Amarcord. Il 1991, l’anno della Lanterna: quando Genova fu la capitale del calcio

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Lanterna di Genova
Lanterna di Genova

Genova. Cantata nei versi di Fabrizio De Andrè che ne ha reso famosi dialetto e contorni, rendendola amabile in tutta Italia. Nell’anno di grazia 1991, non fu solo il compianto cantautore ligure a narrar le gesta della città della Lanterna. Genova divenne la capitale del calcio, forse dello sport, grazie alle due squadre cittadine, da sempre acerrime rivali, ma accomunate in quei giorni da un grande denominatore comune: la gloria.

Il 9 settembre del 1990 i mondiali italiani delle notti magiche erano ormai un ricordo che stava sbiadendo insieme all’estate. Chiusi gli ombrelloni, riapriva il campionato di calcio. Ai nastri di partenza le grandi favorite per la vittoria dello scudetto erano il Napoli campione d’Italia in carica, il Milan degli olandesi, l’Inter dei tedeschi campioni del mondo e la rinnovata e ringiovanita Juventus di Maifredi, Baggio e Schillaci. La Sampdoria, fresca di vittoria nella Coppa delle Coppe, si collocava, almeno sulla carta, un gradino più in basso, considerata da tutti l’eterna incompiuta, brava nelle coppe, incapace di reggere l’onda lunga del campionato, esattamente come un decennio più tardi verrà considerato il Parma di Tanzi. Per le due romane, il neopromosso ma ambizioso Torino, la Fiorentina orfana di Roberto Baggio e per almeno una fra Atalanta e Bologna, si spalancavano le gabbie della lotta per i posti Uefa. Alle restanti formazioni restava il compito di accendere la lotta per restare in serie A; tra queste il Genoa, la cui panchina era stata affidata ad Osvaldo Bagnoli che aveva lasciato Verona dopo quasi un decennio ed una parabola che aveva portato gli scaligeri allo scudetto del 1985 fino alla retrocessione in serie B del maggio 1990. Ciclo finito sotto l’ombra dell’Arena per il tecnico milanese che coglie al volo l’offerta del Genoa, squadra rinnovata che ha annoverato fra le sue fila il centravanti uruguayano Carlos Aguilera, quello cecoslovacco Thomas Skurhavy e il terzino sinistro brasiliano Claudio Branco, tutta eredità del mondiale italiano. Obiettivo dei rossoblu? Salvarsi il prima possibile ed affacciarsi nella parte sinistra della classifica. Ambizione modesta per una squadra che ha vinto 9 campionati, seppur quando a malapena era stato inventato il telefono; inoltre l’altra faccia della città, quella doriana, appare più attrezzata e competitiva, punta allo scudetto, anche se parte dalla seconda fila.

Vujadin Boskov, tecnico jugoslavo che guida ormai la Samp da anni, sa che quella stagione sarà forse l’ultima per vincere in Italia, per lui e per la Sampdoria. I Vialli, i Mancini, i Lombardo, i Pagliuca, i Cerezo, hanno fatto un patto da un paio d’anni: nessuno di loro lascerà Genova fin quando non si sarà vinto lo scudetto. E le occasioni di andarsene non sono mancate: a Vialli ha fatto una corte spietata Berlusconi, Mancini è stato più volte richiesto dalla Juventus, così come Lombardo, accostato pure a Roma ed Inter. Ma nessuno ha tradito il patto, anche se, si sa, niente è per sempre, a parte i diamanti, e qualcuno forse, dopo un’altra stagione senza scudetto, potrebbe anche decidere di accettare altre proposte. Che sia l’anno buono a Genova lo sussurrano ma non lo dicono, soprattutto in autunno quando si capisce che il Napoli e Maradona sono allo sbando, il Milan, nell’ultimo anno della gloriosa gestione di Arrigo Sacchi, sta vivendo una stagione di alti e bassi, la Juventus di Maifredi non ha ingranato e sta lentamente scivolando nelle posizioni centrali della classifica. A tener testa alla Samp resta solo l’Inter di Trapattoni, solida e concreta come al solito. Vive un gran momento pure la sponda genoana, fin da subito protagonista grazie alle bombe di Branco su punizione (una delle quali ha pure deciso il derby della Lanterna il 25 novembre fissando sul 2-1 il risultato a favore del grifone dopo le reti di Eranio e Vialli), e ai gol di Aguilera e Skurhavy, impreziosite dalle colorite esultanze dei due: samba per il sudamericano, capriola per il gigante boemo.

All’inizio del nuovo anno, però, qualcosa si ingrippa nel motore sampdoriano: arrivano due sconfitte consecutive, in casa contro il Torino e a Lecce; sospirano i tifosi blucerchiati, convinti che il sogno scudetto rimarrà tale anche stavolta. L’Inter diventa campione d’inverno e tutto lascia presupporre ad un dominio nerazzurro nella seconda parte di stagione. Nel frattempo torna a correre pure il Milan, pronto alla battaglia cittadina per conquistare il tricolore ai danni dei cugini. La Samp appare come il terzo incomodo, ma non sarà così. L’Inter inizia a pareggiare troppo, il Milan, a causa pure dei pessimi rapporti fra Sacchi e Van Basten, nonchè dei continui infortuni di Gullit e Baresi, stenta. Inoltre entrambe le milanesi cadono a Marassi: ne becca 3 l’Inter, 2 il Milan. La Samp vola, batte in casa la Juve e supera in extremis Parma e Fiorentina, in quelle classiche partite che vinci solo negli anni buoni. Così come il Genoa che si è permesso il lusso di vincere in casa della Juventus, di strapazzare la Roma al Ferraris 3-0, di ridicolizzare le piccole come fosse uno squadrone navigato. La zona Uefa è lì a portata di mano, la lotta con Juve e Napoli fa poca paura ad un grifone sicuro di sè, perfetto tatticamente, in eccellente forma fisica. Il 5 maggio 1991 la Sampdoria capisce di avercela fatta: va a San Siro contro l’Inter, chi vince va in testa e, in pratica, si porta a casa lo scudetto. L’Inter attacca, le viene annullato un gol forse buono, reclama un rigore, coglie un palo, poi becca lo 0-1 di Dossena in contropiede. Quindi Berti cade in area, rigore che però Matthaus stampa contro Pagliuca. Allora esce definitivamente la Samp e Vialli firma il 2-0 che stende i nerazzurri e lancia i doriani verso quel traguardo che anche Boskov non nasconde più: “Sì, ci siamo”, dirà il tecnico slavo al termine della gara di Milano. Il 19 maggio arriva pure la certezza matematica: il 3-0 al Lecce firmato da Cerezo, Mannini e Vialli, conferisce alla Sampdoria il primo e sinora unico titolo italiano. Un tripudio con la passerella della Coppa dei Campioni che verrà disputata il seguente anno.

Ma a Genova la festa in quell’indimenticabile 1991 è totale: il Genoa, infatti, resta saldamente in zona Uefa. Alla terz’ultima giornata schiaccia l’Inter con un 3-0 che lascia pochi dubbi sulle motivazioni delle due squadre. Nell’ultimo turno stagionale, poi, Branco e Skurhavy abbattono la Juve a Marassi, lasciano i bianconeri fuori dalle coppe europee dopo 28 anni di partecipazioni consecutive e si ritrovano loro stessi in Coppa Uefa. Genova ha così per la prima volta due squadre in Europa diventando la capitale del calcio italiano, riscattando decenni bui e torbidi (gli anni 70 per la Samp, gli 80 per il Genoa) con tanta serie B e nessuna gioia.

L’anno successivo, l’Italia fu amara per il capoluogo ligure: la Samp sembrò appagata dallo scudetto precedente e non fu mai in grado di inserirsi nella lotta al vertice, anzi, mancò anche la qualificazione europea. Il Genoa, distratto dalle voci, poi confermate, del passaggio di Bagnoli all’Inter, restò invischiato nella lotta salvezza da cui uscì solo nelle battute finali del torneo. Fu in Europa, invece, che le due compagini fecero strada tenendo altissima la bandiera della città e dell’Italia: la Sampdoria giunse sino alla finale di Wembley contro il Barcellona, dopo aver battuto due volte, fra andata e ritorno, i campioni d’Europa in carica della Stella Rossa Belgrado stravincendo il gironcino che conduceva in finale. A Londra la Samp dominò in lungo e in largo, Vialli sbagliò una serie di gol come mai più fece nella sua carriera. All’ultimo minuto dei supplementari arrivò la beffa, la punizione al fulmicotone di Ronald Koeman che consegnò la Coppa dei Campioni al Barcellona lasciando la Sampdoria con tanto rammarico e tante, tantissime lacrime.

Anche il Genoa si impose alla grande in Coppa Uefa: Oviedo, Dinamo e Steaua Bucarest spazzate via senza difficoltà. Poi il leggendario quarto di finale contro il Liverpool: il 2-0 a Marassi, l’epico 2-1 ad Anfield col portiere Simone Braglia che da allora è l’incubo dei reds. Il Genoa fu la prima squadra italiana ad espugnare la tana del Liverpool, guadagnandosi la semifinale contro l’Ajax. Un Ajax talentuoso, troppo anche per quel magico Genoa: 3-2 per i lancieri in Liguria, inutile 1-1 nel ritorno di Amsterdam. Il Genoa sfiorò soltanto la finale che per di più avrebbe giocato contro il Torino, poi sconfitto dall’Ajax stesso in una doppia finale rocambolesca, quella della famosa sedia agitata per aria da Mondonico.

Genova non ha mai più vissuto annate come quelle. Certo, la Samp ha poi vinto ancora una Coppa Italia, ha giocato spesso in Europa, e il Genoa degli ultimi anni è tornato alla ribalta grazie a Gian Piero Gasperini e ai gol di Diego Milito, tornando anche a disputare la Coppa Uefa, sfiorando i preliminari di Coppa dei Campioni nel 2009. Genova ha vissuto anche tanta serie B, tanto anonimato all’inizio degli anni 2000, tanto per la parte doriana tanto per quella genoana, per poi rialzarsi e rimanere stabilmente nella massima serie. Ma quell’anno di grazia 1991, resta indelebile e resterà forse unico, tanto nei cuori rossblu che in quelli blucerchiati.

(di Marco Milan)

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