Caso Regeni: ambasciatore italiano richiamato. Sanzioni per l’Egitto?

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Caso Regeni. Lo scorso sabato l’ambasciatore italiano in Egitto, Maurizio Massari, è stato richiamato in patria, interrompendo di fatto la collaborazione giudiziaria tra le autorità dei due paesi.

La decisione messa in atto dal Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, è arrivata a seguito del dossier giunto agli inquirenti italiani in cui mancano di fatto, i video e i tabulati telefonici che aiuterebbero a far luce sugli ultimi giorni del ricercatore italiano.

Il regime egiziano si appella all’inviolabilità costituzionale della privacy e nega la richiesta più volte avanzata dai magistrati italiani. Tuttavia sembrerebbe che il regime di Al Sisi ancora una volta abbia imposto misure precauzionali a senso unico: i suoi militari avrebbero spiato, intercettato, monitorato e quindi bruciato sul tempo, tutte le mosse del team d’indagine italiano presente al Cairo per otto settimane, dal 5 febbraio al 30 marzo. A riportarlo una “qualificata fonte investigativa”, secondo Repubblica.

Intanto Massari, anche se senza fretta, tornerà in Italia. Da Palazzo Chigi e Farnesina si parla di “misure graduali e proporzionate” in cui rientra la decisione di ritirare il nostro ambasciatore “per consultazioni”, il richiamo infatti sarebbe stato attuato con l’intento di mettere in atto un confronto diretto tra il Governo e Massari al fine di decidere le prossime mosse.

Anche perché “L’Italia ha preso un impegno. Ci fermeremo solo davanti alla verità, quella vera”, per citare Renzi.

Ma in questi giorni di attesa, nervosismo e insoddisfazione, di rapporti diplomatici tesi da clima di guerra fredda, in queste lunghe settimane di braccio di ferro combattuto a colpi di dossier lacunosi e dichiarazioni di collaborazione mai mantenute, di forza e pazienza da parte di una famiglia che ha visto scomparire un figlio per rivederlo poi solo in foto torturato e senza vita, di cui è si è tentato di infangare il nome e mistificare il perché della sua presenza su quella sponda tormentata di Mediterraneo, nessuno ha mai pronunciato la formula “sanzioni economiche”.

L’Italia, dopo la Germania, risulta essere oggi il secondo partner commerciale dell’Egitto, esportando nel Paese nordafricano dispositivi legati alla meccanica strumentale, alla raffinazione e alla metallurgia, l’importazione riguarda invece idrocarburi, prodotti chimici e metalli di base. I rapporti di import-export danno vita ad un interscambio che si attesta attorno ai 5 miliardi annui.

Il Cairo sta inoltre incoraggiando l’afflusso di capitali esteri, anche attraverso l’annuncio del leader Al Sisi di un piano di investimenti di circa 90 miliardi di dollari, destinati a grandi opere da realizzare in diversi settori, come energia, edilizia residenziale, infrastrutture, turismo, trasporti e logistica. Ad essere interessate a questi fondi figurano ovviamente le oltre 100 imprese italiane che operano in Egitto. A fare da capofila troviamo l’Eni, qui presente dal 1954. Lo scorso agosto, il produttore italiano di idrocarburi per eccellenza ha scoperto al largo delle coste egiziane il giacimento di gas Zohr più grande del Mediterraneo.

Sempre l’estate passata ma nel mese di luglio, Eni ha firmato un accordo di 5 miliardi di dollari per lo sviluppo del giacimento nel Delta del Nilo, intesa sottoscritta insieme ad altre otto, frutto dell’incontro romano tra il premier Matteo Renzi e il primo ministro egiziano Ibrahim Mahlab.

La cautela con la quale è stata portata avanti questa estenuante partita a scacchi appare spiegata, anche se in parte. Staremo a vedere se il Governo deciderà di inserire l’Egitto nella lista dei paesi a rischio attentati, aggravando in questo modo i già drammatici dati del turismo egiziano.

Ci si può solo augurare che la richiesta di verità gridata a gran voce per Giulio, parta da un unico fronte, compatto, privo di strumentalizzazioni. Che la pretesa di non essere beffati da un regime repressivo e retrogrado valga stavolta, più delle divisioni interne e degli interessi di partito. Che le responsabilità delle forze di polizia egiziane vengano riscontrate, accertate e opportunamente perseguite. Che sia fatta giustizia, di quella a cui non siamo più abituati, per un cittadino del mondo preparato e consapevole, che ha fatto della giustizia e della verità gli oggetti della sua ricerca e che l’unica cosa che si è andato a cercare è stato il futuro dei studi, del suo lavoro e della sua passione, lo sviluppo personale e professionale di chi ha scelto e deciso che la linea del proprio orizzonte non può essere decisa da una nazionalità.

La ricerca della verità sulla morte di Giulio sarà ardua, perché osteggiata, avversata e impedita dagli interessi di un governo dai metodi dittatoriali e squadristi, che rapisce, tortura e fa scomparire oppositori o presunti tali. Sarà ardua, come è stata ardua la ricerca della verità sulla morte di Stefano, Carlo e Federico. Anche loro vittime di uno Stato, quello in cui erano nati, quello che sui loro documenti rispondeva alla voce “nazionalità”.

(di Azzurra Petrungaro)

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