andamento alterno del Genoa che a fine campionato si salva ed opera un’autentica rivoluzione che vede l’arrivo in panchina di Osvaldo Bagnoli e quelli in campo di Skuhravy, Bortolazzi e Onorati. Per Urban non c’è spazio ed il vagabondo viene ceduto alla Triestina in serie B dove vive un’annata travagliata con la retrocessione dei giuliani in C1 e i suoi 4 gol pressoché ininfluenti. Nell’estate del 1991 si trasferisce all’Avellino, ma vive un altro campionato di sofferenza ed anche gli irpini finiscono in serie C; Urban viene inizialmente confermato, poi decide di rescindere il contratto con i campani, anche a causa di un problema al ginocchio. Proprio in quel periodo viene contattato da Renzo Castagnini, suo ex compagno di squadra al Cosenza ed ora direttore sportivo della Salernitana: “Vieni a Salerno – gli dice Castagnini – vogliamo tornare in serie B e tu puoi darci una grande mano“. Urban ci pensa, certo sarebbe un tradimento verso i tifosi della Cavese che certamente non amano la Salernitana, ma la piazza di Salerno è storica e le ambizioni importanti; le prospettive sono insomma allettanti, ma il ginocchio non risponde e Urban alla fine decide di declinare l’offerta perché sente di non poter dare il 100%, di non mostrare a pieno le sue doti. Corretto, onesto e maturo.

Urban resta comunque in Campania, scende di categoria ed accetta la corte della Turris che milita in C2. E’ una scelta coraggiosa ma alla fine vincente perché a Torre del Greco l’ex genoano ritrova gli antichi splendori e contribuisce all’ottimo campionato della Turris che si piazza al secondo posto assieme al Sora; lo spareggio di Perugia premia i laziali, ma la squadra campana viene comunque ripescata in C1 in estate dopo il fallimento del Potenza. Urban resta a Torre del Greco fino al 1995, poi chiude la carriera tornando alla Cavese nella stagione 1995-96 in serie D dove gioca poco rendendosi conto di aver finito la benzina. Cava de’ Tirreni gli tributa un lungo applauso, ma i messaggi di affetto, stima e gratitudine gli arrivano anche da Cosenza e da Genova dove non è stato mai dimenticato. A giugno del 1997 il Cosenza retrocede in C1 dopo 9 anni consecutivi in B e più di un tifoso sospira: avesse avuto Alberto Urban, anche a fine carriera, questa squadra non sarebbe mai retrocessa. Ma Urban non c’è, ha ormai 36 anni e un ginocchio malandato, ma soffre comunque per la caduta di quel Cosenza che ancora oggi è, per sua stessa ammissione, la squadra che segue con maggior affetto.

La carriera di Alberto Urban è stata probabilmente dimenticata da molti, forse lui stesso non ha espresso al massimo tutte le sue potenzialità, eppure è stato amato e rimpianto ovunque, simbolo di un calcio ruspante e concreto a cui ha provato comunque ad aggiungere un pizzico d’estro e fantasia, vagabondando in campo come amava fare lui, senza riferimenti, senza troppi tatticismi, piccolo ma tenace, bravo ma altalenante. Non ha vinto molto, ma ancora oggi ovunque sia stato lo ricordano con indelebile nostalgia.

di Marco Milan

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