Medio Oriente: Hamas pronta a lanciare la Terza Intifada?
La storia si ripete. 1987, 2000. Queste le date della prima e seconda Intifada volute da Hamas, il movimento per la liberazione della Palestina dal controllo israeliano. Oggi, nel 2015, sembra che Hamas sia pronta a colpire ancora e incita i suoi adepti a una terza Intifada.
E mentre i media di tutto il mondo discutono sulla definizione da attribuire a questi eventi- si tratta o no di nuova Intifada?- l’escalation di violenze tra israeliani e palestinesi si fa sempre più aspra. A confermarlo sono il grado di ferocia e il numero delle vittime: nell’ultima settimana sono stati uccisi 4 israeliani e 5 palestinesi, mentre circa 970 palestinesi sono rimasti feriti negli scontri con l’esercito israeliano, che ha rafforzato la propria presenza in varie zone della Cisgiordania. Secondo diversi analisti contribuiscono anche lo stallo delle trattative di pace fra Israele e Palestina e la pessima situazione economica in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
Inoltre per due giorni la città vecchia di Gerusalemme è stata chiusa ai palestinesi non residenti, un fatto senza precedenti. Come per effetto domino, in Cisgiordania, i coloni ebrei e i palestinesi hanno preso a sassate delle automobili. E a chiudere, almeno per ora, l’ondata di aggressioni, è stato un raid lanciato dall’aviazione israeliana nel nord della Striscia di Gaza che ha distrutto due siti di Hamas per la fabbricazione di armi; mentre nella notte tra sabato e domenica poco fuori Gerusalemme, una donna gridando “Allah hu-Akbar”, ha fatto esplodere un ordigno esplosivo nella propria auto.
Che si tratti o no di Intifada, di sicuro gli atti di violenza degli ultimi giorni sono l’espressione di un’esasperazione generalizzata, di un caos che vaga senza meta, nonostante gli appelli a mantenere la calma del ministro israeliano, Benjamin Netanyauh e del ministro palestinese, Abu Mazen.
Ma il termine “terza Intifada”, che era nell’aria già da qualche tempo, è poi diventato virale sui social quando un giovane studente di legge, Muhanad Halabi, poco prima di accoltellare e uccidere due israeliani aveva scritto un post su facebook: «la terza intifada è iniziata. La gente si ribellerà, e in effetti lo sta già facendo». A riprendere il concetto di “terza Intifada” è stato anche il capo dei negoziatori palestinesi per i colloqui di pace, Saeb Erekat, il quale ha ammesso che eventi del genere gli ricordano ciò che accadde nel settembre del 2000.
Tuttavia, le intifade passate, in particolare la seconda, presentano delle differenze con la situazione attuale del Medio Oriente. In particolare, negli scontri erano coinvolte le forze di sicurezza palestinesi e vi era un ampio sostegno delle fazioni politiche rivali, cosa che in questi giorni non si è ancora verificata. Inoltre, lo status quo dei colloqui fra Israele e Palestina di sicuro non aiuta: fra il 2013 e il 2014 il Segretario di Stato americano, John Kerry, ha provato a riavviare delle trattative di pace, ma senza ottenere risultati. Anche questa situazione ricorda molto cosa successe nel luglio del 2000, due mesi prima della seconda intifada: in quel mese fallirono alcuni importanti colloqui di pace, i cosiddetti colloqui di “Camp David” avvenuti anche in quel caso con l’intermediazione degli Stati Uniti.
Probabilmente tutto questo potrebbe portare a delle nuove elezioni in Palestina, cosa che non avviene da dieci anni. Infatti, da un’indagine effettuata dall’Istituto “Palestinian centre for policy and survey research” è emerso che il livello di insoddisfazione attuale all’interno della società palestinese sembra simile a quello che c’era al momento della seconda intifada.
Il sondaggio ha rilevato che il 42 per cento degli intervistati era convinto che solo una lotta armata avrebbe potuto portare alla nascita di uno stato palestinese, mentre i due terzi vorrebbero che Abu Mazen si dimettesse dalla carica di presidente.
Il sondaggio rileva inoltre che la maggioranza dei palestinesi non crede più che la soluzione dei due stati sia realistica, con il 57 per cento degli intervistati che sostiene il ritorno a un’intifada armata in assenza di negoziati, rispetto al 49 per cento di tre mesi fa.
Lanciarsi in questa nuova impresa e sostenere una terza Intifada non converrebbe né a Israele, per i danni di immagine, per il turismo, né tantomeno ai Palestinesi. Per cui si può realmente parlare di “terza intifada” o di una grande operazione mediatica?
(di Anna Piscopo)