Il discorso di addio di Obama: “E’ stato l’onore della mia vita servirvi”

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Obama. Martedì 10 gennaio a Chicago, l’ultimo discorso da presidente. Democrazia, uguaglianza e impegno civile i punti chiave del farewell speech.

ObamaÉ un mantra quello che ripete Barack Obama davanti a 20 mila persone nel suo discorso di addio dopo 8 anni di presidenza. Al McCormick Place di Chicago, città dove ha costruito la sua carriera politica, nel centro congressi dove celebrò la sua vittoria contro Mitt Romney nel novembre 2012, Obama esorta il popolo americano a non desistere dall’impegno civile, ad aver fiducia nella democrazia e a credere nella mobilitazione per il cambiamento.

“”Yes, we can” è uno slogan difficile da prendere sul serio in una America provata dalla vittoria di Donald Trump” dice Federico Rampini che continua: “Obama ha dato una grande lezione di democrazia. Non possiamo limitarci a stare seduti a lamentarci se qualcuno non ci piace. Dobbiamo chiederci cosa abbiamo fatto per consentire la sua vittoria“.

Un bilancio generalmente positivo dove tuttavia trova spazio l’autocritica. L’America di oggi è migliorata rispetto a 8 anni fa ma non è abbastanza ha detto Obama. L’economia non cresce in maniera giusta se la disuguaglianza sociale ed economica colpisce la classe media soprattutto nelle piccole città. Quando un Paese non garantisce pari opportunità e tutela solo gli interessi dei potenti, il rischio è la polarizzazione.

Il “mestiere “ di cittadino è il più importante in una democrazia e deve essere esercitato non solo in occasione degli appuntamenti elettorali o quando i propri interessi sono a rischio, ma sempre” ha detto Obama. “E se siete stanchi di discutere con degli estranei su Internet, provate a incontrarne qualcuno in carne e ossa. Candidatevi per un incarico pubblico. Mettetevi in gioco, scendete in campo. Potrete perdere o potrete vincere ma sarete ispirati e ne trarrete nuovo vigore. E la vostra speranza nell’America e negli americani verrà confermata”.

Obama non si tira indietro e promette che farà la sua parte perché “fra dieci giorni si compia il pacifico passaggio dei poteri, un punto alto della nostra democrazia”.

Obama sa che la democrazia americana è in questo periodo sensibile alle sirene del populismo e della violenza verbale (ma non solo). Pertanto, sullo stato di salute di questa democrazia, evitando di citare espressamente Donald Trump, esorta al rispetto della Costituzione, un dono bellissimo che resta un pezzo di carta senza valore se il popolo, attraverso la partecipazione e le scelte che fa, non glielo fornisce.

Obama ha elencato – con una punta di orgoglio- i successi della sua amministrazione: nonostante gli attentati di Boston e Orlando, la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico in questi 8 anni efficacemente garantiti; uccisione e cattura di pericolosi terroristi (Osama Bin Laden, in primis); la lotta all’ISIS che continuerà fino alla sua totale eliminazione; l’ordine di chiusura del campo di prigionia di Guantanamo (non firmato dal Congresso Usa); il provvedimento che estende il diritto alla protezione della privacy anche ai cittadini non americani (dopo lo scandalo dei controlli di massa della Nsa denunciati da Edward Snowden); la storica sentenza della Corte Suprema che riconosce le nozze gay come diritto costituzionale.

Poi rapidamente, il Presidente passa alle autocritiche, a ciò che durante il suo doppio mandato non è riuscito a raggiungere in termini di risultato. In primis, le diseguaglianze crescenti, “una tendenza di lungo periodo” iniziata ben prima della sua presidenza ma che impone nuove soluzioni: da un Welfare adeguato a riforme per impedire l’elusione fiscale delle multinazionali (“Se non facciamo progressi su questo, avremo ancora più disillusione e più polarizzazione politica“). E ancora, l’argomento per Obama più spinoso: l’illusione che con un presidente di colore l’America sia divenuta “post-razziale”. Illusione appunto, “It means acknowledging that the effects of slavery and Jim Crow didn’t suddenly vanish in the ‘60s” dice Obama “Gli effetti dello schiavismo non sono svaniti negli anni Sessanta“.

C’è spazio anche per la denuncia della manipolazione del razzismo (riferimento indiretto a Trump) da parte di chi fomenta “gli operai bianchi perché credano che le loro difficoltà economiche siano dovute alle minoranze etniche, e così il conflitto sociale diventa una lotta tra poveri per la spartizione delle briciole, mentre i privilegiati godono”. Obama si scaglia contro chi denuncia le legittime rivendicazioni di neri e immigrati come fossero un “razzismo alla rovescia” (“That when minority groups voice discontent, they’re not just engaging in reverse racism or practicing political correctness”) e attacca l’islamofobia: “Respingo le discriminazioni contro i nostri connazionali musulmani, che amano l’America quanto voi“, “That’s why I reject discrimination against Muslim Americans”).

Ringrazia Michelle e si commuove: “Negli ultimi 25 anni, non solo mia moglie e la madre delle mie figlie, sei stata anche la mia migliore amica. Sono fiero di te, l’America è fiera di te” (“You’ve made me proud. You’ve made the country proud”). Elogia le figlie, Malia e Sasha, ringrazia il vice-presidente Joe-Biden, un fratello (“I gained a brother”) e l’intero staff della Casa Bianca.

Yes we can” è da martedì sera un impegno a mobilitare il popolo per la democrazia e alla democrazia. Un messaggio verso coloro i quali credono nel “sogno americano”, nelle opportunità perché, come ha detto Obama, i sogni non si realizzano da soli.

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