La sanità del futuro, intervista ad Andrea Agnello IBM Italia

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Intelligenza aumentata: come aiutare l’uomo a spingersi oltre senza sostituirlo. Intervista ad Andrea Agnello, IBM Italia

Tecnologia sì, tecnologia no? Stando all’ultimo rapporto di Future Heath Index 2017, lo studio condotto a livello mondiale che indaga il sentiment di professionisti e cittadini sulla sanità del futuro, c’è fiducia nella tecnologia applicata alla salute ma si teme che venga meno il contatto umano.

Lo studio, condotto in 19 paesi di tutto in mondo inclusa l’Italia, rileva le esperienze e le percezioni di 1500 cittadini e 200 professionisti sanitari e indaga nello specifico tre filoni dell’healthcare: accesso alla sanità, integrazione del sistema sanitario e adozione di tecnologie e sistemi per le cure connesse, la cosiddetta “connected care”. Dallo studio emerge che, se da una parte i cittadini – e gli italiani in questo senso risultano essere i più realisti – comprendono le potenzialità della tecnologia, dall’altra non si farebbero mai visitare da un medico-robot!

Ma lo sviluppo in chiave hitech non si concede soste ed entrare in farmacia e interagire con dei robot che ci consigliano quale farmaco assumere non sarà più “roba” da film. Sarà inoltre possibile comunicare con software che immagazzinano su appositi cloud dati e informazioni sul nostro stato di salute, eventuali malattie o allergie, consigli di prevenzione, cure. Stiamo parlando di intelligenza artificiale e dell’arrivo in Italia del “cervellone” Watson, un modello in molti tratti simile all’essere umano. Capacità di comprendere, di ragionare sui dati acquisiti e di apprendere, queste le sue principali caratteristiche.  Ma chi è esattamente Watson? Quali i vantaggi per la salute? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Agnello, Industries and Business Development Director IBM Italia, nell’intervista che segue.

Chi è Watson?

IBM Watson è stato il primo sistema cognitivo ad arrivare sul mercato internazionale percorrendo tappe precise di ricerca, sviluppo tecnologico e anche di acquisizioni. Oggi il sistema di IBM è in grado di interpretare dati strutturati e non strutturati, usare il linguaggio naturale, le immagini, i suoni, può essere interrogato a voce e apprende in modo simile agli umani, raccoglie e analizza informazioni – in pochi secondi è capace di leggere l’equivalente di un milione di libri – ne interpreta il significato, ragiona su ipotesi e fornisce le evidenze che le supportano e custodisce tutto in cloud gestiti secondo i più elevati standard di sicurezza e nel più rigoroso rispetto della privacy. Le sue capacità offrono numerose opportunità ed hanno innumerevoli applicazioni essendo già al lavoro con organizzazioni di molti settori in tutto il mondo, come ad esempio al servizio della salute e della ricerca medica, nella finanza, il retail, l’agricoltura, l’Internet of Things, la supply chain e la formazione.

Il “cervellone” è arrivato anche in Italia: quali le opportunità e/o i rischi?

In Italia Watson e le sue componenti tecnologiche, disponibili anche in cloud per gli sviluppatori, sono già al servizio di numerose aziende pubbliche e private, al fianco di chi sta portando avanti progetti innovativi legati alla trasformazione digitale dell’impresa. Un ambito di applicazione che crediamo possa essere di grande rilievo per la nostra realtà è quello che vogliamo realizzare con l’intenzione annunciata di aprire un centro di eccellenza di Watson Health alle porte di Milano, dove l’obiettivo è quello di far convergere le migliori menti della ricerca mondiale e le più efficaci soluzioni cognitive per metterle al servizio dei medici e degli specialisti che lavorano per i sistemi sanitari europei e per le scienze della vita.

L’universo dell’intelligenza artificiale è affascinante ma anche un po’ – diciamolo – inquietante. Uomo e macchina riusciranno a convivere o prima o poi ci sarà il “sorpasso” da parte della seconda?

Ogni salto tecnologico rivoluzionario, dalla macchina a vapore, all’energia elettrica all’informatica, ha registrato questo tipo di interrogativo. E come sempre è avvenuto, l’uomo ha dimostrato di saper cavalcare queste innovazioni e alla tecnologia ha fatto da contraltare la nascita e la crescita di nuove professioni.

Watson ed i sistemi cognitivi di IBM che impiegano l’intelligenza artificiale vogliono affiancarsi alle competenze dell’uomo per amplificare e aumentare la sua conoscenza. Per questo parliamo di Intelligenza “aumentata”, perché bisogna puntare sulle abilità e sullo sviluppo delle competenze dell’uomo con l’obiettivo di dare un sostegno al suo lavoro potenziando e accelerando la sua capacità di accedere e analizzare enormi quantità di dati per estrarne conoscenza.

Cosa significa infondere una nuova intelligenza nel mondo della sanità? 

Significa poter avere una figura professionale “potenziata”, nella quale si integrano le capacità relazionali e le competenze specialistiche con la potenza di calcolo dell’intelligenza artificiale. Un farmacista, nel caso specifico, che sia in grado, grazie a un “consulente instancabile” sempre attivo al suo fianco, di comprendere quanto spesso è venuto un dato paziente cronico a prendere le medicine, se sta seguendo correttamente la terapia consigliata, come segnalare in tempo reale eventuali effetti collaterali e molto altro, è un professionista che può fornire un servizio migliore e più efficace ai suoi clienti.

Suggerimenti che arrivano grazie all’elaborazione di un numero di variabili enormi sul modello di quelle che già oggi supportano i medici grazie a strumenti come Watson.

Qual è lo stato dell’arte del nostro Paese rispetto al resto d’Europa?

Siamo al punto di svolta con l’intelligenza aumentata, che è già utilizzata in diversi settori d’industria. Un cambiamento che progressivamente modifica il modo di lavorare di molti professionisti. È quello che sta già accadendo in altri settori delle professioni, anche in Italia, e che inevitabilmente toccherà i farmacisti. I tempi di adozione saranno influenzati, come anche in altre occasioni, dalla propensione all’innovazione e dal bisogno di realizzare un vantaggio competitivo proprio del senso di imprenditorialità.

(di Anna Piscopo)

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