Amarcord: Alessio Pirri, il seme che non ha germogliato

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Sono tanti i talenti non espressi nel mondo del calcio, chi per carattere, chi per incostanza, altri ancora a causa dei troppi infortuni. Alcuni di essi, però, lasciano interdetti gli esperti e gli appassionati che li hanno ammirati e che ancora non si spiegano il perché di una carriera molto al di sotto delle potenzialità. Come Alessio Pirri, uno che quando toccava il pallone sembrava che lo accarezzasse e su cui tutti erano pronti a scommettere, tanto e forse troppo.

Alessio Pirri nasce a Cremona il 27 gennaio 1976, un’annata che, forse per puro caso, ha donato al calcio gente come Totti, Shevchenko, Ronaldo, Seedorf e Nesta, ovvero fuoriclasse che hanno scritto e riscritto la storia di questo sport. E Pirri sembra effettivamente di quella stessa pasta: la classe appare immediatamente cristallina, il tocco di palla leggero, l’estro del piede sinistro che solo i grandi mancini possiedono, la precisione sui calci piazzati, tutto lascia presagire alla nascita di un talento purissimo. Gioca da trequartista e non potrebbe essere altrimenti vista la tecnica e visto pure quel fisico tutt’altro che granitico: 1 metro e 70 di altezza per 65 kg, perfetto per sgusciare via palla al piede, non certo per fare a spallate con i ruvidi difensori italiani. Il settore giovanile della Cremonese accoglie Alessio Pirri spalancandogli le porte e i cancelli con tanto di riverenza, o quasi, perché sono in molti a sostenere che un talento così da quelle parti non lo vedevano da anni. Perfino il presidente Domenico Luzzara, che solitamente si occupa di conti e poco della scoperta dei talenti, lasciata ad Erminio Favalli e agli altri esperti della dirigenza, va a vedere qualche allenamento di questo ragazzino che potrebbe diventare il futuro della squadra grigiorossa e, chissà, forse anche della Nazionale.

Il tempo passa, Pirri approda nella Primavera della Cremonese ed è una delle stelle emergenti della sua generazione, al punto che i responsabili delle giovanili sono concordi nel suggerire al tecnico Gigi Simoni di aggregarlo alla prima squadra. L’allenatore sa riconoscere il talento e porta il fantasista con sé in ritiro nell’estate del 1994 dopo che la Cremonese è riuscita a conservare la serie A che giocherà per la prima volta due anni di fila. Pirri si fa notare nelle amichevoli estive, rifornisce gli attaccanti con palloni vellutati e assist perfetti, il centravanti Andrea Tentoni lo ringrazia assiduamente, poi nello spogliatoio gli fa i complimenti e lo esorta a non perdersi per strada perché un talento simile non deve andare sprecato. Il 21 settembre 1994 la Cremonese gioca a Lecce la gara di ritorno del primo turno di Coppa Italia dopo aver pareggiato 1-1 in casa all’andata; la sfida finisce ai tempi supplementari, Simoni ha gettato nella mischia anche il giovane Pirri che a 18 anni inizia a farsi largo in mezzo ai difensori leccesi che sono arcigni ed esperti, non vanno quasi mai per il sottile, anzi, quando c’è da affibbiare qualche calcione non si tirano certo indietro. Al minuto 113, però, l’intuizione di Pirri ha la meglio sulla retroguardia pugliese, costretta a capitolare sotto il colpo di genio del ragazzino che regala alla Cremonese il passaggio del turno. A Cremona tutti strabuzzano gli occhi, Pirri ricorda ai tifosi Alviero Chiorri, il talento più puro che la Cremonese abbia mai visto giocare allo Zini, anarchico e pigro ma dalla classe indiscutibile, ritiratosi nel 1992 e che potrebbe avere proprio in Alessio Pirri il suo naturale erede.

Nel 1994 nell’organico della Cremonese c’è anche un altro Pirri, si tratta di José, fratello di Alessio e più grande di lui di tre anni. E’ bravo José, anche se il talento del fratellino è un’altra cosa, se ne accorge anche lui che inizia a proteggerlo e a guidarlo, sa fin da quando erano bambini che nel piede sinistro di Alessio c’è qualcosa in più, c’è l’impronta del campione, di chi può decidere le partite con una semplice giocata. Alessio Pirri, dopo il gol in Coppa Italia, esordisce pure in serie A e il 25 settembre 1994 è protagonista di uno dei giorni più celebri della storia della Cremonese: lo stadio Zini è pieno quella domenica, di fronte c’è il Milan di Capello che è campione d’Italia e d’Europa in carica, anche se è partito col freno a mano tirato nelle primissime giornate del campionato 1994-95. Cremonese-Milan si gioca alla quarta giornata, fa ancora caldo, le gambe non girano al massimo, soprattutto quelle dei milanisti che faticano a mettere in difficoltà la Cremonese che, viceversa, è frizzante e sfrontata; al 60′ Pirri riceve palla sulla destra, fa un paio di finte, poi guarda in mezzo all’area e vede l’inserimento dello stopper Gualco: l’istinto e la tecnica lo fanno decidere in un attimo, il sinistro vellutato incrocia alla perfezione la testa di Gualco che batte Sebastiano Rossi e porta in vantaggio i grigiorossi. Il risultato non cambierà più, la Cremonese batte il Milan 1-0, getta nella bufera i campioni di Fabio Capello e spedisce sulle prime pagine di tutti i giornali quel ragazzino che a 18 anni già incanta la serie A con colpi fuori dal comune.

Di Alessio Pirri si accorge pure la Nazionale Under 18 che lo promuove a titolare fisso accanto a Totti e Morfeo, in una squadra che vede protagonisti anche Nesta e Tacchinardi, ma in cui i talenti più puri sembrano proprio Totti e Pirri, due che quando si scambiano il pallone anche solo in allenamento lasciano tutti esterrefatti. Il campionato della Cremonese, intanto, prosegue con ottimi risultati, Simoni fa giocare Pirri sempre più spesso ed il fantasista lo ripaga con giocate di qualità e altri due gol, peraltro consecutivi: il primo il 18 dicembre che sblocca la partita col Torino, poi finita 3-0, il secondo alla ripresa del campionato, l’8 gennaio 1995, quando Pirri trasforma un ininfluente calcio di rigore nella sconfitta dei lombardi a Padova per 3-2. A fine stagione la Cremonese si salva per la seconda volta di fila e Pirri chiude l’anno con 16 presenze e 3 reti che gli valgono le attenzioni della Juventus neo campione d’Italia, solerte nel valorizzare le giovani promesse italiane come fatto con Corrado Grabbi e con Michele Padovano, entrambi finiti in pianta stabile nella rosa di Marcello Lippi. Ma a Torino non c’è ovviamente ancora posto per Alessio Pirri, così i bianconeri lo girano in serie B alla Salernitana dove il fantasista potrà giocare con continuità e confrontarsi in una piazza calda ed ambiziosa come quella campana. L’allenatore dei granata è Franco Colomba che fin da subito sembra fidarsi di lui e gli affida le chiavi tecniche della squadra già dalle primissime giornate.

Pirri si adegua, la Salernitana (candidata alla promozione in serie A) parte anche forte, vince all’esordio contro il Cosenza, pareggia per 0-0 prima in casa del Chievo e poi con il Bologna, quindi stravince a Venezia con un perentorio 3-0, aperto proprio da Alessio Pirri con una splendida punizione dal limite che si infila all’incrocio dei pali. Sembra in discesa la strada per i campani che dopo 4 giornate sono nelle primissime posizioni della classifica, imbattuti e con la porta ancora inviolata; ma col passare del tempo qualcosa si inceppa, la Salernitana resta in corsa per la promozione, seppur sopravanzata da Bologna e Verona che iniziano a fare il vuoto in campionato. Pirri soffre uno scacchiere tattico poco consono alle sue caratteristiche, eppure non fa mai mancare impegno e tocchi di classe, tuttavia ritrova il gol solamente ad un girone di distanza dal primo, il 18 febbraio 1996, nel 3-1 dei granata sul Venezia a cui fa seguito una settimana più tardi una doppietta dell’ex fantasista della Cremonese nel 5-0 inflitto al Brescia. Il 31 marzo Pirri decide con una sua gemma a 10 minuti dalla fine l’insidiosa trasferta di Ancona, poi il 19 maggio sul campo neutro di Barletta apre le marcature nel 2-1 della Salernitana contro la Pistoiese; a tre giornate dal termine del campionato, i campani perdono lo scontro diretto di Cesena e dicono virtualmente addio alla serie A, persa poi matematicamente nell’ultimo turno a vantaggio del Perugia che raggiunge nel massimo campionato Bologna, Verona e Reggiana. Pirri chiude la stagione con 6 reti in 34 presenze e viene confermato anche per l’annata successiva.

Ma la nuova Salernitana è assai diversa da quella che ha sfiorato la promozione: nella serie B 1996-97 i campani vengono presto relegati nella parte destra della classifica e riusciranno soltanto a conservare la categoria, senza acuti e senza cullare sogni di gloria. Pirri non fa mancare il suo apporto, segna 3 gol, fra cui il primo stagionale della squadra contro il Foggia, e poi quelli che valgono i pareggi contro Empoli e Palermo. Nell’estate del 1997 a Salerno approda in panchina Delio Rossi, fautore di un 4-3-3 che esclude Pirri dai titolari; il fantasista prova a parlare con l’allenatore che è però intransigente: “Scegli: o fai il centrocampista o l’attaccante esterno“. Pirri replica, lui fa il trequartista, ma per Rossi quel ruolo non esiste e, volenti o nolenti, a Salerno con lui si gioca così. Dopo una sola apparizione, Pirri ad ottobre se ne va a Reggio Calabria, senza sapere che quella scelta sarà la fine dei suoi sogni e delle sue ambizioni in un momento della carriera già in leggero declino rispetto alle premesse, anche perché i suoi vecchi compagni di nazionale Totti e Morfeo giocano già stabilmente in serie A e lui ancora annaspa in B. Alla Reggina gioca poco e male, così a gennaio cambia ancora squadra e si trasferisce alla Reggiana dove sigla 4 reti in sei mesi senza però che gli emiliani centrino il ritorno in serie A, impresa invece riuscita alla Salernitana che stravince il campionato tornando in A dopo oltre 50 anni e dimostrando che chi fra Rossi e Pirri ha scelto il primo ha fatto bene.

Per il fantasista è una doppia beffa, il treno dei grandi sembra essere passato, lui trova squadra al Genoa, ancora in serie B, ma le grandi premesse di inizio stagione naufragheranno presto in un campionato mediocre per i liguri, nonostante Pirri qualche colpo di genio lo regali, andando pure in rete contro Napoli e Lucchese. Nella stagione 1999-2000 è ancora a Genova, ma gioca poco, segna solo in Coppa Italia al Monza, poi a gennaio accetta la corte del Savoia, sempre in serie B, sperando di poter salvare la matricola campana, relegata in penultima posizione a metà torneo. A Torre Annunziata lo accolgono come un re, i compagni in allenamento gli battono le mani perché tecnicamente è il più bravo di tutti, mentre gli altri sono per la maggior parte semplici mestieranti del pallone, quasi tutti esordienti in B. Il Savoia non riesce a salvarsi, Pirri sforna qualche goloso assist per il centravanti Ghirardello (che ne beneficia chiudendo la stagione con 18 reti) e trova la via del gol contro Brescia e Chievo, quindi in estate capisce che al Savoia servono soldi per far cassa e programmare la stagione in serie C1 e torna alla Reggiana, nel frattempo anch’essa caduta in terza serie. Ad appena 25 anni, Alessio Pirri è già un “dimenticato” del calcio, uno che ha messo da parte i sogni di grandezza e prova a ritagliarsi il suo spazio in serie C dove nella stagione 2000-2001 non riesce nell’intento di aiutare la Reggiana a tornare in serie B, allora sceglie Padova ma la musica non cambia, anzi, in Veneto gioca pochissimo e non segna mai, per cui trasloca ancora e si trasferisce alla Spal dove fra il 2002 e il 2006 trova la sua oasi di pace, divenendo il simbolo della squadra ferrarese, nonché il leader tecnico della formazione emiliana. Spesso riciclato come uomo d’ordine in mezzo al campo, Pirri è il trascinatore della Spal, capelli lunghi fino alle spalle e barba incolta, anche nell’aspetto non è più lo sbarbatello dei tempi di Cremona.

Alessio Pirri chiude la sua carriera nel 2008 ad appena 32 anni dopo aver giocato le ultime due stagioni a Bassano del Grappa dove l’allenatore lo prende da una parte e gli chiede: “Ma perché quei piedi hanno giocato così poco in serie A?“. Già, perché? Dirlo con certezza è impossibile, di sicuro c’è che di occasioni non ne ha avute, che da quando la Juventus si è dimenticata di lui la sua carriera è finita nell’anonimato, senza che il calciatore stesso avesse colpe effettive: Pirri non era una testa calda e nemmeno uno che si allenava poco. In questi casi si dice “si sapeva vendere poco“, ma del resto in che modo dovrebbe vendersi un calciatore se non mettendo in mostra un talento sconfinato? Ha di che rammaricarsi Alessio Pirri per aver collezionato solo 16 presenze in serie A, però forse in questo caso il peggio non è stato solo per lui, ma anche per chi non ci ha creduto abbastanza.

di Marco Milan

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