Intervista a Vittoria Tola: “Gli unici dati sul femminicidio arrivano dalle associazioni”

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femminicidio-scarpeAppena una settimana fa tutta l’Italia ha celebrato la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Stabilita il 25 novembre,  è stata proclamata dall’Onu nel 1999 in memoria delle sorelle Maribal assassinate nel 1960 per aver contrastato in regime del dittatore della Repubblica domenicana Rafael Leónidas Trujillo.

Governo, associazioni, centri antiviolenza, magistrature hanno ricordato questa giornata purtroppo, però, fino allo spegnersi dei riflettori. E dopo? Quali sono le politiche messe in campo?

Termini quali violenza o rispetto della parità di diritti tra uomo donna sono ormai entrati a far parte del nostro lessico quotidiano.  Ci siamo interrogati, quindi,  sul senso profondo che la nostra cultura attribuisce a questi temi, al di là delle statistiche sconvolgenti sulle violenze che ci propongono.

Mai come oggi la parola femmicidio si ritorce contro le donne vittime di violenze e non. Mai come oggi la follia umana imperversa. Sarà il frutto di un’arretratezza culturale, sarà colpa di una società in cui vige il predominio del patriarcato, o sarà il risultato di politiche che non centrano la questione. Il problema della violenza non è un problema di consuetudine perché la consuetudine si è stabilita nei secoli. È un problema di potere. Di potere diseguale.

La cronaca rispecchia la cultura del Paese, ma la posizione e il peso della realtà nella cronaca sono spesso stabilite dalla politica. Ma di cosa si occupa davvero la politica? L’abbiamo chiesto a una donna tenace che fa della politica di genere il suo pane quotidiano e che senza mezzi termini va dritta al nerbo della questione. Vittoria Tola, responsabile nazionale dell’UDI (Unione donne in Italia), un’associazione di donne di promozione politica apartitica, sociale e culturale, senza fini di lucro e che quest’anno festeggia il suo settantesimo anno di vita.

Arrivata a Roma all’inizio degli anni 70, si avvicina per caso all’Udi quando la battaglia per il divorzio e il diritto di famiglia erano temi caldi. Ad affascinarla è stato il fatto che questa giovane associazione avesse attraversato la Resistenza e che si rivolgesse a tutte le donne, indipendentemente dalla provenienza sociale.

Ha senso oggi parlare di femminismo?
Sono convinta che il femminismo sia un lungo processo storico. È cominciato come problema politico con la rivoluzione francese. Spesso confondiamo i significati. Il Femminismo è la possibilità che le donne hanno di decidere di se stesse, dunque, è una grande battaglia di libertà, di dignità. Ma il problema è un altro: la struttura del potere a tutti i livelli è costruita in modo tale che gli uomini abbiano dei diritti e le donne  prevalentemente dei doveri.

Quali sono le contraddizioni tra la politica e il pensiero femminista?
Oggi siamo davanti  al famoso “tetto di cristallo”. Cioè le donne possono avanzare nella loro carriera lavorativa, nell’istruzione, poi arrivano al cosiddetto “tetto di cristallo”, una struttura talmente dura e intoccabile poiché ci sono due ambiti in cui le donne sono state considerate marginali e inferiori: il potere e il diritto. La struttura dello Stato si fonda sul diritto, quindi la struttura dello Stato è costruita in termini tali che anche se esiste una Carta della Costituzione che dice che ci deve essere una parità, di fatto  i lacci che ingabbiano tutto questo sono molteplici. Noi abbiamo una Costituzione ma ancora facciamo fatica ad avere una cittadinanza piena, per non parlare delle lotte per ottenere il diritto di cittadinanza. Così come per avere l’accesso alla carriera di magistratura delle donne, per avere diritti di maternità. E il sistema economico non aiuta; il congedo parentale di un giorno per un uomo che ha un figlio è ridicolo. È chiaro, inoltre, che la dimensione strutturale della società e dello Stato permane anche nella violenza.

Le Associazioni, il governo, la polizia, la magistratura ascrivono il ricordo del 25 novembre ad una questione di cultura, laddove per cultura intendiamo l’insieme di strutture di potere, di leggi, di consuetudini, di comportamenti, di idee che fanno il substrato di una società. Ma le culture si evolvono, crescono e lo Stato non tiene il passo. Sicuramente qualcosa è sato fatto: le leggi contro lo stupro, contro i maltrattamenti, il decreto sul femminicidio, ma il problema è quando un uomo uccide una donna spesso nei tribunali viene invocato il raptus, per cui invece di parlare di una struttura si parla di una patologia. L’importane è che il sistema non venga attaccato. Perché fa comodo. Perchéc cambiare la cultura significa dover cambiare la formazione partendo dalla scuola, dai mass media, cioè tutto quello che rappresenta il sistema simbolico di un Paese che punta a rappresentare le donne inferiori agli uomini oppure come oggetti sessuali. Tutto questo non succede.

Il rapporto Eures mi mostra che in Italia ogni 48 ore una onna viene uccisa: che risonanza mediatica ha violenza sulle donne?
Partiamo dal fatto che oggi non abbiamo dati. Gli unici dati che possediamo sul femminicidio vengono raccolti dalle associazioni o dai giornali, ma perché allora la polizia non li ha? Perché non vi è una vera definizione di femminicidio, che non è solo l’espressione ultima della violenza contro le donne, ma è il fatto di uccidere una donna in quanto tale. Spesso confondiamo questo con l’uxoricidio, ovvero sia l’ammazzamento di una donna da parte del compagno per ragioni di gelosia.

Così facendo abbiamo messo al centro gli ammazzamenti e siamo tornati alla questione dell’omicidio/suicidio. Il problema è che a fronte di questo ci sono tutte le donne prostitute che non vengono considerate uccise se non arrivano alla cronaca nazionale. Senza dimenticare le donne sopravvissute, le vittime collaterali. Siamo dentro questo flusso di dati e di terrorismo. A questo punto lo Stato dovrebbe proporsi con politiche serie, investendo i fondi non solo negli spot di sensibilizzazione, riducendo tutto a una questione di immagine con una risonanza mediatica enorme.

Come si prospetta il futuro?
Dipende da quante battaglie saranno fatte da ragazze e ragazzi, non bastano quelle fatte in passato. La storia è cambiamento, ma è cambiamento in meglio e in peggio dipende dai momenti e da chi la fa.

Questo è il femminismo: guardare le cose in un altro modo, dimostrare che il mondo, come dice la Piattaforma di Pechino, “è fatto di uomini e di donne che hanno pari dignità”

(di Anna Piscopo)

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