C’è posta per tech | L’oblio è una forma di libertà

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Lo dimostra il caso sollevato contro l’editore GEDI. Aziende e imprese sono tenute a proteggere e valorizzare i dati personali adottando sistemi GDPR compliant 

Nuovo appuntamento con la rubrica che fa luce su tecnologia, data protection, cybersecurity, proprietà intellettuale.

Internet è un archivio pressoché infinito dove l’utente può pubblicare contenuti digitali che restano nella memoria del web per sempre. Questo comporta che chiunque possa accedervi, ma soprattutto che possa farlo per sempre.
Ma cosa può succedere quando una notizia negativa del nostro passato torna a tormentarci anni e anni dopo?
Forse non lo sapete ma esiste un diritto che permette di esser dimenticati dal web per fatti che non sono più di dominio pubblico, il cd. diritto all’oblio.

1. Che cos’è il diritto all’oblio?

Il diritto all’oblio è il diritto di un soggetto ad essere “dimenticato” dalla collettività, in relazione a notizie che oltre ad esser potenzialmente dannose per l’interessato non sono più attuali.
Un esempio può essere la notizia riguardante un imprenditore che ha avuto problemi con la giustizia anni fa ma è stato assolto al termine dell’iter giudiziario. In questo caso l’interessato ha diritto a veder dimenticata questa notizia perché non attuale e dannosa della sua immagine.

La prima concezione di questo diritto – diffusasi nel mondo ancora offline – si sostanziava nel diritto della persona a non rimanere danneggiata dalla ripubblicazione di una notizia non necessaria e risalente nel tempo.

Successivamente, con l’avvento di Internet e dei motori di ricerca, il problema riguardante la ripubblicazione viene soppiantato da uno ben più ostico: la permanenza perpetua dei contenuti sul web. Il diritto all’oblio, in questo caso, poteva esser assicurato attraverso interventi finalizzati a contestualizzare e aggiornare la notizia.
Cosa vuol dire? Un notizia che è stata pubblicata in origine in maniera legittima se non viene aggiornata o contestualizzata può risultare in un secondo momento imprecisa e parziale.

Una terza e più recente declinazione del diritto all’oblio viene offerta dalla Corte di giustizia UE nella nota sentenza della Grande sezione Google Spain c. Agencia Espanola che configura il diritto all’oblio come il diritto alla deindicizzazione del dato personale dal motore di ricerca.

Occorre tuttavia sottolineare che, spesso e volentieri, si tende a confondere il diritto all’oblio con il diritto alla cancellazione. Può risultare fuorviante il fatto che entrambi i diritti siano stati inseriti nell’art. 17 del Regolamento UE n.679/2016 (GDPR). Il GDPR appunto prevede che l’interessato abbia il diritto di chiedere al titolare del trattamento la cancellazione dei propri dati personali e il titolare ha l’obbligo di accogliere la richiesta in presenza di determinati motivi. L’esempio più calzante per spiegare questo diritto è l’utente che si crea un proprio account fornendo al sito i propri dati personali e poi successivamente decide di cancellarlo.

2. Il Provvedimento del Garante

Di recente sul tema del diritto all’oblio è intervenuto il Garante della protezione dei dati personali con un provvedimento che ha definito ulteriormente le caratteristiche e le forme di tutela di questo importante diritto.

La pronuncia nasce da un reclamo presentato da un interessato nei confronti dell’editore GEDI News Network, affinché procedesse alla cancellazione dei propri dati personali contenuti in un articolo inserito nell’archivio online del sito. La notizia, deindicizzata dall’editore, si riferiva all’imputazione subita dal reclamante nel 1998 per appropriazione indebita aggravata, sebbene il capo di imputazione fosse stato successivamente dichiarato estinto per prescrizione in Cassazione.

L’Editore si è difeso argomentando che:
– il trattamento fosse necessario per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione e avesse una finalità archivistica di pubblico interesse, rientrando quindi nelle eccezioni al diritto all’oblio previste dall’articolo 17 del GDPR;
– Ha adottato tutte le misure di sicurezza finalizzate a garantire il giusto equilibrio tra libertà di informazione e diritto all’oblio dell’interessato (le misure sono: la deindicizzazione e la disponibilità in archivio online di solo un breve estratto dell’articolo mentre la lettura integrale accessibile ai soli abbonati);
– La prescrizione ad opera della Cassazione non inficiava sulla veridicità dell’articolo in quanto non entrava nel merito dei fatti oggetto dell’imputazione.
In aggiunta, l’editore ha comunicato di essere disponibile ad aggiornare la notizia con questo sviluppo della vicenda, richiesta che l’interessato non aveva comunque avanzato.

L’Autorità nel provvedimento ha aderito a tutte le argomentazioni difensive dell’editore e ha comunicato che non ha alcuna base per poter contestare un’inadempienza all’editore.

L’editore può dunque tirare un sospiro di sollievo?

Purtroppo per lui no.

Il reclamo, oltre ai motivi sopra esposti, riguardava anche il mancato riscontro da parte dell’editore all’esercizio del diritto da parte dell’interessato. L’editore in questo caso si è difeso affermando che si è trattata di una disattenzione involontaria e incolpevole. Giustificazione che non è bastata al Garante, il quale ha irrogato all’editore una sanzione pari a 20.000 euro in quanto non ha implementato tutte le misure adeguate al fine di garantire un tempestivo riscontro alle richieste da parte degli interessati.

In conclusione, il caso dimostra come al titolare sia sempre più richiesto di dotarsi di un vero e proprio sistema di gestione dei dati – GDPR compliant – interconnesso alle attività dell’organizzazione e che possa così costituire un efficace strumento finalizzato sia a proteggere e valorizzare i dati personali dell’azienda sia – come non è accaduto per il caso di specie – a evitare possibili sanzioni da parte del Garante.

(di Davide Rapallino)

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