I media Usa e il triplice omicidio di Chapel Hill

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chapel2La sera di martedì 10 febbraio nella cittadina universitaria di Chapel Hill in North Carolina, tre giovani studenti musulmani sono stati uccisi con un colpo di pistola alla testa. Le tre vittime sono Deah Shaddy Barakat, 23, Yusor Mohammad, 21, una coppia sposate e Razan Mohammad Abu-Salha, 19, sorella di Yusor. Si pensa che al’origine dell’omicidio ci sia una lite per il parcheggio, lite che apparentemente andava avanti da molto tempo. Il presunto assassino è Craig Hicks, che si è costituito il giorno seguente. L’uomo ha la fedina penale pulita, ma da testimonianze rilasciate da altri vicini di casa pare che le liti con i vicini per il parcheggio fossero all’ordine del giorno. Un ex coinquilino della coppia ha dichiarato all’Associated Press che ogni volta che Hicks andava a lamentarsi del parcheggio, avesse sempre la pistola al fianco. Le vittime si erano già lamentate in passato di questi suoi atteggiamenti con i padroni di casa, che gli avevano consigliato di rivolgersi alle autorità se si fossero verificati altri episodi simili.

La comunità musulmana in America, però, si chiede se questo non sia un crimine d’odio. A gettare benzina sul fuoco anche la scarsa copertura della notizia da parte di giornali e televisioni: solo dopo il successo dell’hashtag #MuslimLifeMatters, la notizia ha cominciato ad avere risonanza nazionale. Con tutto quello che questo comporta nelle vicende mediatiche negli Stati Uniti.

La famiglia delle vittime ha sollecitato la partecipazione dell’FBI alle indagini, dato che i crimini d’odio ricadono nella giurisdizione del governo federale e lo Stato Palestinese ha richiesto di essere coinvolto.  Lo stesso presidente Obama ha rilasciato una dichiarazione, dicendo che “Nessuno negli Stati Uniti dovrebbe essere nel mirino a causa della sua identità, del suo modo di apparire o delle sue convinzioni”.

L’aspetto più grottesco di tutta la vicenda, però, è l’accurata vivisezione dell’identità on line e reale di Craig Hicks. I giornalisti hanno raccolto dichiarazioni dall’attuale moglie, dalla ex moglie, dai vicini, da chiunque fosse disposto a dare la sua opinione. Ancora più agghiacciante, invece, la sistematica analisi della vita online dell’uomo: studio approfondito del profilo Facebook, analisi dei commenti lasciati su vari forum, persino la wish list del suo account di Amazon. Tutti dati che potrebbero venire utilizzati durante il processo, raccolti non dagli avvocati, ma dai reporter. Il pubblico americano adesso è perfettamente informato del fatto che Hicks è ateo, si è pubblicamente espresso in difesa dei musulmani ed era interessato all’acquisto di una nuova fondina per la sua pistola. Tutto questo è riportato sui giornali e sui siti internet, ma sempre con l’attenzione di aggiungere “presunto” alla parola assassino, perché, anche se Hicks ha confessato, nulla gli vieterebbe di denunciare i giornalisti. Le vittime, invece, sono state risparmiate da questa scarnificazione mediatica delle loro vite, per rispetto alle famiglie.

Agli statunitensi piace considerare la loro terra una “land of freedom”, ma questa libertà spesso si spinge a invadere i confini del privato, o, ancora più spesso, è una libertà che uccide. È legale possedere e girare con una pistola, è legale tracciare un profilo dettagliatissimo e molto personale di una persona. Ma si tratta di cose giuste?

Quello che sconvolge non è solo la brutalità dell’evento in se, che si tratti di un crimine d’odio o di una lite per il parcheggio condominale. Lascia sbigottiti anche l’iniziale silenzio di media, pronti però poi a saltare sul carrozzone della notizia all’impennarsi degli hashtag su Twitter e pronti a soddisfare la curiosità morbosa del pubblico sull’identità delle persone coinvolte. La sera di martedì 10 febbraio nella cittadina universitaria di Chapel Hill in North Carolina, tre giovani studenti musulmani sono stati uccisi con un colpo di pistola alla testa. Le tre vittime sono Deah Shaddy Barakat, 23, Yusor Mohammad, 21, una coppia sposate e Razan Mohammad Abu-Salha, 19, sorella di Yusor. Si pensa che al’origine dell’omicidio ci sia una lite per il parcheggio, lite che apparentemente andava avanti da molto tempo. Il presunto assassino è Craig Hicks, che si è costituito il giorno seguente. L’uomo ha la fedina penale pulita, ma da testimonianze rilasciate da altri vicini di casa pare che le liti con i vicini per il parcheggio fossero all’ordine del giorno. Un ex coinquilino della coppia ha dichiarato all’Associated Press che ogni volta che Hicks andava a lamentarsi del parcheggio, avesse sempre la pistola al fianco. Le vittime si erano già lamentate in passato di questi suoi atteggiamenti con i padroni di casa, che gli avevano consigliato di rivolgersi alle autorità se si fossero verificati altri episodi simili.

La comunità musulmana in America, però, si chiede se questo non sia un crimine d’odio. A gettare benzina sul fuoco anche la scarsa copertura della notizia da parte di giornali e televisioni: solo dopo il successo dell’hashtag #MuslimLifeMatters, la notizia ha cominciato ad avere risonanza nazionale. Con tutto quello che questo comporta nelle vicende mediatiche negli Stati Uniti.

La famiglia delle vittime ha sollecitato la partecipazione dell’FBI alle indagini, dato che i crimini d’odio ricadono nella giurisdizione del governo federale e lo Stato Palestinese ha richiesto di essere coinvolto.  Lo stesso presidente Obama ha rilasciato una dichiarazione, dicendo che “Nessuno negli Stati Uniti dovrebbe essere nel mirino a causa della sua identità, del suo modo di apparire o delle sue convinzioni”.

L’aspetto più grottesco di tutta la vicenda, però, è l’accurata vivisezione dell’identità on line e reale di Craig Hicks. I giornalisti hanno raccolto dichiarazioni dall’attuale moglie, dalla ex moglie, dai vicini, da chiunque fosse disposto a dare la sua opinione. Ancora più agghiacciante, invece, la sistematica analisi della vita online dell’uomo: studio approfondito del profilo Facebook, analisi dei commenti lasciati su vari forum, persino la wish list del suo account di Amazon. Tutti dati che potrebbero venire utilizzati durante il processo, raccolti non dagli avvocati, ma dai reporter. Il pubblico americano adesso è perfettamente informato del fatto che Hicks è ateo, si è pubblicamente espresso in difesa dei musulmani ed era interessato all’acquisto di una nuova fondina per la sua pistola. Tutto questo è riportato sui giornali e sui siti internet, ma sempre con l’attenzione di aggiungere “presunto” alla parola assassino, perché, anche se Hicks ha confessato, nulla gli vieterebbe di denunciare i giornalisti. Le vittime, invece, sono state risparmiate da questa scarnificazione mediatica delle loro vite, per rispetto alle famiglie.

Agli statunitensi piace considerare la loro terra una “land of freedom”, ma questa libertà spesso si spinge a invadere i confini del privato, o, ancora più spesso, è una libertà che uccide. È legale possedere e girare con una pistola, è legale tracciare un profilo dettagliatissimo e molto personale di una persona. Ma si tratta di cose giuste?

Quello che sconvolge non è solo la brutalità dell’evento in se, che si tratti di un crimine d’odio o di una lite per il parcheggio condominale. Lascia sbigottiti anche l’iniziale silenzio di media, pronti però poi a saltare sul carrozzone della notizia all’impennarsi degli hashtag su Twitter e pronti a soddisfare la curiosità morbosa del pubblico sull’identità delle persone coinvolte.

(di Francesca Parlati)

 

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