Ucraina, decisivo il vertice Nato. A Cardiff il futuro dell’Alleanza

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natoChe ormai l’Europa debba pensare a se stessa non vi è più alcun dubbio. Gli Stati Uniti non sono più disposti a sostenere da soli il 70 per cento delle spese dell’Alleanza Atlantica mentre la crisi politica e militare in Ucraina costringe tutti i paesi membri a ripensare la strategia difensiva. Ed è così che il vertice appena conclusosi a Cardiff da semplice incontro riorganizzativo a conclusione del ritiro dall’Afghanistan si è trasformato nel più importante vertice NATO degli ultimi 25 anni.

Non si può dire Ucraina senza dire Mar Nero. È proprio questo il tasto dolente del caos ucraino generato non certo per sbaglio né per capriccio da Mosca, che si prepara militarmente ormai da anni. La Convenzione di Montreaux, infatti, ha chiuso l’accesso al Mar Nero sin dal 1936 blindando gli stretti del Bosforo e del Dardanelli – unici accessi allo specchio d’acqua oggi tra i più contesi del mondo – sotto la prudente sorveglianza turca. L’accortezza di Ankara ha consentito alla potenza Sovietica prima e alla Russia poi di mantenere una base a Sebastopoli, antica capitale e porto centrale della Crimea nonchè hub dei traffici commerciali ed energetici diretti oltre gli Urali. Senza mai mettere in discussione la convenzione, l’Ucraina ha rinegoziato nel 2010 con Mosca gli accordi per l’utilizzo di Sebastopoli, soprattutto in chiave militare, innescando una dinamica di riavvicinamento alla vecchia madre patria che da sempre punta all’annessione della penisola.

Gli eventi, capitolati nel febbraio 2014 con la fuga di Viktor Yanucovich, il referendum in Crimea e le elezioni generali ucraine da cui Petro Poroshenko è uscito vittorioso, sono stati un susseguirsi di tasselli finora non sempre ben giocati ma sicuramente molto pensati nel corso del tempo. Con Poroshenko infatti non ha vinto l’Ucraina e forse nemmeno l’Europa che pure ha ottenuto un sostanziale riavvicinamento e la ripresa delle relazioni avviate da Viktor Yushenko e di nuovo interrotte dalla deriva filo russa del secondo governo Yanucovich. L’UE si trova in una situazione di stallo di fronte ai 2600 morti accertati dalle Nazioni Unite e alla comprovata capacità di reazione e gestione delle truppe filorusse contro cui le sanzioni economiche sembrano totalmente inefficaci. Putin, dal canto suo, continua a dichiararsi non coinvolto nella guerra e si è chiamato fuori dal cessate il fuoco proposto da Poroshenko nei giorni scorsi nonostante sia ormai comprovata l’apertura dei confini della Crimea di corridoi di approvvigionamento spesso attraversati dai carri armati sovietici. L’esercito russo, sebbene lento, dotato di armamenti e tecnologie obsolete, male addestrato e poco motivato costituisce una forza di azione ben sostenuta dalla Duma la cui mire imperialiste non sono certo sconosciute all’Occidente e nemmeno celate dal presidente Putin, artefice di una cooperazione allo sviluppo apparentemente “incondizionata” ma in verità mal nascosta dietro una politica strategica di buon vicinato volta a tutelare lo status quo.

Gli interessi militari e strategici di lungo periodo vanno inoltre di pari passo con quelli economici. Mosca sta cementando un forte rapporto con Pechino, con cui è alleata in tutti i consessi e forum della politica internazionale e sta allo stesso tempo sviluppando con Brasile, India, Sud Africa e Argentina accordi economici per garantirsi l’approvvigionamento alimentare in cambio di quello energetico. Senza dimenticare gli accordi di libero scambio e il tentativo ormai giunto a buon punto di creazione di una zona di libero scambio con Bielorussia e stati confinanti che fungono sia da cuscinetto sia da partner commerciali. Per Mosca la stabilità dell’Ucraina è dunque fondamentale, a prescindere dalla eventuale annessione della Crimea – su cui probabilmente verrà fatto un passo indietro – sia per motivi strategici sia per motivi economici.

Cosa farà quindi la Nato? Secondo il segretario uscente Anders Fon Rasmussen – prorogato in carica proprio in vista del vertice e che a Cardiff è riuscito a imporre la sua linea – va utilizzata la diplomazia coercitiva, “Viaggiare leggero e assestare colpi pesanti”. Sarà ridotto il numero e la grandezza della basi, dispiegando forze terrestri più economiche e militarmente meno opprimenti ma in grado di intervenire entro 48 ore grazie alle punte di lancia, truppe statunitensi trasportate via aria. Molti dei Paesi satellite dell’URSS sono infatti ad oggi membri della Nato a differenza dell’Ucraina che sta mettendo a dura prova la compattezza dell’Alleanza. La Russia potrebbe voler testare la tenuta dei Paesi membri di fronte all’articolo 5 del Trattato Atlantico che li obbligherebbe all’intervento in caso di attacco ad uno dei molto vulnerabili stati baltici. L’unità non è affatto scontata. Il rischio è che in Ucraina ci sia un nuovo effetto Iraq, con la balcanizzazione delle fazioni e la perdita di controllo sugli scontri o uno scenario nazionalistico simile a quello dell’Ossezia del Sud, formalmente georgiana e per il momento quieta ma pronta ad esplodere alla prima scintilla.

Chi pensava che la guerra fredda avesse posto fine alle ostilità di sbagliava di grosso. Crollata la cortina si è aperto un mondo di scenari destabilizzanti che nessun muro potrà mai contenere.

(di Emiliana De Santis)

Foto: flickr Palazzo Chigi

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