Attentato di Istanbul: terrore senza fine

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Attentato all’aeroporto Ataturk di Istanbul, 43 vittime e centinaia di feriti. La perla del Bosforo torna a essere colpita al cuore, per la terza volta in pochi mesi, e la Turchia si sente sotto attacco

L'aeroporto Ataturk di Istanbul
L’aeroporto Ataturk di Istanbul

Dopo Parigi, Bruxelles e Istanbul, il terrorismo internazionale di matrice islamica torna a colpire proprio la città sul Bosforo lasciando sul terreno 43 morti e oltre 200 feriti. Un orrore senza fine quello patito dalla porta d’Europa, che vede salire a oltre settanta il numero delle vittime in meno di sei mesi e che ora teme di divenire il bersaglio preferito dei gruppi terroristi e di perdere quel suo status di ponte fra oriente e occidente che ne hanno determinato la fortuna negli ultimi duemila anni.

I fatti, come sempre in questi casi, sono truci e assolutamente poco adatti a coloro che sono facilmente impressionabili. Il 28 giugno scorso, un gruppo di terroristi, probabilmente composto da 7 persone, ha aperto il fuoco nella zona dei controlli di sicurezza dell’aeroporto Ataturk di Istanbul. Erano le 22, ora locale, ma l’aeroporto era comunque affollato da turisti e passeggeri in procinto di partire con gli ultimi voli della sera. Tre degli attentatori, dopo aver sparato all’impazzata sulla folla, hanno ingaggiato un conflitto a fuoco con i poliziotti intervenuti per bloccarli. Da ultimo gli attentatori si sono fatti saltare in aria.

A terra sono rimaste decine di cadaveri e oltre duecento feriti, molti dei quali continuano a versare in gravi condizioni negli ospedali cittadini. Fra i morti si contano anche una decina di stranieri. Tre presunti membri del commando sono riusciti a scappare e sono attualmente in fuga, mentre una donna, il settimo componente del gruppo di attentatori, è stata catturata dalla polizia e interrogata. Attualmente non si conosce l’identità dei terroristi morti e non vi è stata una chiara rivendicazione dell’attacco da parte dell’ISIS né di altre organizzazioni terroristiche. Nonostante la mancanza di informazioni certe e di notizie confermate, da Ankara il Presidente Erdoğan ha dichiarato che il Paese non si piegherà al terrorismo islamico e ha puntato il dito contro il califfato siriano.

Immediata la reazione dei leader europei e del Presidente Obama, che hanno espresso il proprio cordoglio per questo ennesimo folle gesto, che ancora una volta ha visto pagare col sangue vittime innocenti e inconsapevoli. Nei giorni successivi all’attentato, la polizia turca ha arrestato undici stranieri, sospettati di essere connessi all’ISIS e in generale a organizzazioni terroristiche di matrice islamica. È questa probabilmente la prima di una serie di misure che la Repubblica Turca potrebbe adottare in risposta alla piaga del terrorismo che, nell’ultimo anno, sembra averla particolarmente presa di mira.

Eppure c’è chi sostiene, forse non del tutto a sproposito, che la Turchia, in particolar modo il Presidente Erdoğan, stia gongolando non poco per questa situazione. Il rinnovato idillio con Israele e con la Russia di Putin, il continuo braccio di ferro con Bruxelles sulla questione dei migranti provenienti dalla martoriata terra di Siria e il sempre strategico ruolo giocato da Ankara rispetto alle questioni mediorientali e alla situazione delle ex repubbliche sovietiche, sembrano tutti tasselli che giocano a favore della sempre più autoritaria politica di Erdoğan. E il sultano di Ankara, ormai uomo solo al comando, pare non far molto caso alle accuse di deriva antidemocratica mosse nei confronti del suo regime da larga parte della comunità internazionale.

La chiusura dei giornali di opposizione, la dura repressione attuata durante il gay pride turco nei confronti dei partecipanti e le azioni militari ai confini con la Siria, potrebbero essere soltanto parti di un piano più ampio rivolto, da un lato ad avvilire la già malridotta democrazia turca, dall’altro a rafforzare il ruolo chiave di Ankara in Medio Oriente, nel Caucaso e nell’intero bacino del Mediterraneo. Certo è che, al momento, la Turchia è sotto attacco. E a niente valgono le illazioni fatte da molti osservatori internazionali, le questioni geopolitiche, né le tesi computistiche tanto amate da diversi esponenti del mondo radical chic. Ciò che sappiamo per certo è che le 43 vittime dell’aeroporto Ataturk si vanno ad aggiungere a quelle di Bruxelles, a quelle di Parigi, alle altre vittime turche morte da ottobre a oggi, a quelle ancor più recenti di Dacca e forse a quelle di Orlando. Quello che è certo è che a Istanbul si è trattato di terrorismo, sia esso islamico o di altra matrice, e che ciò contro cui dobbiamo combattere è la volontà di alcuni di farci vivere in un continuo stato di terrore.

(di Christopher Rovetti)

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