Il lento impoverimento degli italiani: intervista a Giulio De Rita

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I dati di Openpolis e del Censis parlano chiaro: al decrescere dell’offerta di lavoro corrispondono redditi sempre meno adeguati. Ecco come cambia la povertà

Sempre più italiani fanno fatica a far quadrare i conti e a “fine mese” ci arrivano quasi a stento. Non parliamo soltanto di persone costrette a vivere ai margini delle grandi metropoli in situazioni che difficilmente definiremmo “umane”, ma anche di tante famiglie e tanti giovani – in molti casi laureati – che non riescono a trovare un’occupazione stabile, facendosi così travolgere da quella precarietà che da economica diventa relazionale. Esistenziale.

Abbiamo messo a confronto le ricerche pubblicate dall’associazione no profit Openpolis e dall’istituto Censis (Centro Studi Investimenti Sociali); i dati parlano chiaro: nel 2015 i poveri assoluti sono circa 4,6 milioni, ovvero il 7,6% della popolazione. Il dato più alto dal 2005.

In mezzo a queste due date, la crisi economica che ha portato le persone la povertà assoluta a crescere del 141%. Il picco si è raggiunto tra il 2011 e il 2013 soprattutto nelle regioni del sud, dove vivono oltre il 45% dei poveri assoluti italiani. La crisi non ha risparmiato le altre aree dell’Italia: al nord nel 2005 la povertà riguardava 588mila persone, mentre sono 1,8 milioni di individui.

Ma cosa s’intende per “povertà assoluta”? L’Istat definisce con questa espressione coloro i quali non riescono a permettersi beni considerati minimi, tra cui alimenti, vestiti, prodotti per la casa, medicine, mezzi per spostarsi, per mantenere un tenore di vita accettabile.

Tuttavia l’aumento della povertà assoluta e le “nuove forme” di povertà non trovano ancora risposte nel welfare italiano. Questi e altri dati nel minidossier “Poveri noi” di Openpolis ben riassunto nell’infografica.

Un capitolo della ricerca di Openpolis è dedicato alla povertà giovanile, in grave aumento: se fino a dieci anni fa erano gli anziani a essere definiti poveri, oggi sono i giovani-adulti e i minorenni. Tra le cause, anche l’altissima percentuale di persone che non studiano, non lavorano e non sono in formazione (i cosiddetti neet). E il nostro Paese ci tutela? Sempre i dati dell’associazione ci informano che “poca della nostra spesa sociale viene destinata ai soggetti che, con la crisi, hanno subìto maggiormente l’impoverimento”. In Italia la tutela dalla disoccupazione e dal rischio esclusione, infatti, impiega il 6,5% della spesa in protezione sociale, contro il 15,8% della Spagna, il 12,1% della Francia. In cosa anche a Germania e Regno Unito.

Anche i dati raccolti nel “50°rapporto sociale sulla situazione economica del nostro Paese”, pubblicato dal Censis lo scorso 2 dicembre, non sono confortanti: dal rapporto emerge, infatti, che il welfare dell’Italia non riesce a garantire alle persone di “galleggiare sopra la linea della povertà”. Le cause? Anche qui mancanza di creazione di lavoro e, di conseguenza, redditi inadeguati sono in cima alla lista. Infatti, i dati riportati nella ricerca Censis evidenziano che in non poche collocazioni occupazionali il reddito garantito non è sufficiente per tenere le persone sopra la linea del disagio. Quindi, non soltanto mancanza di lavoro, ma anche lavoro malpagato. E, dato ancor più preoccupante, sembra che questa situazione sia destinata a crescere in futuro.

L’intervista

Abbiamo raggiunto telefonicamente Giulio De Rita, ricercatore Censis.

Dottor De Rita, cosa intendiamo con “nuove forme di povertà”?

Più che di “nuove forme di povertà” dovremmo parlare di un disagio crescente che ha eroso negli ultimi dieci anni il benessere e la capacità di sostenersi in modo dignitoso.

Quali sono i fattori che hanno influito?

I fattori sono diversi, ma quello che induce sotto la soglia di povertà è la concomitanza tra elementi. Uno di questi è l’impoverimento che ha colpito nuove province italiane: pensiamo a Pesaro e Urbino, città che in passato godevano di una buona situazione economica, oggi sono passate a una di “retroguardia”

Inoltre, mentre in passato eravamo abituati a famiglie con più redditi al proprio interno, oggi questa situazione si verifica sempre meno. In questo Paese diminuisce la capacità di produrre reddito per un’ampia fascia di popolazione e, di contro, aumentano le spese sanitarie. È una continua e lenta erosione che ha portato molte famiglie a indebitarsi.

Sembra evidente che il nostro welfare non ci protegge…

Il welfare italiano protegge i più anziani che hanno un’assistenza sanitaria più o meno garantita, che magari hanno una casa di proprietà e qualche risparmio da parte.

E i giovani?

I giovani sono i nuovi “soggetti deprivati”, i quali non riescono in molti casi a rendersi autonomi. Purtroppo a questo non intravedo una risposta pubblica, né familiare. Se salta il patto generazionale, salto tutto.

Più che di povertà dovremmo quindi parlare di un lento e progressivo impoverimento che ha avuto sicuramente origine nella crisi economica che attanaglia il nostro Paese, e che ha portato a un conseguente calo dell’incremento dei posti di lavoro. Una realtà che persiste in modo stagnante. Un cane che si morde la coda. E a farne le spese sono nella maggior parte dei casi i giovani che, nonostante le qualifiche e gli anni trascorsi sui libri nella speranza di costruirsi un futuro migliore, non riescono a guardare oltre l’orizzonte.

(di Anna Piscopo)

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