Amarcord: il Napoli 1997-98, il peggiore della storia partenopea
Ogni società di calcio ha i suoi cicli, i suoi momenti di gloria e quelli di minor successo. Prendiamo il Milan, ad esempio: la serie B ad inizio anni ottanta, la difficile ripresa e il rilancio con Silvio Berlusconi, venticinque anni di successi e trionfi prima del declino. Al Napoli, il periodo di maggio splendore è coinciso con l’arrivo di Diego Armando Maradona e i due scudetti di fine anni ottanta; alla presidenza, Corrado Ferlaino, in carica dal 1969, artefice degli azzurri campione d’Italia, nonchè del lento ma inesorabile crollo di metà anni novanta.
Dopo lo scudetto del 1990 e il tribolato addio di Maradona, il Napoli vive anni poco esaltanti con la cessione dei principali calciatori in rosa e l’avvicendamento in panchina di diversi allenatori, da Ranieri a Marcello Lippi, da Boskov a Luigi Simoni, ultimo tecnico in grado, nella stagione 1996-97, di condurre il Napoli ad una stagione entusiasmante con il raggiungimento della finale di Coppa Italia, persa dai partenopei contro il Vicenza. Nell’estate del 1997 i tifosi napoletani si augurano di vivere una nuova annata di speranza, nonostante una società con problemi economici e le casse di Ferlaino desolatamente vuote; ma Simoni è già passato all’Inter e il Napoli ha ceduto anche il forte centrocampista francese Boghossian alla Sampdoria, l’attaccante Caccia all’Atalanta, Pecchia alla Juventus e i difensori Cruz e Colonnese, trasferiti entrambi a Milano, il primo al Milan e il secondo all’Inter. Al loro posto arrivano il giovane attaccante romano Claudio Bellucci, 20 gol col Venezia in serie B, il difensore francese Prounier, proveniente dal Manchester United e l’ex capocannoniere della serie A Igor Protti che nell’ultimo campionato con la Lazio non si è ripetuto. Il nuovo allenatore è Bortolo Mutti che nella stagione precedente ha guidato il Piacenza ad una brillante salvezza in serie A. Ai nastri di partenza del campionato, il Napoli non è certo fra le favorite, ma gli addetti ai lavori pronosticano un torneo di metà classifica con possibile inserimento dei partenopei nella lotta ad un posto Uefa, ritrovando quell’Europa che in Campania non si vede da tre anni.
Il campionato 1997-98 inizia domenica 31 agosto 1997, il Napoli è di scena allo stadio Olimpico di Roma contro la forte Lazio di Eriksson: la partita è dura per i partenopei che tuttavia resistono discretamente agli attacchi laziali, pur soccombendo nel finale ed uscendo sconfitti per 2-0. Mutti a fine gara parla di percorso da seguire ed ostacoli da superare per una squadra giovane come quella azzurra, ma promette battaglia sin dalla gara successiva che il Napoli giocherà in casa allo stadio San Paolo contro il neopromosso Empoli. Per preparare la partita contro i toscani ci sono due settimane, causa la sosta del campionato per gli impegni delle nazionali; Mutti carica lo spogliatoio e contro l’Empoli manda in campo una formazione agguerrita ma prudente con in campo ben cinque difensori; i risultati, però, sembrano dar ragione all’atteggiamento guardingo del tecnico azzurro perchè il Napoli, pur senza brillare, ottiene la vittoria per 2-1, firmata dalle reti di Bellucci e Protti. La strada, insomma, sembra tracciata e le motivazioni sono molte, anche se il cammino non è certo in discesa per una formazione blasonata ma con un organico non irresistibile. Le aspettative sono altissime da parte dei tifosi napoletani, ancora orfani di Maradona dopo sei anni, ma allo stesso tempo esigenti nei confronti di una squadra lontana anni luce da quella di una decina di stagioni prima. Dopo un pareggio in casa del Vicenza e la sconfitta casalinga contro l’Atalanta, firmata dall’ex di turno Caccia, Mutti finisce sul banco degli imputati: ai tifosi non piace il suo modo di fare troppo provinciale, la società non gradisce la sua remissività dopo le partite. Roma-Napoli del 5 ottobre, quinto turno di campionato, è già un esame di laurea per l’allenatore azzurro, costretto a far punti in casa di un avversario temibile con un attacco roboante; la Roma di Zeman, infatti, gioca tutta all’attacco e sfrutta le qualità delle sue punte, rapide e brave a fraseggiare senza dar punti di riferimento: la gara è un monologo romanista, finisce addirittura 6-2 per i giallorossi, il Napoli esce umiliato dall’Olimpico e Mutti si lecca le ferite, consapevole di un esonero che arriva puntualmente il giorno seguente.
Ferlaino sceglie l’esperienza e chiama in panchina Carlo Mazzone che l’anno prima ha sfiorato la salvezza alla guida del Cagliari, raccattato in zona retrocessione e condotto fino allo spareggio perso contro il Piacenza allenato proprio da Bortolo Mutti. Mazzone chiede ed ottiene subito un rinforzo: Giuseppe Giannini, ex capitano della Roma e reduce dalla poco felice esperienza in Austria nelle fila dello Sturm Graz. Ma anche con il navigato tecnico romano, la rotta viene tutt’altro che invertita: il Napoli dalla sesta alla nona giornata perde tutte le partite, prima 2-0 in casa contro la capolista Inter, poi 5-1 a Bologna, quindi 2-1 al San Paolo contro la Juventus, infine 2-0 a Lecce in uno scontro diretto che deprime l’intero ambiente napoletano, affranto dopo un ko tanto netto quanto infimo, segno che la squadra è in disarmo, ultima in classifica e già quasi rassegnata al suo destino dopo appena tre mesi di stagione. L’avventura di Carlo Mazzone a Napoli si chiude così, con 4 sconfitte in altrettante partite, la sensazione che l’allenatore trasteverino non abbia trasmesso la sua grinta ad un gruppo troppo inesperto per sopportare il peso della maglia azzurra; Lecce-Napoli si conclude sotto la pioggia, Mazzone a bordocampo a fissare il vuoto con l’acqua che gli sferza il volto: sarà la sua ultima immagine da tecnico napoletano, perchè la società, in preda all’improvvisazione e alla paura atroce di retrocedere, cambia ancora e affida la panchina ad un’altra vecchia volpe, Giovanni Galeone, poca fortuna dopo l’exploit a Pescara di fine anni ottanta, comunque reduce da due promozioni consecutive a Udine e Perugia portate entrambe in serie A nel 1995 e nel 1996. Fosse la coincidenza giusta: nel periodo di massimo splendore napoletano arrivava il miracolo pescarese con Galeone alla guida degli abruzzesi; che possano rilanciarsi insieme dopo aver vissuto nello stesso momento tante soddisfazioni? A Napoli tutti hanno ormai capito che salvarsi sarà durissima, anche perchè la squadra è stata allestita male, mancano personalità e carisma, i giovani sono gettati allo sbando, il solo Bellucci, l’unica nota lieta dell’anno, non basta a tenere alta la bandiera di un gruppo sgangherato. E poi ci sono i tifosi, imbufaliti per l’ultimo posto, accesi contestatori della proprietà e assai poco teneri anche coi calciatori; la celebre ironia partenopea, poi, stavolta più che sorridere umilia quelli che dovrebbero essere i beniamini della tifoseria: il difensore Facci, proveniente dalla Salernitana, è uno di quelli maggiormente in difficoltà, è costantemente beccato dalla curva che per lui ha coniato il sarcastico coro “Facci un gol”, giocando sul cognome del ragazzo.
Il compito che attende Galeone, insomma, è alquanto difficoltoso, anche se le premesse sono discrete: il 30 novembre 1997 al San Paolo arriva la brillante Fiorentina di Malesani che ha in rosa calciatori del calibro di Rui Costa e Batistuta, ed è in lotta per un posto in Coppa Uefa. Piove a dirotto su Napoli e ben presto anche sulla squadra di Galeone, trafitta da un gol del difensore gigliato Firicano; il pubblico partenopeo è rassegnato, pronto a vivere la settima sconfitta consecutiva di un campionato ormai trasformatosi in incubo azzurro. Invece accade quello che nessuno si aspetta: il Napoli tira fuori orgoglio e dignità, Turrini firma la rete del pareggio e sfoga la frustrazione in un’esultanza rabbiosa, poi invita il resto della squadra ad andare alla ricerca della vittoria; la formazione campana attacca e sfiora la rete in più di un’occasione, anche se il risultato di 1-1 non cambierà più. Nonostante il pareggio contro la Fiorentina non serva a molto per l’esangue classifica napoletana, gli azzurri escono fra gli applausi di un pubblico improvvisamente ringalluzzito dalla grintosa prestazione degli uomini di Galeone. A Napoli torna un barlume di speranza, forse la stagione si può ancora raddrizzare, ed è ciò che in fondo dice anche lo stesso tecnico nato proprio a Napoli, alla ricerca di ogni appiglio per motivare i suoi giocatori. Ma le cose non si aggiustano: il Napoli perde le ultime tre partite dell’anno solare contro Piacenza, Parma e Sampdoria, oltre alla prima del 1998 al San Paolo contro il Milan, vittorioso per 2-1 ma al termine di una gara dominata dai partenopei, in grado di produrre almeno cinque clamorose palle gol sfruttandone solamente una col solito Bellucci. Il mercato invernale è l’ultima possibilità per il Napoli, sempre più ultimo in classifica e con una sola vittoria all’attivo: parte l’inutile Prounier, arriva l’attaccante serbo Stojak, prelevato dal Vojvodina, formazione in cui ha realizzato oltre 30 reti nelle ultime due stagioni. Parte un demotivato Giannini che si accasa al Lecce.
Dopo un pareggio a Udine, il Napoli chiude il girone d’andata con due sconfitte indecorose: 0-3 in casa contro il Brescia e 2-0 a Bari. Galeone non sa più a che santo votarsi, i tifosi sono spazientiti ma anche demoralizzati, la società tace: la retrocessione, con ancora un intero girone di ritorno da giocare, sembra ormai inevitabile, tv e giornali sono increduli, anche perchè il Napoli, pur non avendo a disposizione una rosa di alto livello, non sembra inferiore alle concorrenti per la salvezza che viaggiano già con una decina di punti di vantaggio sui campani; lo stesso Lecce, che retrocederà inesorabilmente a fine campionato, mette in campo coraggio ed intensità, perdendo le partite per pure mancanze tecniche. Il Napoli, invece, oltre al deficit strutturale, ha anche limiti caratteriali, paura di scendere in campo in uno stadio che trasuda gloria da ogni poro e che fa pesare il blasone più coi seggiolini vuoti e l’indifferenza del pubblico, che con le contestazioni e la ferocia di inizio stagione. Il 5-0 subìto ad Empoli l’8 febbraio 1998 alla diciannovesima giornata, convince Ferlaino che la serie B è ormai inevitabile ma che va quantomeno salvaguardata la faccia: Galeone viene licenziato e al suo posto arriva Vincenzo Montefusco, napoletano doc e tecnico della Primavera azzurra; a lui il compito di traghettare la squadra con onore nelle ultime quindici giornate di campionato, rendendo meno amara possibile una retrocessione a questo punto non più in discussione. Montefusco porta umiltà e calma in uno spogliatoio da una parte isterico e dall’altra demoralizzato con la convinzione di un’incapacità che in 19 giornate ha prodotto un solo successo. Sarà un caso, ma al primo tentativo Montefusco fa centro: Napoli-Vicenza finisce 2-0, reti di Turrini e del neoacquisto Stojak, gli azzurri ritrovano la vittoria dopo cinque mesi e anche il gioco sembra migliore. Troppo tardi? Probabilmente sì, ma il nuovo allenatore napoletano invita tutti a fare il possibile, nel calcio, in fondo, non si sa mai. Apprezzabile il tentativo, ma il destino del Napoli è ormai segnato: al successo sul Vicenza, infatti, non ne seguiranno più, gli azzurri perderanno 10 delle ultime 14 partite, andando incontro anche a figuracce epocali come lo 0-4 di Firenze, l’1-2 in casa col Piacenza, ma soprattutto il 2-4 del San Paolo contro il Lecce nella sfida del 22 marzo fra formazioni già spacciate e in cui in campo il Napoli non mette neanche un pizzico d’orgoglio.
Al contrario, prestazioni come quella in casa della Juventus futura campione d’Italia, in cui Bellucci e compagni sono in grado di rimontare due volte i bianconeri e per di più in nove uomini contro undici, alimentano la rabbia del popolo napoletano, nonchè i rimpianti per una stagione buttata alle ortiche e che sta riservando solo umiliazioni e primati negativi alla storica formazione campana. La retrocessione aritmetica del Napoli giunge l’11 aprile dopo la sconfitta di Parma per 3-1, e a certificarla è il napoletano Fabio Cannavaro, colonna del Parma e della nazionale italiana, che a fine gara dirà: “Mi dispiace per il Napoli, ha vissuto una stagione tormentata, mi dispiace veramente”. Una retrocessione che fa male per il Napoli, caduto in serie B dopo 33 anni, due scudetti, una Coppa Uefa, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana solo nelle ultime quindici stagioni, tutto con la stessa proprietà, tutto nel giro di pochi anni. Milan-Napoli del 26 aprile è una partita grottesca: i rossoneri sono incappati in una stagione disastrosa, chiusa a metà classifica, i partenopei sono appena finiti in serie B, San Siro è mezzo vuoto, in campo si trascinano due squadre immalinconite e zeppe di riserve che danno vita ad uno scialbo 0-0 che chiude simbolicamente l’epopea d’oro del grande Napoli che proprio con le leggendarie sfide al Milan di Sacchi aveva iniziato la sua scalata al calcio italiano.
Il deprimente campionato 1997-98, il peggiore in serie A della storia del Napoli, termina domenica 16 maggio con un inutile 2-2 al San Paolo contro il Bari: le statistiche sono impietose per gli azzurri, con 14 punti totali, 2 sole vittorie (nessuna in trasferta, peraltro), 8 pareggi e ben 24 sconfitte, 25 gol segnati e ben 76 subìti, – 51 in media inglese. Dal disastro si salva il solo Claudio Bellucci, autore di 10 reti, tantissime se si considera il risultato totale della squadra, mentre deludono Protti e Giannini, delude il centrocampo senza qualità e in cui non possono far molto i soli Rossitto, Altomare e Longo. Delude soprattutto la società, incapace di inserire elementi di temperamento in rosa e di capire in tempo la china che stava prendendo quella che verrà per sempre ricordata come la peggior annata di tutti i tempi per il Napoli; Ferlaino rimarrà colpevolmente in silenzio per tutta la stagione, restando in balia degli eventi ed esponendosi solamente in occasione dei tre cambi di guida tecnica, risultati poi infruttuosi. A Napoli si vive di passione, la città si esalta, si stringe intorno alla squadra di calcio ed è pronta a soffrire insieme agli azzurri: nel campionato 1997-98 è mancato anche l’appoggio del pubblico, disamorato da una formazione senz’anima, incredulo di fronte alla più misera classifica mai letta prima. Napoli ultimo in serie A, da non crederci, eppure è andata davvero così.
di Marco Milan