La strage di Suruc: Erdogan, l’Isis e il controllo del web

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Strage SurucSecondo il quotidiano Hürriyet, i mezzi comunicazione turchi, dal 2010 al 2014 hanno visto recapitarsi oltre centocinquanta “ordini di non pubblicazione”, in relazione a morti di civili, casi di corruzione, diffusione del contenuto di intercettazioni, le tragedie nelle miniere di Soma ed Ermenek, non escludendo nemmeno gli scandali calcistici.

Il 21 luglio scorso la cittadina di Suruc cade vittima del terrore vigliacco esportato dallo Stato Islamico: poco prima di mezzogiorno un attentatore kamikaze si fa esplodere in mezzo a un gruppo di attivisti socialisti, arrivati nel centro culturale della cittadina del sud della Turchia a pochi chilometri dalla frontiera, da Istanbul, Ankara,Smirne e Diyarbakir. Il sit-in preannunciava la partenza verso la città curdo-siriana di Kobane, sottratta al controllo militare dell’Isis dalle forze curde nel gennaio scorso, per collaborare ad un programma di ricostruzione: è stato spazzato via provocando la morte di più di 30 persone.

A far tremare è stata l’entità, la ferocia e la nuova geografia dell’attacco, così come e la reazione di Erdogan Erdogan, il solito Erdogan e l’ambiguità delle sue azioni. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa “Anadolu”, il giudice di pace di Suruc ha disposto dal 22 luglio il divieto di pubblicazione di “materiale relativo all’attacco terroristico da parte di televisioni e giornali”, così come è stata bloccata la diffusione e l’accesso alle immagini via Internet, inoltre lo stesso giudice ha intimato la rimozione da Twitter di 107 post sull’argomento, operazione portata a compimento solo per metà in un primo momento e successivamente portata a termine insieme alla rimozione di foto e ai video collegati all’hashtag #suructakatliamvar.

Erdogan non è affatto nuovo a questo tipo di iniziative, ma non si tratta solo dell’ennesimo divieto posto all’informazione e facilmente aggirato dagli internauti, (processo che fa apparire il Presidente turco come un vecchio despota anacronistico e ridicolo), ma ciò che inquieta, dopo l’ottusità dimostrata durante le proteste di Gezy Park, è stato il suo permissivismo nei confronti dello Stato Islamico.

Nelle prime fasi della guerra civile in Siria, ha militarizzato la frontiera con la Siria e impedito a migliaia di combattenti turco-curdi di sconfinare per combattere contro l’Isis, ma continuando a permettere agli uomini del califfato di continuare indisturbati i loro affari con i mediatori contrabbandieri turchi lungo il confine. Pertrolio, resti archeologici provenienti dai musei siriani, armi e tucco ciò che può servire ad uno stato militare per vivere e prosperare. Mentre a migliaia di volontari curdi speranzosi di raggiungere la Siria per combattere contro lo Stato islamico veniva impedito di attraversare il confine.

Il disegno di una Turchia neo-imperiale frammentata e perennemente in guerra con se stessa, è quello che sta disegnando Erdogan in questi ultimi anni.

Il cieco anelito di controllo sui mezzi di comunicazione, del blocco dei social network e della rimozione dei contenuti condivisi online, concorrono inequivocabilmente a confermare la distorta comprensione del reale del presidente turco, un reale fatto di connessioni, fluido e in costante movimento, che non sottostà agli ordini dissennati di un despota, né alle minacce del terrore.

(di Azzurra Petrungaro)

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