C’è posta per tech | Internet Of Things. C’erano una volta gli oggetti

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Quarto appuntamento con la rubrica che fa luce su tecnologia, data protection, cybersecurity, proprietà intellettuale

C’erano un volta un orologio, un automobile, un frigorifero e un pneumatico. Solo a vederli, tutti desideravano incontrarli, specialmente la piccola Rete.
Un bel giorno la Rete inciampò negli oggetti e si innamorò perdutamente di essi.
Passarono i giorni e poiché capì che stava bene con tutti… ma proprio con tutti, decise di non abbandonarne alcuno. Nacque così l’Internet of Things.

L’Internet delle cose, o la rete degli oggetti connessi è qualcosa che oggi impatta sulla vita di tutti noi, che sta trasformando profondamente molti aspetti dell’economia e della nostra quotidianità, anche se spesso non ce ne rendiamo conto.
Il concetto di IoT si riferisce a un’infrastruttura nella quale miliardi di sensori incorporati in dispositivi comuni di uso quotidiano (“oggetti” a sé stanti, oppure oggetti connessi ad altri o persone) sono progettati per registrare, trattare, conservare e trasferire dati e, essendo associati a identificativi univoci, interagiscono con altri dispositivi o sistemi che sfruttano le capacità di collegamento in rete.

Le tappe

Il termine è comparso per la prima volta nel 1999 in una presentazione di Kevin Ashton, ricercatore del MIT, alla Procter & Gamble. Ashton stava lavorando con dei colleghi ai tag RFID, vale a dire le etichette elettroniche che possono essere applicate più o meno dappertutto e che possono essere lette da remoto con speciali apparecchi radio.
Quasi 20 anni dopo quei tag si sono trasformati in sensori in grado di leggere dall’ambiente le informazioni più diverse: dalla temperatura, al movimento, alla posizione GPS, al peso di un oggetto o di un corpo, alla composizione chimica, all’umidità del suolo, e di trasmetterle ovunque nel mondo utilizzando i protocolli e le infrastrutture di Internet.

Nel 2011, l’imprenditore e startupper statunitense Marc Andreessen con il suo “In short, software is eating the world” sentenziava al Wall Street Journal (leggi) come il mercato dell’epoca si stesse accingendo a vivere una importante transizione. Evidenziava in particolare come le organizzazioni maggiormente virtuose erano quelle che avevano deciso di fondare i propri asset aziendali non solo sulle “macchine” ma soprattutto sui software. Andreesen sottolineava come i più grandi imprenditori dell’epoca avessero intuito che un business “software based”, di per sè immateriale, avrebbe permesso loro di conoscere maggiormente la propria azienda e di massimizzarne l’efficienza oltre che i profitti.

Nel 2015, anche il Mckinsey Global institute, società internazionale di consulenza manageriale, in un report (leggi) cavalcava la visione entusiasta ed ottimista dello startupper stimando che entro il 2025 l’IoT avrebbe rappresentato l’11 % dell’economia globale.

Alcuni esempi di business basato sull’IoT

Il caso Michelin. Anche se è l’esempio sicuramente meno software based, è certamente il più calzante in quanto ci fa comprendere come l’implementazione di sensori negli oggetti possa trasformarsi in una importante opportunità di business.
Leader nella produzione di pneumatici, Michelin fino a poco tempo fa non sapeva assolutamente nulla dei propri clienti lasciando ai Dealers, disseminati su tutto il territorio, la vendita diretta dei propri prodotti.
Michelin ha introdotto il concetto di “tires as a services” partendo dalle flotte di grandi autocarri, dotando i propri pneumatici di una serie di sensori che consentono di monitorare lo stile di guida e lo stato di usura del pneumatico stesso. Tale implementazione ha portato diversi vantaggi tanto per i clienti quanto per la stessa azienda tra cui:

il monitoraggio dei consumi
la prevenzione dei malfunzionamenti
• la trasformazione di un bene in un servizio

Il caso Bios Incube. Con l’obiettivo di cambiare il modo in cui le persone affrontano la fine della vita, Bios Incube è la prima urna biodegradabile al mondo che ha introdotto l’idea di piantare un albero con i resti ottenuti dopo la cremazione dei propri cari o animali. Collegata direttamente tramite dei sensori Wireless all’abitazione del possessore e al suo smartphone permette di tenere sotto controllo lo stato di salute della pianta.

Bugs, bugs everywhere

Ci sono però molti interrogativi. In particolar modo riguardano la vulnerabilità dei dispositivi, spesso utilizzati al di fuori di una infrastruttura informatica tradizionale e quindi non dotati di sufficiente sicurezza.
Ebbene, tra i molti rischi in cui è possibile imbattersi durante l’utilizzo degli stessi riscontriamo:
• la perdita di dati,
• i malware,
• l’accesso non autorizzato ai dati,
• la sorveglianza illegale.

Ricordiamoci che gli IoT sono user friendly cioè creati appositamente per dare a tutti la possibilità di utilizzarli immediatamente senza particolari difficoltà. In questo senso è importante che anche gli utenti apportino le cautele necessarie per evitare che gli stessi possano essere “bucati” per esempio impostando misure di sicurezza quali password forti per prevenire possibili hackeraggi.

C’è Posta per Tech ha raccolto due recenti notizie di “oggetti intelligenti” attaccati da pirati informatici senza scrupoli con preoccupanti conseguenze per i loro utilizzatori:

-cintura di castità 2.0: Si chiama Cellmate Chastity Cage ed è una cintura di castità per uomini, connessa a internet, Già questo farebbe notizia, se non fosse che proprio la parte smart della cintura, ovvero quella che ne permette il controllo da remoto, è risultata vulnerabile agli attacchi che potrebbero chiuderla per sempre, rendendone impossibile l’apertura se non con l’uso della forza e di attrezzi molto pericolosi. (approfondisci).

roomba “fuori controllo”: si tratta dei numerosissimi esemplari del famoso aspirapolvere robotizzato che a seguito di un aggiornamento del software hanno iniziato a spostarsi in maniera pressoché incomprensibile (approfondisci).

(Valentina Arena)

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