Amarcord. Tra eccessi e discontinuità, l’Italia conobbe Lajos Detari: l’ultimo talento del calcio ungherese

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Della grande, immensa e sfortunata Ungheria di Puskas sappiamo tutto o quasi, di ciò che il calcio magiaro ha prodotto dopo si conosce poco, probabilmente anche perché poco c’è stato. L’ultimo vero grande talento in riva al Danubio è nato a Budapest il 24 aprile del 1963 e risponde al nome di Lajos Detari.

Un metro e ottanta di altezza, fisico non slanciatissimo, ma qualità tecniche e visione di gioco da paragoni coi più grandi di sempre. Di ruolo trequartista, Detari inizia a far parlar di sè quando poco più che ventenne vince la classifica marcatori ungherese per ben tre volte consecutive (1985, 1986 e 1987) quando veste la prestigiosa maglia della Honved di Budapest. Ma il calcio ungherese è povero, i mondiali in Messico (ultima rassegna a cui prende parte la competizione magiara) ne sono lo specchio con la deprimente eliminazione dei rossobiancoverdi al primo turno. Eliminati nonostante il talento di Detari, che nell’estate del 1987 si trasferisce in Germania all’Eintracht di Francoforte dove resta un solo anno ma regala la vittoria della coppa nazionale grazie ad un suo gol nella finale contro il Bochum.

Ma la Germania non piace a Detari che preferisce palcoscenici e climi più caldi, e infatti se ne va in Grecia all’Olympiakos Pireo dove resta due anni e vince ancora la coppa nazionale; ad Atene lo adorano, i cori sono tutti per lui che si sente amato, apprezzato e regala numeri su numeri ad ogni gara. Nell’estate del 1990 si fa sotto di brutto il Bologna di Corioni che offre ai greci ben 5 miliardi di lire e batte la concorrenza della Juventus che pure voleva il talento ungherese da affiancare a Roberto Baggio e Totò Schillaci. Detari accetta, ambizioso di confrontarsi con un calcio di primo livello come era allora quello italiano. Ma non si affermerà mai del tutto, complice un carattere spigoloso, in campo e fuori. Il Bologna, partito con discrete ambizioni, si ritrova ultimo in classifica, posizione da cui non si solleverà più. Detari delude, il suo talento non incide, al contrario dei suoi infortuni che lo tengono a lungo fuori dal campo. L’anno successivo il Bologna punta tutto sul suo numero 10, un lusso per la serie B; la convinzione è che Lajos possa essere un fattore determinante nel campionato cadetto e possa condurre i felsinei al sospirato ritorno in A. Le cose, ancora una volta, non vanno così. Detari litiga con compagni ed avversari, nonchè con i giornalisti, definiti da lui inutili e dannosi. Dopo una partita contro il Messina in cui Detari sbaglia un gol a porta vuota, un cronista gli chiese come avesse fatto a sbagliare una rete così facile, la risposta è l’emblema del personaggio, piazzata lì con fare arrogante: “Il gol? L’ho sbagliato apposta, così i miei compagni impareranno a passarmi il pallone dato che non lo fanno mai”.

Ridimensionerà poi quella frase, sostendendo di essere stato frainteso e sentenziando che in Italia i giornali e le tv sono interessate solo a scoop inventati. Le luci sono poche, anche se una a Bologna la ricordano ancora: il gol che decise la sfida del Dall’Ara col Brescia, un siluro su calcio di punizione, una prodezza spaventosa, un gol che fu votato come il più bello del campionato. Ma non bastò a riportare il Bologna in serie A, anzi, i rossoblù terminarono la stagione al tredicesimo posto, più vicini alla zona retrocessione che alla lotta per la massima serie. Detari va via, ormai mal sopportato da gran parte dello spogliatoio e dalla tifoseria a cui l’ungherese non risparmierà frasi bollenti: “A Bologna non mi hanno mai amato. Ad Atene ero il loro idolo, qui non mi hanno mai incitato”. E poi ancora: “Io amo la Juve e voglio andare a giocare lì”. Ma la Juve nel frattempo si godeva Roberto Baggio, e Detari dovette accontentarsi dell’Ancona, neopromossa in serie A. Fu una stagione travagliata per i dorici, giunti penultimi a fine stagione nonostante i 9 gol di Detari che fece innamorare i tifosi marchigiani che un talento così non lo avevano mai visto.

Il giorno più bello fu all’inizio di gennaio del 1993: l’esordio del nuovo stadio Del Conero, ancora un’accozzaglia di seggiolini in mezzo a rocce e cespugli. Di scena l’Inter. Sotto un temporale pazzesco, Detari si prende il centro della scena: segna due gol favolosi e regala a Fabio Lupo l’assist per il terzo; l’Ancona vince 3-0 regalando una delle poche gioie ai suoi tifosi quell’anno. Detari segna, è il leader della squadra, ma è ancora una volta troppo discontinuo, le sue pause inchiodano l’Ancona ad aspettare i suoi rari lampi di genio in un gruppo poco più che discreto. Ma se Detari fosse stato continuo, avrebbe giocato nel Real Madrid e non nell’Ancona. Il fantasista magiaro inizia ad invecchiare, aumenta di peso e perde smalto e motivazioni. Prova a rilanciarlo il Genoa, caduto in serie B, ma sotto la Lanterna Detari non accende nessun’altra luce, trova il gol in una sola occasione delle 8 messe a sua disposizione. Il pubblico, già inferocito dai pessimi risultati della squadra, non lo ama, anzi inzia a fischiarlo e lui reagisce insultando tutto e tutti come suo solito. Dopo pochi mesi a Genova, lascia definitivamente l’Italia e chiude la carriera fra Svizzera ed Austria prima di tornare nel suo paese.

Oggi ci si chiede ancora perché un simile talento non sia riuscito a sfondare completamente. Chi lo ha visto giocare dal vivo conferma le doti tecniche impressionanti, la testa sempre alta, il tocco di palla sopraffino, i lanci precisi come orologi svizzeri, un tiro potente e pulito, una bellezza per gli occhi di chi ama il calcio. Eppure quel carattere irritante e sempre irritato, quella contestazione perenne verso chi gli faceva notare che con quei piedi avrebbe potuto e dovuto fare il 70% in più di quanto facesse. Del resto, se non fosse stato discontinuo e brontolone avrebbe giocato nel Real Madrid, ma se non fosse stato discontinuo e brontolone non sarebbe stato Lajos Detari.

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