Amarcord: oltre le apparenze, la storia di Carlos Valderrama, il Gullit biondo

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di Marco Milan

Dici Carlos Valderrama e pensi alla nazionale colombiana anni novanta, dici Carlos Valderrama e pensi al biondo riccioluto capitano di quella nazionale tanto talentuosa quanto discontinua, neanche si parlasse della vecchia e divisa Jugoslavia. Valderrama è un’icona in Sud America, un idolo totale in Colombia, spesso citato e considerato solo per il look e che invece ha una sua storia fatta di calcio ed allenamenti come qualsiasi calciatore che si rispetti.

Carlos Valderrama nasce il 2 settembre 1961 a Santa Marta, comune portuale nel nord della Colombia da una famiglia composta da mamma, papà e dieci figli fra cui il piccolo Carlos, un bambino vispo e vivace che grazie al papà incamera l’amore per il calcio. Valderrama debutta fra i professionisti nel 1981, due anni dopo la maggiore età quando decide di dare al suo look un radicale cambiamento che non muterà più: si fa crescere i ricci stile afro e se li tinge di biondo lasciando neri i folti baffoni per dimostrare di essere un uomo libero; tanti in Colombia iniziano a notare quel giovanotto dallo stile curioso ma dai piedi sopraffini. Valderrama è un centrocampista offensivo dotato di ottima tecnica e visione di gioco, ma non di velocità, caratteristica che ne causa un notevole rallentamento della manovra. A fronte delle qualità tecniche e della carriera calcistica c’è anche un risvolto ombroso nella carriera di Valderrama: non appena esordisce nel calcio che conta, viene sbattuto per quattro giorni in galera dopo aver aggredito un poliziotto. Nel 1984 lo ingaggia la blasonata formazione di Bogotà del Millonarios ma le cose non vanno benissimo per Valderrama che viene impiegato poco e quasi sempre partendo dalla panchina, inoltre non si adatta al clima freddo della capitale colombiana, tanto che dopo 33 presenze e nessun gol viene ceduto al Deportivo Calì in cui si afferma definitivamente: la sua chioma bionda svolazza per il campo, il suo incedere lento e compassato, unito alle doti tecniche e ad una visione di gioco fuori dal comune, ne fanno uno dei talenti più apprezzati di tutta la Colombia, tanto che nel 1985 viene convocato in nazionale assieme al compagno di club Bernardo Redìn, un centrocampista le cui caratteristiche si sposano alla perfezione con quelle di Valderrama, al punto che il Deportivo Calì si afferma come una delle migliori squadre colombiane in circolazione e si qualifica alla Coppa Libertadores dopo cinque anni di assenza. Nel pieno della sua carriera e dopo esser diventato il perno della nazionale colombiana, Carlos Valderrama lascia il Sud America e tenta l’avventura europea, corteggiato prima ed ingaggiato poi dal Montpellier, ambiziosa formazione del campionato francese; il talento colombiano giunge in Francia poco tempo dopo aver disputato a Wembley un’ottima prestazione con la sua nazionale contro l’Inghilterra, tanto che i giornali britannici si sperticano in lodi non indifferenti nei confronti del biondo centrocampista sudamericano. Eppure, nonostante la doppietta in amichevole contro il Partizan Belgrado, l’esperienza di Valderrama col Montpellier parte malino, il colombiano deve imparare lingua, usi e costumi europei, in più arriva in Francia con una forma fisica non ottimale (la prestanza atletica non sarà mai il suo forte), anche se fa parlare di sè per il look stravagante che non comprende solo i ricci afro ma anche un centinaio di braccialetti e collanine con cui il colombiano scende regolarmente in campo. Il secondo anno a Montpellier è migliore, Valderrama si afferma e si guadagna la convocazione ai mondiali italiani del 1990 dove trova la sua definitiva consacrazione internazionale: la Colombia, inserita in un complicato girone con Germania, Jugoslavia ed Emirati Arabi, si qualifica sul filo di lana per gli ottavi di finale dove sarà eliminata dal super Camerun di Milla, guadagnando comunque applausi e consensi. Valderrama in particolare è il punto fermo della nazionale colombiana e il giocatore più talentuoso che si mette in mostra già dall’esordio della Colombia a Bologna contro gli Emirati Arabi in cui la compagine di Maturana vince 2-0 con gol del raddoppio firmato da Valderrama stesso a termine e a coronamento di un’eccellente prestazione, uno dei migliori giocatori dell’intera manifestazione, tanto che in molti lo ribattezzano subito il Gullit biondo, per la vaga somiglianza con l’asso olandese del Milan, fra capelli e baffoni neri. Fra Gullit e Valderrama, in realtà, il paragone non regge, e per caratteristiche fisiche e per doti atletiche, ma anche per un ruolo completamente diverso; la somiglianza fisionomica, però, fa nascere una simpatica simbiosi fra il numero 10 della Colombia e il corrispettivo olandese, peccato solo che ad Italia ’90 le due nazionali non si siano affrontate. Dopo un breve passaggio agli spagnoli del Valladolid, Valderrama torna in Colombia intuendo che la velocità e la fisicità del calcio europeo non potranno mai esaltare le sue doti di palleggiatore compassato: prima lo ingaggia l’Independiente di Medellin, quindi l’Atletico Junior in cui Valderrama diventa leader carismatico e tecnico. L’estate del 1994 è drammatica per tutta la Colombia: la nazionale esce malamente al primo turno dei mondiali statunitensi, decisiva è la sconfitta per 2-1 contro i padroni di casa, determinata anche da una maldestra autorete del difensore sudamericano Andrès Escobar che verrà poche settimane dopo, al ritorno in patria, ucciso da colpi di pistola all’uscita di un ristorante con l’accusa di aver causato l’eliminazione della nazionale dai campionati del mondo (i motivi reali dell’omicidio rimarranno sempre oscuri). Valderrama resta scosso dal delitto del compagno e, complice anche una valanga di critiche piovutegli addosso dopo il pessimo mondiale, coi colombiani che accusano il capitano di essere ormai un rottame inutile ed un ex calciatore, decide di ritirarsi dal calcio, decisione mantenuta fino al 1995 quando gioca il suo ultimo campionato in Colombia e ricuce lentamente il rapporto con la sua nazione, quindi si trasferisce negli Stati Uniti dove giocherà con discrete fortune fino al 2002 stabilendo un anno prima il record di calciatore più anziano (40 anni) ad aver mai giocato nel campionato americano e chiudendo la carriera a 41 anni col primato di miglior uomo assist del campionato (114 passaggi decisivi) e venendo ancor oggi ricordato come uno dei migliori calciatori del campionato a stelle e strisce.

E’ grazie soprattutto alla nazionale che Valderrama si è affermato in campo internazionale, sfruttando il miglior momento della storia della Colombia calcistica fra il 1990 e il 1998, anno in cui Valderrama ha detto addio alla maglia della nazionale dopo il secondo deludente mondiale disputato in Francia e in cui i colombiani escono al primo turno dopo le sconfitte contro Romania e Inghilterra e l’inutile successo contro la Tunisia. Inghilterra-Colombia 2-0 è stata l’ultima partita di Valderrama per la sua nazione, una gara storta e sfortunata per la formazione sudamericana, uscita dal campo con la testa bassa, a partire dal suo capitano a cui è uscita anche qualche lacrima; Carlos Valderrama è il calciatore con più presenze nella nazionale colombiana (111 con anche 11 reti all’attivo), ha vinto per due volte il premio di miglior calciatore sudamericano dell’anno (1987 e 1993), chiudendo a 41 anni una carriera che poteva essere migliore ma che ha dato in ogni caso i suoi frutti. Valderrama è ancora oggi il simbolo di un’epoca che in Colombia difficilmente potranno dimenticare, ha vissuto una vita professionale di buon livello ed una privata fuori dagli schemi, 6 figli ufficiali ed uno riconosciuto forzatamente dopo la denuncia di una giornalista rimasta di lui incinta dopo una relazione extraconiugale poi da lui stesso ammessa; del resto, Valderrama era questo, fuori dall’ordinario, uomo libero fuori dal campo, altruista e puntuale nel rettangolo verde; capelli, baffi, collane e braccialetti sono stati solo il contorno di un gran bel calciatore.

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