Amarcord: Aleksei Mikhailichenko, la nota stonata della Sampdoria tricolore
Lo scudetto vinto dalla Sampdoria nella stagione 1990-91 resta storico e forse unico ed irripetibile, apice massimo di una squadra costruita sapientemente da Paolo Mantovani e gestita da Vujadin Boskov, nella quale poco o nulla è stato sbagliato. Il “poco“, probabilmente, si chiama Aleksei Mikhailichenko, sbarcato in Italia come ciliegina sulla torta e finito invece per essere alimento indigesto per uno spogliatoio in cui non si è ritrovato.
Nell’estate del 1990 attorno alla Sampdoria c’è un’aria particolare: la fresca vittoria della Coppa delle Coppe ha entusiasmato il pubblico blucerchiato che ora vuole dare l’assalto a quello scudetto che è l’obiettivo massimo di un gruppo nato a metà anni ottanta e rimasto unito nonostante le tante lusinghe, proprio per provare a conquistare insieme quel titolo tricolore che la Genova doriana è convinta di poter raggiungere. E’ forse l’ultima occasione per farcela, ma le premesse ci sono, anche perché le rivali non sembrano al massimo del proprio splendore: il Napoli campione d’Italia e il Milan di Sacchi sono alla fine di un ciclo, la Juventus di Maifredi è potenzialmente forte ma molto giovane, l’Inter di Trapattoni appare forse l’unica ad avere maggior qualità ed esperienza della Sampdoria. Per rinforzare l’organico blucerchiato, alla corte di Boskov arriva Aleksei Mikhailichenko, centrocampista sovietico della Dinamo Kiev, che il club genovese aveva iniziato a trattare già a maggio e che alla fine di giugno ufficializza come nuovo acquisto per la cifra di 6,5 miliardi di lire.
Le aspettative attorno a Mikhailichenko sono molto alte perché in Europa di lui si parla benissimo in quanto molto duttile tatticamente, anche se in pochi sanno che a livello fisico ha già subìto due interventi al ginocchio che ne hanno minato il rendimento nell’ultimo anno. Sbarcato a Genova, il centrocampista sovietico sembra la ciliegina sulla torta nella formazione di Boskov, perfetto incursore in una linea mediana con l’esperienza di Cerezo, l’ordine tattico di Pari e l’esplosività di Lombardo; la Sampdoria, insomma, sembra ancora più forte e l’inizio di campionato è soddisfacente per i blucerchiati che battono all’esordio il Cesena 1-0 con rete di Invernizzi che di Mikhailichenko sembra la riserva perfetta, anche perché il sovietico nell’incontro con i romagnoli non va neanche in panchina, rimandando il suo debutto alla domenica successiva quando la Sampdoria pareggia 0-0 a Firenze. Passa un’altra settimana ed ecco il primo squillo del nuovo acquisto: Mikhailichenko, infatti, gioca da titolare anche la gara di Marassi contro il Bologna, disputando un’ottima gara, condita con il gol del 2-0 al minuto 87, festeggiato con tanto di corsa a tutta velocità per tutto il campo.
L’acquisto di Mikhailichenko sembra azzeccato ed anche Boskov davanti ai microfoni ne parla benissimo, ma dietro le quinte qualcosa non funziona. Tanto per cominciare, il calciatore sovietico fatica ad imparare l’italiano nonostante faccia parecchi sforzi, a differenza di sua moglie che si rifiuta categoricamente di apprendere la nuova lingua, finendo per passare le giornate chiusa in casa senza poter comunicare con la città. Inoltre, il carattere chiuso del centrocampista lo porta a non avvicinarsi al resto del gruppo e, nonostante lo spogliatoio della Sampdoria sembri una famiglia che si vuol bene, Mikhailichenko non riesce ad integrarsi, parla e scherza poco, finito l’allenamento si fa la doccia, saluta tutti educatamente e corre a casa. Il 10 ottobre la Sampdoria gioca in casa l’andata della Supercoppa Europea contro il Milan campione d’Europa e proprio il tornante sovietico realizza la rete del momentaneo vantaggio doriano grazie ad una sventola di sinistro che sorprende Pazzagli; la gara terminerà 1-1 ed il Milan porterà a casa la coppa vincendo 2-0 a ritorno, ma la prestazione di Mikhailichenko è stata ottima e il suo rendimento sembra destinato a salire.
Nel mese di novembre, però, i voti sui giornali sono pessimi, la Sampdoria viaggia a ritmo scudetto, ha vinto a San Siro col Milan scavalcandolo in testa alla classifica, ha travolto in casa l’Atalanta 4-1 e corre spedita anche nella Coppa delle Coppe e in Coppa Italia, ma Mikhailichenko sembra un pesce fuor d’acqua in un contesto quasi perfetto. All’ottava giornata di campionato, l’11 novembre, il sovietico è atteso al varco dalla critica che sta già chiedendo a Boskov di lasciarlo in panchina; e l’ex giocatore della Dinamo Kiev dà prova di carattere ed abilità, sbloccando la partita con il Pisa all’8′ e risultando preziosissimo nell’economia di una gara vinta dai genovesi per 4-2. Mikhailichenko esce al 68′ fra gli applausi dello stadio Ferraris, convinto dalla prestazione del biondo centrocampista, a sua volta rincuorato da una partita coi fiocchi. Proprio quando ogni problema sembra risolto, però, ecco che qualcosa si rompe e, come fosse una valanga, i guai si accavallano fra di loro fino a sovrastare completamente il calciatore e far naufragare la situazione. Il primo intoppo è di natura fisica: Mikhailichenko sente dolore al ginocchio operato e fatica a concludere allenamenti e partite, Boskov sopporta, è indulgente, ma spesso è costretto alla sostituzione, oltre al fatto che anche tatticamente il resto della squadra sembra del tutto amalgamato a dispetto del sovietico che, tra frasi non capite e pezzi di allenamento passati in panchina con la borsa del ghiaccio sulla gamba, resta indietro come un alunno che fa troppe assenze.
A ciò si aggiunge anche la nostalgia di casa e un pizzico di malinconia nel vedere sua moglie annoiata e quasi seccata per quell’avventura italiana che non la soddisfa. Mikhailichenko inizia a far felice la SIP con lunghe telefonate a Kiev che lo fanno tornare indietro nel tempo ma lo allontanano dalla realtà genovese, dai compagni e, indirettamente, anche dalla città. Parenti ed amici lo sostengono, ma sono lontani e quando il calciatore aggancia la cornetta si ritrova in un paese che non conosce e in un campionato che non è ancora riuscito a capire fino in fondo. I giornali scrivono che è lento e che invece era stato descritto come rapido di azione e di pensiero, lui pensa il contrario, a qualche compagno di squadra confessa anche: “Io non sono lento, è questo calcio che corre troppo“. Il 10 febbraio 1991, 20.ma giornata, torna al gol nel 3-0 che la Sampdoria rifila a domicilio al Bologna; la compagine ligure è saldamente al comando della classifica, Vialli ha cominciato a segnare, la difesa regge, il centrocampo è una cerniera quasi inossidabile e l’unica nota stonata appare quel sovietico che sembra capitato lì per caso. Passano dieci giorni e i blucerchiati faticano le pene dell’inferno per eliminare il Torino dalla Coppa Italia: la sfida finisce ai calci di rigore e Mikhailichenko sbaglia il suo, anche se per sua fortuna la squadra di Boskov si qualifica.
Ma, rigore a parte, l’apporto del centrocampista non soddisfa il tecnico jugoslavo che all’inizio di marzo lo relega in panchina, anche perché nel frattempo le noie fisiche non lo lasciano in pace e l’obiettivo scudetto è troppo importante perché l’allenatore si lasci condizionare. Mikhailichenko inizia a vedere le partite dalla panchina, ogni tanto entra, come ad esempio nel derby col Genoa pareggiato 0-0 e nel quale prende il posto di Cerezo a 20 minuti dalla fine, spesso fa la riserva per tutta la gara. Caso emblematico è la sfida scudetto del 5 maggio a San Siro contro l’Inter, vinta dalla Sampdoria 2-0 e che il centrocampista sovietico passa interamente a bordocampo. Il 19 maggio i doriani battono 3-0 il Lecce a Marassi e conquistano aritmeticamente uno scudetto storico che manda in visibilio la parte blucerchiata di Genova, Mikhailichenko entra al 71′ al posto di Cerezo che riceve una standing ovation da mille e una notte, al contrario del sovietico di cui forse qualcuno in tribuna si era perfino dimenticato. L’ex Dinamo Kiev festeggia il titolo come gli altri, abbraccia i compagni, ride, stringe la mano a Boskov e al presidente Mantovani, ma probabilmente sente la vittoria un po’ meno degli altri, si sente magari addirittura in colpa per non aver ripagato le aspettative dell’estate precedente.
Dopo la sbornia dello scudetto, la Sampdoria gioca la doppia finale di Coppa Italia contro la Roma per centrare quello che in Inghilterra chiamano Double. Mikhailichenko passa la gara di andata all’Olimpico a mangiarsi le unghie in panchina e non entra, la Roma vince 3-1 e ai liguri servirà un’impresa a Marassi dove il sovietico parte ancora come riserva, entrando al 51′ al posto di Invernizzi; sarà un caso, ma appena 3 minuti dopo la Roma segna l’1-0 ed ipoteca la coppa. Mikhailichenko viene messo sul mercato a fine stagione, anche perché Boskov ha individuato nel brasiliano Silas (appena retrocesso in B col Cesena) un ottimo rinforzo per il centrocampo della sua squadra e per l’ex calciatore della Dinamo Kiev a Genova non c’è più spazio. Lo acquisteranno gli scozzesi dei Rangers e a Glasgow Mikhailichenko saprà riscattarsi, giocando fino al 1996 e realizzando 20 reti totali che contribuiranno alla conquista di 5 scudetti in altrettante stagioni e dimenticando in fretta la difficile esperienza italiana, comunque culminata con lo scudetto della Sampdoria che resta ancora oggi uno dei più storici di tutta la serie A.
Roberto Mancini, in uno dei suoi tanti ricordi di quella fantastica annata 90-91, ha definito indispensabile l’apporto di Mikhailichenko nello scudetto blucerchiato. Eppure, era stato proprio Mancini in una gara di campionato a suggerire a Boskov la sostituzione del sovietico. Forse un controsenso, forse la fotografia emblematica di un’annata particolare per un calciatore ritenuto indispensabile ma del quale si chiede il cambio, giudicato veloce ed accusato di lentezza, apparso quasi sempre triste nell’anno più bello della storia sampdoriana.
di Marco Milan
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