Amarcord. Julio Gonzalez: un sogno infranto da uno schianto e dalla burocrazia italiana

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Julio Gonzalez

Come Alex Zanardi nell’automobilismo ed Oscar Pistorius nell’atletica, anche il calcio ha la sua para-storia che porta il nome di Julio Valentìn Gonzalez, centravanti paraguaiano classe 1981, promessa del calcio sudamericano a cui la sorte ha portato via un braccio ed il grande sogno della serie A italiana.

Julio Gonzalez arriva in Italia giovanissimo dal Paraguay, a soli vent’anni, quando il Vicenza lo scopre nel Guaranì dove il centravanti ha segnato 17 gol in 29 partite. E’ il classico numero 9: 1 metro e 90 per 83 kg, forte fisicamente, eccezionale nel gioco aereo. Dopo qualche stagione in prestito all’estero, il Vicenza, caduto in serie B, punta su di lui per risalire la china e nella stagione 2005-2006, Gonzalez si mette in mostra come uno degli attaccanti migliori del torneo cadetto: segna 8 gol nelle prime 15 partite, uno fantastico in elevazione nel 2-2 dei veneti in casa del Catania. Giancarlo Camolese, tecnico vicentino, è al settimo cielo quando parla di Julio, dice che è l’attaccante ideale per il suo gioco, è la pedina inamovibile della squadra. Ma c’è di più. La Roma è alla ricerca di un centravanti che possa entrare a partita in corso e sbloccare le partite più rognose, quelle nelle quali l’efficace ma leggero 4-2-3-1 di Spalletti non riesce a sfondare; gli occhi della dirigenza giallorossa si posano proprio su Gonzalez che firma un precontratto che dovrebbe portarlo all’ombra del Colosseo nel giugno 2006. Ma non sarà così. Il 22 dicembre del 2005, Julio Gonzalez è in macchina alle 5 della mattina, deve raggiungere l’aeroporto di Venezia da dove spiccherà il volo per il Paraguay e trascorrerà il Natale con la famiglia. Accanto a lui c’è il giovane compagno di squadra del Vicenza, l’argentino Gerardo Grighini, anche lui in procinto di rientrare in patria per le vacanze. All’improvviso la macchina su cui viaggiano i due calciatori incappa in un tremendo incidente con un’autocisterna ed un’altra automobile, fra gli svincoli autostradali di Grisignano (VI) e Padova Ovest: lo schianto è impressionante, la vettura di Gonzalez si accartoccia come la brutta copia di un compito in classe ed il braccio sinistro del centravanti del Vicenza resta schiacciato fra il sedile di guida e lo sportello, oltre che dal peso del corpo dello stesso Gonzalez (così come accadrà qualche anno più tardi al pilota polacco Robert Kubica nell’incidente che gli chiuderà le porte della Formula 1). Grighini esce dalla macchina in evidente stato di shock ma senza gravi conseguenze fisiche, Gonzalez, invece, non è cosciente e viene trasportato nel vicino ospedale di Padova in gravi condizioni. Dopo le prime 24 ore di angoscia in cui il ragazzo non rinviene e gli vengono effettuate oltre venti trasfusioni di sangue, le condizioni tornano stabili ed il bollettino medico diramato dall’ospedale parla di situazione stabilizzata, anche se il braccio sinistro ha riportato conseguenze preoccupanti dall’impatto. Il 17 gennaio del 2006 arriva una doccia gelata ed inaspettata: l’infezione al braccio ed il progredire di essa, portano lo staff medico a dover prendere una decisione drastica ma inevitabile: l’arto deve essere amputato. A Gonzalez l’operazione salva la vita ma distrugge il suo sogno di diventare davvero un grande calciatore; il risveglio senza braccio, racconterà in seguito il paraguaiano, è terribile, non solo la sensazione fisica, ma anche quella mentale: una vita con un’invalidità pesante e permanente, la speranza (esile) di tornare a giocare a calcio distrutta. A Gonzalez viene in supporto proprio Alex Zanardi, reduce da oltre quattro anni dall’incidente che gli ha portato via le gambe ma non la voglia di vivere, di sorridere, di prendersi in giro e, soprattutto, di tornare a fare ciò per cui ha sempre vissuto: correre in macchina. Zanardi va in ospedale da un Gonzalez avvilito e lo invita a non mollare, lo incita a crederci ancora, a chiedere l’idoneità sportiva per giocare con una speciale protesi artificiale. Per Gonzalez diventa un’idea fissa: uscito dalla clinica riprende gli allenamenti assieme ai suoi compagni del Vicenza, sbigottiti all’inizio, ma pronti ad accoglierlo nuovamente come uno di loro, come un normale amico reduce da un infortunio. Gonzalez suda in campo, si allena in palestra, poi dopo la doccia corre nelle sedi della Federazione e del Coni per chiedere la benedetta idoneità sportiva che gli permetta nel 2007 di tornare a giocare. Niente da fare. I regolamenti del calcio italiano, gli stessi che permettono ad atleti plurisqualificati per reati come il doping, le scommesse, l’alterazione volontaria di risultati sportivi, vietano ad un atleta di giocare gare ufficiali senza un arto. Troppo alti i rischi, sempre legge sportiva italiana alla mano, di un contatto fisico innaturale che porti e comporti gravi conseguenze per l’atleta in questione e per gli avversari. Gonzalez prova ad insistere, firma carte bollate a ripetizione, entra ed esce dai tribunali aprendo ricorsi su ricorsi, trascina con sè avvocati, medici, psicologi, ma niente da fare, la burocrazia italiana è irremovibile: Julio Gonazalez in queste condizioni non può giocare in nessun campionato professionistico italiano. Il paraguiano è deluso ed amareggiato, ama l’Italia, il suo calcio e i tifosi vicentini che ogni domenica scandiscono il suo nome e ne invocano il ritorno; ma la passione per il pallone e la voglia di tornare a fare gol sono troppo forti, tanto che Gonzalez fa fagotto e torna in patria: in Paraguay riceve quell’idoneità sportiva che l’Italia gli ha negato e torna a scendere finalmente in campo nella locale squadra del Tacuary il 16 novembre del 2007, a meno di due anni dall’incidente. Giocherà ancora due anni, poi dopo qualche infortunio abbandonerà l’attività dicendo: “Sono felice che la mia carriera si concluda a causa di un infortunio e non di quell’incidente. La mia battaglia l’ho vinta, perché ho creduto in me, in Dio e nella mia famiglia ed ogni giorno li ringrazio per la vita che ho”. L’amore per il calcio è proseguito anche una volta appese le scarpette al chiodo: Gonzalez si è dapprima iscritto al corso per allenatori, poi ha iniziato a lavorare con l’Inter nell’ambito del progetto Inter Campus in cui la società milanese fa crescere calciatori in erba provenienti da ogni parte del mondo, infine ha fondato una scuola calcio ad Asunciòn, aperta a tutti i bambini del Paraguay, specialmente ai meno fortunati che col calcio possono ritrovare il sorriso e diventare calciatori professionisti.

Julio Gonzalez poteva diventare un calciatore di serie A, nonchè essere il centravanti titolare della nazionale paraguaiana, magari giocare i mondiali e la Coppa America. La sua carriera è stata stroncata da un incidente stradale e da un’invalidità che gli ha impedito di giocare ad alti livelli, ma non di credere nella bellezza della vita, non di porsi sempre obiettivi da raggiungere. La serie A, forse, la vedrà un giorno dalla panchina. In Italia tornerà un giorno, forse, da allenatore. Per ora ci sono i suoi bambini, i suoi quattro figli ed i tanti piccoli talenti a cui insegna a fare gol.

(di Marco Milan) 

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