Il Partito Democratico verso il Congresso

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Continuano le peripezie del Partito Democratico, tra minacce di scissione e dimissioni

Si è tenuta a Roma ieri, domenica 19 febbraio, l’assemblea generale del Partito Democratico, caratterizzato da un diffuso malcontento e spinte scissioniste in seguito al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso.

Le correnti di minoranza del partito, infatti, avrebbero voluto le dimissioni dell’attuale segretario Matteo Renzi non solo da presidente del Consiglio, ma anche dal suo ruolo nel partito, spingendo verso un nuovo congresso. Renzi rappresenterebbe una deriva che ha perso il contatto con il popolo del PD, con una linea d’azione che si allontana dal sentire classico del partito.

Dopo due mesi e mezzo di stallo, le dimissioni di Renzi sono arrivate e sono state comunicate nell’intervento di apertura dell’assemblea dal presidente Orfini. Durante il suo intervento, il segretario dimissionario ha dichiarato che il congresso era diventato necessario. “Se non si fa il congresso diventiamo come gli altri, trovare un equilibrio non è difficile ma per fare cosa se il Pd ha già vissuto passaggi analoghi nel ’98 con Prodi, nel 2009 quando si è dimesso Veltroni. Il Pd si basa sui voti e non sui veti, il congresso è l’alternativa al modello Casaleggio o al modello Arcore” ha dichiarato Renzi. È stato però critico sulle ragioni che a questo congresso portano: la minaccia di scissione è stata definita un ricatto, solo perché qualcuno ambisce alla posizione.

Gli scissionisti negano di aver ricattato Renzi e la maggioranza del PD, di aver cercato il dialogo. Come ha dichiarato Pier Luigi Bersani, leader della minoranza d’opposizione interna al PD: “Siamo a un punto delicato. Una parte di noi pensa che se va avanti così il Pd va a sbattere. Non vogliamo mandare a casa Renzi per forza. Stiamo dicendo che vogliamo discutere di una correzione di rotta. Renzi ha alzato un muro. Ma se si va avanti così, non sarà possibile aprire una discussione. Chi guida il più grande partito della sinistra europea – dice – avrebbe il dovere di ascoltare le grida di dolore che si alzano non solo tra i dirigenti del partito”.

Mediazione a sorpresa è arrivata da Michele Emiliano, governatore della Puglia. Nonostante anche in tempi recenti si fosse espresso contro Renzi e la sua politica, ha cambiato rotta. “L’unità è a portata di mano, ho fiducia nel nostro segretario”, ha dichiarato durante il suo intervento. Tuttavia, Emialiano ha specificato che non si tratta di un passo indietro, quanto di un tentativo di abbassare i toni.

Al PD, infatti, non conviene una scissione, specialmente quando gli altri partiti e movimenti sono abbastanza unitari, o comunque in grado di formare alleanze che potrebbero garantire la governabilità del Paese.

Il grande assente dell’assemblea era Massimo D’alema, definito dal renziano Roberto Giachetti il “conductor della scissione”. “È una perdita di tempo provare a trattare con Renzi, io lo conosco, non farà mai passi indietro”, aveva dichiarato.

Eppure Renzi il passo indietro lo ha fatto. Bisognerà vedere ora l’esito del congresso e delle candidature. Tra i papabili, oltre allo stesso Renzi che intende ricandidarsi, anche Enrico Rossi e Roberto Speranza, i più riottosi a cercare un accordo con l’ex premier. In dubbio la posizione del governatore pugliese Emiliano, dato in precedenza come possibile candidato/scissionista, ma il cui intervento di mediazione fa dubitare delle sue posizioni.

(Francesca Parlati)

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