Amarcord: la sorte di Enrico Cucchi, tutta colpa di un neo

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4 marzo, come cantava Lucio Dalla in quello che forse resta il capolavoro del compianto cantautore bolognese. 4 marzo come la data di nascita dello stesso Dalla e che per Enrico Cucchi, ex centrocampista classe 1965, significa invece fine del viaggio, per sempre. Per colpa di un neo, di una minuscola macchia che ha strappato al calcio e alla famiglia un ragazzo di appena 30 anni.

Enrico Cucchi nasce a Savona il 2 agosto 1965, magro e scurissimo di capelli, col calcio che lo risucchia praticamente in fasce. Enrico è infatti figlio di Piero, calciatore di Lazio e Ternana (fra le altre) negli anni settanta e successivamente allenatore. E’ proprio grazie al papà che il piccolo Enrico si appassiona al calcio giocato, ma non limitandosi semplicemente a correre dietro al pallone come i suoi compagni di scuola, imparando bensì dal genitore trucchi e linee guida della vita da atleta vero. In estate i due si svegliano presto al mattino, consumano una colazione leggera e poi via a correre in riva al mare: “Devi cercare di correre più degli altri”, dice sempre Piero Cucchi a suo figlio Enrico che, intelligente e riflessivo, segue in tutto e per tutto i consigli del padre. Non ci vuole molto a capire che quel ragazzino potrà fare strada nel calcio, tanto che è proprio il papà a dirlo sottovoce agli amici e alla moglie: “Mio figlio è assai più dotato di me, se tiene la testa sulle spalle arriverà presto in serie A”.

Nel frattempo, però, lo mette in quarantena: Piero Cucchi, divenuto intanto allenatore, è sulla panchina del Savona in serie C2, stagione 1981-82 e in rosa c’è anche suo figlio Enrico che ha appena 16 anni e di ruolo fa il centrocampista, caratteristiche principalmente difensive ma con un’enorme attitudine al ragionamento, dotato anche di una discreta tecnica e capace pure ad impostare l’azione. Piero ha paura che si dica in giro che ha fatto tesserare il figlio solo in quanto tale, non vuole che si pensi che quel ragazzo sia un raccomandato e non vuole neanche bruciarlo; così gli fa giocare qualche spezzone di partita, ne parla poco alla stampa e prova a proteggerlo come può. Ma l’ascesa di Enrico Cucchi è dirompente: 25 presenze ed una rete a neanche 16 anni in C2, troppo per non destare curiosità in un mondo come il calcio dove le notizie girano in fretta e gli osservatori dei grandi club vengono quotidianamente sguinzagliati dai presidenti come cani da tartufi anche nei campetti di periferia più sperduti.

Nell’estate del 1982 la Sampdoria ha già contattato più volte il Savona per acquistare Cucchi e il presidente Mantovani ha parlato sia con la società che con papà Piero. Sembra tutto fatto per l’approdo del giovane Enrico in blucerchiato, pure vicino casa, quando irrompe con prepotenza l’Inter, guidata dal direttore sportivo Giancarlo Beltrami che è vecchio amico ed ex compagno di squadra di Piero Cucchi. L’Inter è determinata, Beltrami chiama Piero Cucchi quasi tutti i giorni, alla fine la famiglia si convince e manda Enrico a Milano. A nemmeno 18 anni, Cucchi sbarca in uno dei club più importanti d’Italia, accolto quasi come mascotte da uno spogliatoio d’elite, capitanato da Giuseppe Bergomi che prende immediatamente in simpatia quel ragazzo silenzioso ma assai educato e rispettoso, nonchè un gran lavoratore in mezzo al campo. La mano del papà si vede tantissimo in allenamento dove Enrico Cucchi è instancabile, ma anche fuori dal terreno di gioco, mai un vizio, mai un’esagerazione a tavola.

Ma l’Inter è squadra forte e con un organico ricco: per Cucchi gli spazi sono pochi, in 4 anni dal 1982 al 1987 gioca poco ma mette a referto tappe fondamentali nella sua carriera, come l’esordio in serie A ad Ascoli il 13 gennaio 1985, il primo gol contro il Lecce o la sontuosa partita disputata a San Siro nella semifinale di Coppa Uefa contro il Real Madrid e della quale Cucchi è il migliore in campo, applaudito dall’intero stadio per colpi di tecnica pura ed una corsa continua lunga tutta la gara. “Cerca di correre sempre più degli altri”, il consiglio paterno che Enrico segue costantemente e che lo sta portando in alto, fino alla convocazione con la nazionale under 21 nel settembre del 1985. Nel 1987 l’Inter capisce che quel ragazzo deve giocare di più, altrimenti rischia di non fare il salto di qualità del quale è invece capace: la società nerazzurra lo manda in prestito all’Empoli che va a caccia della seconda salvezza consecutiva in serie A e dove Cucchi sarà il riferimento di centrocampo. Gli azzurri retrocedono ma la stagione di Enrico è da incorniciare: 26 presenze ed 8 reti che gli valgono un altro prestito, sempre in Toscana, stavolta alla Fiorentina.

E’ la stagione 1988-89, quella che all’Inter ribattezzeranno “l’anno dei record” perchè i nerazzurri di Trapattoni vinceranno uno scudetto incredibile, infrangendo diversi primati e sbaragliando la concorrenza del fortissimo Milan di Sacchi e del Napoli di Maradona. Un peccato non esserci per Enrico Cucchi che però non ha rimpianti, anzi, si gioca le sue carte di tornare a Milano disputando a Firenze un altro campionato eccellente con 4 reti in 32 presenze e la Fiorentina condotta al settimo posto e alla qualificazione in Coppa Uefa dopo lo spareggio di Perugia contro la Roma. Cucchi è ormai pronto per prendersi anche l’Inter sulle spalle, è un centrocampista con buone qualità tecniche, ottime in fase di interdizione ed una corsa fuori dal comune; è dotato di visione di gioco e di un tiro dalla distanza che lo rende pericoloso anche in zona gol. Il Fantacalcio non esiste ancora, ma Cucchi sarebbe stato certamente una pedina appetita da ogni fantallenatore, c’è da scommetterci.

La stagione 1989-90 dell’Inter non ripeterà i fasti della precedente, ma Cucchi si inserirà benissimo in squadra, protetto e stimato da due leader come Bergomi e Giuseppe Baresi, nonchè da Giovanni Trapattoni che ne loda anche pubblicamente le doti calcistiche ed umane. Sua una delle due reti con cui i nerazzurri batteranno la Sampdoria a San Siro il 29 novembre 1989 conquistando la Supercoppa Italiana, la prima della storia interista. Saranno 19 le presenze in campionato per Enrico Cucchi con la maglia dell’Inter in una stagione non felicissima per una squadra costretta a fare i conti con i dirimpettai cittadini del Milan che vincono la Coppa dei Campioni e contendono fino all’ultimo lo scudetto al Napoli. Cucchi sta bene a Milano, ma Trapattoni è chiaro con lui: “Non posso garantirti un posto da titolare, c’è Matthaus, c’è Berti”. E’ onesto il Trap, Cucchi è combattuto, vorrebbe restare, ma vuole più di ogni altra cosa giocare con continuità; chiede consiglio al papà, poi viene investito da una valanga di telefonate di Vincenzo Matarrese, presidente del Bari, che lo vuole a tutti i costi ed è pronto ad offrigli un ingaggio importante pur di prenderlo.

A luglio del 1990 Enrico Cucchi passa al Bari, in quella città che lo accoglie da eroe e che diventerà la prima tappa di un triste ed inesorabile calvario. Il tecnico Gaetano Salvemini apprezza Cucchi, vuole che lui e l’ex milanista Angelo Colombo siano il fulcro ed il riferimento del centrocampo barese, i polmoni di una mediana tutta fosforo e dinamismo. Ma per Cucchi le corse più importanti sono quelle verso il Policlinico: ben presto, infatti, il centrocampista ligure si accorge che un neo sulla coscia si è pericolosamente ingrandito, è diventato una preoccupante macchia marrone sui suoi muscoli d’acciaio. Si opera, i medici glielo dicono subito: “Abbiamo fatto bene ad intervenire, era davvero pericoloso, ma ora faccia controlli regolari e tanta attenzione, perchè potrebbe non essere finita qui”. Sono esperti e lungimiranti i chirurghi dell’ospedale, hanno capito che quel neo grande come una noce era un tumore, per il momento benigno o non sviluppato, ma che qualcosa in più potrebbe ripresentarsi in futuro.

Cucchi gioca 20 partite, segna anche due gol, in particolare da ricordare quello di Marassi contro la Sampdoria futura campione d’Italia: il Bari, sotto 3-1, va in rete con un bolide dell’ex interista, maglia numero 8, destro di pieno collo dal limite dell’area che si insacca all’incrocio dei pali e dà il via ad un assalto all’arma bianca dei pugliesi contro la porta di Pagliuca che farà tremare la formazione di Boskov fino all’ultimo. Nella stagione successiva, 1991-92, il Bari guidato da Boniek finisce in serie B ed Enrico Cucchi, a 27 anni, decide di sposare ancora la causa biancorossa e resta in Puglia dove vorrebbe contribuire alla pronta riscossa della squadra e ad un immediato ritorno in serie A. Non sarà così, il Bari finirà fuori dalla lotta promozione, dando l’addio ai sogni di gloria ed anche a Enrico Cucchi che a fine stagione lascia il capoluogo pugliese ed accetta la corte del Ravenna, neopromosso in serie B. Cucchi sbarca in Romagna con rinnovato entusiasmo, è la chioccia del gruppo ravennate in un paese ebbro di gioia per la prima storica serie B nella storia del club. Si sente anche bene fisicamente dopo qualche acciacco nelle ultime stagioni, senza sapere che quelli a cui va incontro saranno gli ultimi mesi della sua carriera.

Il Ravenna lotta per salvarsi, questo era chiaro fin da subito, ma ciò che stupisce è che l’apporto di un calciatore esperto e solido come Enrico Cucchi sia leggermente inferiore alle attese. Possibile che l’ambiente più piccolo e con poche pressioni stia facendo venire meno le motivazioni di un giocatore abituato alla platea di San Siro? No, semplicemente ad Enrico Cucchi sta accadendo qualcosa di molto più grande e di molto più grave. I dolori alla coscia aumentano, alle volte l’ex interista è costretto a fermarsi in allenamento e a sedersi in panchina, in qualche occasione riesce a malapena a farsi la doccia, poi si stende sul lettino dei massaggi per un paio d’ore prima che il dolore diminuisca permettendogli di riprendere la macchina e tornarsene a casa dove si mette al tavolo, apre i libri e studia, già da un po’, iscritto all’università, facoltà di Giurisprudenza, per intraprendere dopo il calcio il mestiere di avvocato o magari di procuratore per difendere i diritti dei colleghi calciatori. Un bel sogno per un ragazzo intelligente e con una testa pensante, in barba a chi vuole i calciatori solo belli, muscolosi ma con la zucca vuota.

Un giorno in allenamento il dolore agli adduttori si fa insopportabile, Cucchi non riesce neanche a stare in piedi, allenatore e compagni si rivolgono allo staff medico del Ravenna, i medici sono preoccupati ma non sono degli specialisti, loro curano i muscoli: “Enrico, devi farti vedere, qui c’è qualcosa che non va, tutto questo dolore non è normale”. La famiglia Cucchi sa già cosa potrebbe essere, il neo del 1990 non c’è più ma chissà che non fosse l’apripista per un male assai più invadente? E’ proprio così: la visita specialistica è una bastonata negli stinchi di Cucchi: ci sono linfonodi ovunque, ghiandole maligne sparpagliate come se fossero chicchi di riso lanciati ad un matrimonio. Enrico, la moglie Sabrina, papà Piero fanno cerchio: è una battaglia dura ma vogliono combatterla. Intervento chirurgico d’urgenza a Milano, doppio ciclo di chemioterapia per evitare l’invasione di metastasi, l’addio al calcio giocato che sembra (ed è) il minore dei problemi. Ma è tutto inutile, le metastasi hanno ormai abusivamente occupato il corpo di Enrico Cucchi, l’ex corridore instancabile e che stavolta sta rallentando, consapevole che presto si fermerà.

La malattia procede rapida, spedita, senza intoppi, Cucchi si fa sempre più debole, fra la fine del 1995 e l’inizio del 1996 i medici lo rimandano a casa, sono sconsolati ma purtroppo di più non possono fare. La moglie Sabrina è piena di rabbia, teme che in passato il marito sia stato gestito male dalle società in cui ha militato, informerà anche il PM Guariniello che aprirà un’inchiesta, ma nel frattempo c’è Enrico che con fierezza e baldanza affronta gli ultimi avversari della sua partita, troppo più forti di lui. Il 7 gennaio 1996 Piero Cucchi lascia la guida del Potenza in serie D dopo la sconfitta per 1-0 in casa dell’Agropoli; sembrano dimissioni tecniche, ma l’allenatore parla di motivi strettamente personali: per suo figlio Enrico sono le ultime settimane di vita, lo dice il medico personale alla famiglia. Enrico Cucchi muore all’alba del 4 marzo 1996 a neanche 31 anni nella casa di famiglia a Tortona, vicino Alessandria. Pochi giorni prima aveva detto a sua moglie: “Non portate fiori al mio funerale, ma istituite un fondo per la lotta contro il cancro”.

La rabbia della moglie Sabrina (che non avrà mai risposte chiare alle sue domande), lo spettro del doping e di cure sbagliate, il silenzio del papà Piero, chiuso da quel 4 marzo in un dolore che lo ha portato a parlare poco o nulla di suo figlio, e quella splendida eredità lasciata, la Fondazione Enrico Cucchi – Volontari per le cure palliative. Una carriera ed una vita stroncate da un neo, la corsa inesauribile di un ragazzo il cui ricordo vive e che ancora oggi commuove Giuseppe Bergomi: “Ricordo la sua progressione in campo, il carattere dolce e quel gol alla Sampdoria in Supercoppa. Lo ricordo da vincente, come voleva sempre essere lui”.

di Marco Milan

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