Impastato, restituito alla collettività il casolare dell’omicidio

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Peppino Impastato ha vinto ancora. Il casolare nella periferia di Cinisi, dove fu ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978, diventerà un bene pubblico. Un luogo di morte che si fa vita.

Il fratello, Giovanni Impastato, denunciava da anni lo stato di abbandono di quel posto dove ogni giorno silenziosamente giugno studenti e ragazzi da ogni parte d’Italia; una rete di associazioni aveva anche firmato una petizione per restituire quel luogo alla collettività; poi è stato dichiarato di interesse culturale, e adesso la Regione Siciliana ha approvato gli atti necessari per procedere alla espropriazione dell’edificio e del terreno circostante.

Una bella notizia per i familiari del giovane militante e cronista, per la Sicilia e i siciliani che continuano a combattere la criminalità e la cultura mafiosa, per tutti quei cittadini che hanno fatto della battaglia di Peppino la loro battaglia quotidiana. È anche una notizia di speranza: fino a quando ci saranno segni, simboli, luoghi dove la memoria e l’impegno si incontrano, ci sarà speranza di un cambiamento.

Una storia di coraggio quella di Impastato: prima prese le distanze dal padre Luigi, poi iniziò a denunciare i delitti e gli affari dei mafiosi dai microfoni di “Radio Aut”, una emittente completamente autofinanziata e gestita insieme ad altri ragazzi. Ironia, satira, controinformazione: così raccontava quotidianamente i soprusi e gli intrecci criminali di Gaetano Badalamenti, “Tano seduto”. Fu Cosa nostra a volerlo morto. Provarono a farlo passare come un suicidio il suo, o come un attentato terroristico di cui egli stato sarebbe stato l’autore. Come poi dimostrato, il corpo venne posizionato sui binari della ferrovia Palermo-Trapani dopo averlo ucciso in quel casolare che da questo momento è simbolo di rinascita.

(di Grazia Pia Attolini)

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