Attentato a Dacca: inferno e sangue per gli “infedeli”

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Solo 13 sopravvissuti dei 30 ostaggi, 9 le vittime italiane

Terrorismo. Sangue. Inferno. Ancora una volta. La sera di venerdì 1 luglio un commando di jiahdisti ha fatto irruzione nell’Holey Artisan Bakery, nel distretto diplomatico di Dacca, Bangladesh. I 7 terroristi hanno preso 33 ostaggi e le vittime sono state scelte con una logica ben precisa: chi non era in grado di recitare il Corano e gi stranieri erano passabili di tortura e morte.  Per liberare gli ostaggi si è reso necessario un blitz, con uno scontro a fuoco durato mezz’ora. Ma il bilancio dei morti è comunque grave: si contano solo 13 sopravvissuti.  Nel locale erano presenti 11 italiani, 10 ospiti e lo chef: Adele Puglisi, Marco Tondat, Claudia Maria D’Antona, Nadia Benedetti, Vincenzo D’Allestro, Maria Riboli, Cristian Rossi, Claudio Cappelli e Simona Monti. Due di loro sono scampati alla strage, gli altri 9 sono nell’elenco ufficiale delle vittime rilasciato dalla Farnesina il pomeriggio del 2 luglio. L’attentato è stato proclamante reclamato dall’IS e da Ansar al-Sharia Bangladesh, organizzazione qaedista locale, aveva  a sua volta rivendicato l’attentato. È ancora da chiarire quale dei due gruppi sia il vero mandante.

Italiani uccisi a Dacca
Italiani uccisi a Dacca

Testimonianze riportano che quando i terroristi hanno fatto irruzione, hanno intimato ai bengalesi musulmani di recitare il Corano, risparmiando chi era in grado di farlo. Un gesto in linea con quanto sta accadendo da tre anni a questa parte il Bangladesh, con una continua escalation di violenza verso le minoranze, gli stranieri e i laici. Tutto questo per  la negazione assoluta dei pilastri sui quali voleva fondarsi il Pakistan orientale quando ha ottenuto la sua indipendenza, diventando l’attuale Bangladesh.

Dacca, ennesimo episodio di terrorismo: 50 vittime negli ultimi 3 anni

Tra gli attacchi di matrice islamica più recenti ci sono vari esempi che possono essere raccontati. Nel novembre 2015 c’è stato il tentato omicidio di padre Piero Parolari, in Bangladesh dal 1985. Nello stesso periodo molti sacerdoti cattolici e battisti hanno ricevuto minacce di morte. Gli obiettivi, però, non sono solo gli stranieri: vittime sono anche i musulmani sciiti, oltre che intellettuali laici e musulmani moderati. Gli attacchi si susseguono e diventano sempre più audaci e violenti, come l’omicidio a colpi d’ascia di un professore universitario il 23 aprile scorso. Negli ultimi 3 anni, ci sono state 50 vittime.

Questa escalation è stata resa possibile da una serie di fattori:  in primis, la difficoltà di attribuzione degli attentati, a causa della forte presenza sul territorio non solo di cellule dell’IS, ma anche di gruppi locali affiliati ad Al-Queda. Gioca un ruolo importante anche la connivenza delle autorità. In uno Stato dove il 90% della popolazione è di religione musulmana, con pressione e tensioni continue ai confini, la prima ministra Hasina non si era mai espressa in maniera forte contro gli attentatori, specialmente quando le vittime erano bengalesi. La sua posizione sembra più forte in relazione agli ultimi eventi. “Che musulmani sono – ha dichiarato- le persone che compiono azioni così orribili? È gente senza alcuna religione”.

Eppure, in uno dei Paesi asiatici più pacifico e tollerante, la paura e la tensione continuano a salire.

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