C’è Posta per Tech | SARI. Big Brother is watching you? No grazie!

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Nuovo appuntmento con la rubrica che fa luce su tecnologia, data protection, cybersecurity, proprietà intellettuale. Approfondiamo la decisione del Garante privacy sulla funzione “Real Time” di SARI

Quando si pensa al riconoscimento facciale nell’immaginario comune è naturale pensare agli action movie, dove inquadrando il soggetto per pochi secondi, era possibile avere una moltitudine di metadati.

Quella tecnologia esasperata nella cinematografia, è diventata oggi di uso comune nelle nostre attività quotidiane: ci basti pensare al riconoscimento facciale del nostro cellulare oppure alle piattaforme online utilizzate per svolgere gli esami universitari che riconoscono se uno studente bara o meno.

Ma cosa succede se questo strumento di riconoscimento dovesse essere utilizzato dalle forze dell’ordine in ambito di sicurezza nazionale?

Il quesito è tutto fuorché banale e mette in campo numerose questioni, tutte meritorie di ampia e approfondita analisi e in questo articolo cercheremo di fare una panoramica della tematica partendo dall’implementazione in Italia di un sistema di videosorveglianza chiamato SARI.

Cos’è il SARI?

Il SARI è un sistema di riconoscimento facciale in dotazione alla Polizia dal 2017, che permette di confrontare le immagini catturate dalle videocamere di sicurezza con i volti di milioni di soggetti schedati.

Funziona in due modalità: “Enterprise” e “Real Time”.

Il SARI “Enterprise” consente di effettuare ricerche nella banca dati, attraverso l’inserimento di un’immagine fotografica di un soggetto ignoto che, elaborata da algoritmi di riconoscimento facciale, fornisce un elenco di immagini ordinato secondo un grado di similarità.

Tuttavia, nell’ipotesi di match è comunque necessaria una comparazione fisionomica effettuata dal personale specializzato della polizia scientifica.

Nel caso del SARI “Real Time”, invece, il riconoscimento dei volti dei soggetti ripresi avviene in tempo reale e in una ristretta area geografica.

Il sistema – ancora non attivo – confronta i volti presenti nei flussi video con una una watch-list che può contenere fino a 10.000 volti. Qualora dovesse essere riscontrata una corrispondenza tra un volto presente nella watch-list ed un volto ripreso da una delle telecamere, il sistema è in grado di generare un alert che richiama l’attenzione degli operatori delle Forze di Polizia.

Il parere del Garante

Di recente, il Garante ha espresso parere negativo nei confronti della funzione “Real Time” di SARI.

La decisione giunge al termine di un’istruttoria iniziata nel 2018, durante la quale il Garante ha acquisito una serie di informazioni – tra le quali la valutazione d’impatto realizzata dal Ministero dell’Interno – nella quale si spiega che le immagini verrebbero immediatamente cancellate.

Una spiegazione che non ha convinto il Garante il quale osserva che il sistema:

  • È privo di una base giuridica che possa legittimare il trattamento automatizzato dei dati biometrici per il riconoscimento facciale ai fini di sicurezza nazionale

La base normativa a cui fa riferimento l’Autorità dovrebbe tener conto di tutti i diritti e le libertà coinvolte e definire le situazioni in cui è possibile utilizzare tale strumento, privando l’ampia discrezionalità a chi lo utilizza.

  • Realizzerebbe una forma di sorveglianza indiscriminata e di massa e in particolare un trattamento automatizzato che può riguardare anche persone presenti a manifestazioni politiche e sociali che non sono oggetto di “attenzione” da parte delle forze di Polizia.

Determinando così un passaggio dalla sorveglianza mirata di alcuni individui alla possibilità di sorveglianza universale.

Conclusioni. La Commissione Europea in soccorso del Garante

Neanche a farlo apposta, la Commissione europea ha presentato in questi giorni la bozza del “Regolamento sull’approccio europeo per l’intelligenza artificiale” la quale rappresenta un importante passo avanti nella gestione dei sistemi di intelligenza artificiale e riconoscimento facciale.

In particolare, introduce a livello europeo il divieto di utilizzo del riconoscimento facciale nei luoghi accessibili al pubblico, salvo i casi in cui viene impiegato per:

  • la ricerca mirata di potenziali vittime specifiche di reato;
  • la risposta a una minaccia imminente di attacco terroristico;
  • l’individuazione degli autori di reati gravi.

La Commissione Europea si è mossa dopo i numerosi segnali provenienti dalla cittadinanza. Nelle note che precedono il documento, infatti, si chiarisce che il periodo di consultazione pubblica al Libro Bianco dell’Unione Europea sull’AI ha visto la grande maggioranza di persone chiedere un divieto al riconoscimento facciale nei luoghi accessibili al pubblico.

Tutto questo ci fa presuppore che questo strumento – arrivato in fretta e abusato oltre ogni limite – è un esempio di come certe innovazioni dell’intelligenza artificiale possano non esser ben viste dal pubblico se introdotte senza un minimo di buon senso.

(Davide Rapallino)

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