Olimpiadi Pyeongchang 2018: grandi speranze per il futuro del tricolore

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Passano troppo spesso inosservate, quasi dimenticate. Il curling, lo short track e il biathlon sono sport che in pochi conoscono. Eppure, regalano emozioni uniche, fanno brillare gli occhi e raccontano storie di vittorie sportive e umane, storie di atleti che soffrono, combattono, troppo spesso dimenticati in qualche palazzetto e di cui ci si ricorda solo quando stupiscono, quando la loro storia commuove e funziona nei titoli dei tg.

Ed invece queste olimpiadi ci hanno insegnato che non bisogna per forza correre dietro a un pallone per essere felici. Che, per un mondiale sfumato, ci sono 10 medaglie di cui essere orgogliosi. Ci hanno insegnato che perfino il ghiaccio si può sciogliere sotto il peso dell’allenamento, del cuore che pulsa e vibra forte, teso verso la meta. Come il cuore di Arianna Fontana, portabandiera della delegazione italiana, bronzo nei 1.000 metri del pattinaggio di velocità short track. A 27 anni compiuti, la Fontana ha ottenuto tre medaglie ai Giochi coreani, dopo l’oro nei 500 metri e l’argento nella staffetta, e l’ottava in quattro edizioni delle Olimpiadi invernali, il che la rende l’atleta più medagliata di sempre nello short track olimpico. Una ragazza come tante, un’atleta come poche, seguitissima sui social e con un vasto pubblico di sostenitori illustri da Bebe Vio a Roberta Compagnoni.

E poi ci sono Michela Moioni, oro nella finale dello snowboard cross, Federica Biggione, bronzo nello slalom gigante femminile e Sofia Goggia, prima nella discesa libera: mai una sciatrice azzurra era riuscita a conquistare la medaglia più preziosa nella gara regina dei Giochi. Traguardi belli, importanti, sogni che si avverano, vittorie cercate, a volte mancate, altre inaspettate. Sarebbe riduttivo dire che il cielo della capitale sudcoreana si è tinto di rosa perché no, non è questione di maschi e di femmine, di quote rosa e orgoglio femminile. È una questione di sport e di atleti, grazie ai quali il nostro tricolore può sventolare orgoglioso nei cieli grigi della capitale sudcoreana.

Contano le medaglie, conta la soddisfazione e le lacrime. Quelle di Arianna, plurimedagliata ma mai scontata sul podio. Quelle di Sofia, atleta di punta dell’intero movimento italiano di sci alpino, quando il suo oro non poteva più essere insidiato nemmeno dalla temutissima Lindsay Vonn. Anche quelle di Nicola Tumolero, bronzo nei 10mila metri del pattinaggio di velocità, che in corsa per una delle semifinali di Team Pursuit, ha riportato la completa rottura del tendine tibiale anteriore della gamba destra. Per lui stop forzato di tre mesi e un aereo che lo riporta in Italia senza aver potuto combattere fino alla fine.

Nei giorni delle promesse elettorali, dei vecchi partiti con le nuove casacche, del walzer degli slogan e dei re magi pieni di doni, ci piace credere che esista un’Italia pulita, un Paese che suda, si commuove e spera fino all’ultimo secondo. Un’Italia che sa fare la staffetta, che sa credere nello spirito di squadra e che pure corre veloce in solitaria per un obiettivo condiviso, non solo per accaparrarsi il vantaggio. Un’Italia che ha fame di vittoria e sete di traguardo, la cui pancia trema, la cui bocca è avida. Quei fratelli dalla patria, pieni di meraviglia e di stupore, figli di quella competizione che ti insegna a vivere come solo un campione sa fare. Ed anche a perdere.

Non sono mancate, infatti, le occasioni perse e i podi sfumati per centesimi e per centimetri. Come quello di Dorothea Wierer e Lisa Vittozzi, prima e seconda nello sprint prima di sbagliare all’ultimo poligono; di Johanna Schnarf quinta per qualche centesimo e di Omar Visintin caduto negli ottavi di finale. Delude il ritorno in pista di Carolina Kostner e il pattinaggio artistico.

Tuttavia, con un medagliere a due cifre, il risultato raggiunto supera le aspettative. Soltanto a Lillehammer, Albertville, Salt Lake City e Torino avevamo fatto meglio ottenendo un maggior numero di ori. Soprattutto hanno vinto le prime volte – snowboard, short track, discesa libera – e ha vinto la gioventù: mai avevamo avuto dei medagliati con una media di 26,3 anni. Una speranza per il futuro.

di Emiliana De Santis

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