Amarcord: Darko Pancev, il cobra diventato ramarro

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Non è facile raccontare la storia di un calciatore passato dalla vittoria della Scarpa d’Oro all’essere l’idolo della Gialappa’s Band e di Mai Dire Gol, per la disperazione di una società che aveva investito tanto sul calciatore e di una tifoseria convinta di andare allo stadio ad applaudire un grande bomber e ritrovatasi invece a chiedersi dove fosse andato a finire. La carriera italiana di Darko Pancev ha visto concretizzarsi tutto ciò.

Darko Pancev nasce a Skopje (Macedonia, ex Jugoslavia) il 7 settembre 1965 ed inizia a giocare a calcio nella locale squadra del Vardar dove in 5 stagioni metterà a segno 84 reti in 151 partite, guadagnandosi l’ingaggio della Stella Rossa Belgrado che tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta è una delle formazioni più forti d’Europa. Pancev è un centravanti non dotatissimo tecnicamente ma con un gran fiuto del gol, sa sempre sfruttare le occasioni perchè intuisce dove andrà il pallone, è testardo e determinato, oltre che aiutato nella Stella Rossa da compagni dall’enorme classe quali Dejan Savicevic o Dragan Stojkovic: l’attaccante si guadagna presto anche la convocazione con la nazionale jugoslava e ad Italia 90′ realizza una doppietta nel 5-1 degli slavi agli Emirati Arabi Uniti, prologo alla memorabile stagione 1990-91 che vedrà Pancev coronare ogni sogno di bambino. La punta della Stella Rossa, infatti, vince con la sua squadra lo scudetto e soprattutto la Coppa dei Campioni, conquistata dai biancorossi nella finale di Bari contro l’Olympique Marsiglia, decisa ai calci di rigore proprio dal tiro decisivo di Pancev che con 34 reti stagionali è il miglior marcatore europeo dell’anno, record che gli vale la conquista della Scarpa d’Oro oltre alla posizione numero due nella classifica del Pallone d’Oro. Pancev è ormai uno degli attaccanti più richiesti a livello internazionale e dopo un altro scudetto a Belgrado, nell’estate del 1992, complice anche l’esplosione del conflitto interno in Jugoslavia e l’indebolimento dell’intero movimento calcistico, finisce sul mercato con la Stella Rossa pronta ad incassare una bella cifra per un calciatore che in 4 stagioni ha messo a segno 84 reti in 92 gare, numeri da goleador di razza.

Per 14 miliardi lire, Darko Pancev viene acquistato dall’Inter di Ernesto Pellegrini che vuole regalarlo al nuovo tecnico Osvaldo Bagnoli, inserirlo nell’attacco nerazzurro assieme a Schillaci e Ruben Sosa e strappare lo scudetto ai cugini del Milan, freschi campioni d’Italia con tanto di record di imbattibilità. Le premesse sono imponenti perchè Pancev di gol ne ha fatti tanti, ha vinto la Scarpa d’Oro e per tre volte di fila è stato capocannoniere della serie A jugoslava, guadagnandosi pure il soprannome di cobra, kobra per dirla alla slava. Pancev si presenta a Milano scendendo da una Mercedes scura con cappellino e sciarpa nerazzurra: ha i capelli nerissimi pettinati all’indietro e il sorriso furbo; i tifosi lo accolgono con cori ed applausi, lui afferma: “Sono felice di essere in Italia e di giocare per l’Inter”. Parole di rito che però infiammano sempre le tifoserie, eccitate dai nuovi acquisti, specialmente se preceduti ed accompagnati da ottime credenziali. Bagnoli, tipo notoriamente schivo e prudente, si lascia andare ad affermazioni pericolose, del tipo “Mi ricorda Boninsegna”. Il debutto è effettivamente da urlo: Pancev sigla 5 reti nel primo turno di Coppa Italia contro la Reggiana, tripletta all’andata e doppietta a ritorno. In campionato alla seconda giornata esordisce a San Siro, il 13 settembre 1992 durante Inter-Cagliari, gara che i nerazzurri vinceranno 3-1, primi punti in campionato dopo il clamoroso ko di Udine all’esordio. Pancev però gioca male, è impacciato ed avulso dal gioco della squadra, si divora anche un gol clamoroso che attira anche qualche fischio dello stadio milanese; una rondine non fa primavera? Forse, ma forse alcuni segnali sono presagio di sventura, anche più della semplice scaramanzia dei tifosi di calcio.

Pancev ci mette tanto, troppo ad ambientarsi ai ritmi del calcio italiano con un campionato che nel frattempo corre e a correre è soprattutto il Milan che si conferma capolista, aumentando la rabbia e la frustrazione del popolo interista che trova proprio nell’attaccante slavo uno dei capri espiatori di un’altra stagione deludente. Le prestazioni di Pancev sono infatti sempre più mosce, i gol sbagliati sono parecchi, le panchine ancor di più, all’attivo delle segnature c’è uno zero che si fa pesantissimo, soprattutto per chi si porta dietro numeri da centravanti di caratura internazionale. Il primo gol italiano di Darko Pancev arriva domenica 31 gennaio 1993, prima giornata del girone di ritorno, a San Siro contro l’Udinese; la rete giunge dopo pochi minuti grazie ad un colpo di testa del centrattacco su cross dalla destra di Nicola Berti. Lo aiutano portiere e difesa friulana, completamenti imbambolati, eppure a Pancev serviva proprio questo, segnare, in qualsiasi modo, ma segnare, sbloccarsi, prendersi i primi applausi di un pubblico che stava iniziando a perdere pazienza e speranze. Nel servizio serale della Domenica Sportiva, il sempre ironico e pungente Franco Zuccalà scherza su origini e luoghi comuni caduti sul calciatore ex Stella Rossa: “Pancev, anche se viene dalla Macedonia, dimostra di non essere alla frutta – annuncia il cronista – e Di Sarno e Calori, male informati, lo lasciano fare. Tanto, pensano, non segnerà mai”. E’ il primo sputo di veleno del cobra, l’Inter e Bagnoli possono tirare un sospiro di solievo, dunque, e invece le cose tornano piatte improvvisamente, perchè Pancev ripiomba nel suo stato amorfo e non dà seguito alla prodezza con l’Udinese.

I tifosi tornano a spazientirsi e anche Bagnoli alza la voce in una conferenza che diventerà epocale: “Dite che devo avere pazienza con Pancev perchè è macedone? Beh, io vengo dalla Bovisa e non sono certo un pirla”. Dietro questa battuta che fa sganasciare i presenti in sala e riempie le pagine dei giornali il giorno dopo, c’è tutto il malcontento, neanche troppo celato, di un allenatore che pensava di ritrovarsi in squadra un fuoriclasse e si è invece imbattuto in un classico bidone, un attaccante che non la butta dentro nemmeno per sbaglio, poco integrato e per nulla grintoso. Dov’è finito il bomber europeo degli anni precedenti? Dov’è finito il cecchino infallibile della Stella Rossa? Insomma, che fine ha fatto il cobra? Il primo campionato italiano di Pancev si chiude con un gol in 12 presenze, il Milan vince un’altra volta lo scudetto e a Milano le battute sul macedone si sprecano nei bar, negli uffici e nelle scuole. Pellegrini tira amaramente le somme: 14 miliardi di lire, la cessione di Jurgen Klinsmann, 4 anni di contratto a 2 miliardi per un attaccante molto più che anemico. E che la stagione 1993-94 non sia quella del riscatto lo si capisce sin da subito: Bagnoli non fa giocare il centravanti jugoslavo, confinato in panchina e in tribuna, presto dimenticato da tutti, ma non da quelli di Mai Dire Gol che con la loro proverbiale satira calcistica lo hanno già eletto bidone dei bidoni, definendolo un ramarro, in contrapposizione all’appellativo di cobra col quale si era presentato in Italia. Zero presenze e a gennaio Pancev fa le valigie e va in prestito in Germania nelle fila del Lipsia con cui segnerà 2 reti in 10 partite, nulla a che vedere con le prodezze del passato, ma almeno l’attaccante dimostra di essere ancora vivo.

Nell’estate del 1994, Pancev torna a Milano, in panchina all’Inter è arrivato Ottavio Bianchi che, prima di dar giudizi drastici, preferisce valutare e studiare quel calciatore involuto che non può esser diventato un brocco all’improvviso. Ed in effetti, lo jugoslavo sembra migliorato, più convinto ed aiutato dalle due reti nei primi due turni di Coppa Italia contro Lodigiani e Padova; Bianchi vuole sfruttare la scia di questi due centri estivi e ripropone Pancev anche in campionato, una fiducia che viene premiata dal macedone, in gol alla quarta giornata nel 3-1 dell’Inter sulla Fiorentina  e alla sesta nella sconfitta casalinga dei nerazzurri contro il Bari. Ma anche stavolta la fiamma si spegne presto: all’Inter segnano Ruben Sosa e il giovane Marco Delvecchio, Pancev torna impacciato e inconcludente, si fa notare per alcune reti clamorosamente fallite a ridosso della porta e finisce col non giocare più, chiudendo l’anno con 7 presenze e 2 reti in serie A. L’esperimento ed i tentativi di recupero sono falliti, così come fallimentare si rivela l’acquisto di un calciatore fra i più apprezzati in Europa, ma che in Italia non si è espresso, diventanto in pochissimo tempo una sorta di pensionato di lusso, pagato e strapagato da un’Inter disperata per un’operazione pressochè drammatica nei suoi risultati. A luglio del 1995 Pancev viene ceduto a titolo definitivo al Fortuna Dusseldorf dove realizzerà 2 gol; la carriera chiusa nel 1997 in Svizzera col Sion dove vincerà scudetto e Coppa Nazionale con 2 reti appena in coppa e solo 5 apparizioni in campionato. A 32 anni, Darko Pancev si ritira nell’indifferenza generale di un calcio che lo ha presto dimenticato dopo i fuochi con la Stella Rossa, la Coppa Campioni e la Scarpa d’Oro.

All’Inter, ancora oggi, Pancev è ricordato come uno dei calciatori peggiori che abbiano vestito la maglia nerazzurra, per le premesse con cui si era presentato a Milano e per gli scadenti risultati ottenuti con appena 3 reti in serie A e qualche prodezza estiva in Coppa Italia contro compagini di serie inferiori. In molti sorridono al ricordo della punta macedone, qualcuno sottolinea quella sua dura e stizzita frase del 1993: “Tifosi fischiano? Mi importa poco, io domani compro Ferrari”. Anche gli interisti ne potrebbero coniare una altrettanto celebre: Pensavo fosse un cobra, invece era un ramarro.

di Marco Milan

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