Carta di Lampedusa, riparte dall’isola il sogno di un’Europa senza frontiere

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di Irene Salvi

Si è chiusa oggi un’intensa tre giorni di lavori per disegnare “una nuova geografia delle libertà”. L’incontro si è svolto – non avrebbe potuto essere altrove – a Lampedusa, nel mezzo di un Mediterraneo che non è mai sembrato così grande, e così ostile.

Partita da una campagna di Melting Pot Europa, l’iniziativa ha visto la partecipazione del variegato mondo di associazioni, movimenti e realtà sociali attive nell’area euro mediterranea, degli abitanti dell’isola e del sindaco Giusi Nicolini, uniti da un fine ambizioso: approvare in assemblea la Carta di Lampedusa, un documento elaborato in mesi di lavoro collettivo via web, che è al tempo stesso dichiarazione di intenti e punto di partenza per aprire un orizzonte nuovo in tema di libertà di movimento; a partire da una visione comune “che pone al centro l’essere umano, con la sua libertà di muoversi e abitare nel mondo”.

Un obiettivo raggiunto attraverso un dibattito pubblico (i lavori dell’assemblea si sono svolti in diretta streaming) e partecipato, lontano anni luce da quello impazzato sui media negli ultimi mesi. La sovraesposizione mediatica delle tragedie, dai naufragi alle condizioni disumane vissute dagli “ospiti” di CIE e CARA, non ha prodotto alcun risultato: oltre alle elaborate dichiarazioni di cordoglio di politici e rappresentanti di governo, e a gesti di solidarietà postuma che lasciano l’amaro in bocca – come quello di riconoscere la cittadinanza italiana onoraria alle vittime del naufragio dell’Isola dei Conigli a ottobre, in cui persero la vita 363 persone -, non c’è stato alcun cambiamento nel sistema delle politiche migratorie che quelle tragedie ha contribuito a determinare. Anzi, si è prodotta una pericolosa assuefazione di massa, l’abitudine alla convivenza con le immagini e con i numeri – enormi – delle morti legate alle migrazioni via mare.

Le realtà presenti sull’isola in questi giorni hanno ben chiaro l’abisso che esiste tra l’attuale sistema europeo delle politiche migratorie e le loro posizioni: “la Carta di Lampedusa non è una proposta di legge o una richiesta agli stati e ai governi […]; indipendentemente dal fatto che il diritto proclamato dalla Carta venga riconosciuto dalle attuali forme istituzionali, statali e/o sovrastatali, ci impegniamo, sottoscrivendola, ad affermarla e a metterla in atto ovunque nelle nostre pratiche di lotta politica, sociale e culturale”.

Si tratta di un documento che qualcuno riterrà visionario, quando include nel bagaglio inviolabile di tutte le persone il diritto alla resistenza e chiede “l’immediato riconoscimento di una cittadinanza europea basata sullo ius soli”; ancor più quando propone l’immediata abolizione dei sistemi Frontex ed Eurosur, deputati al controllo (militare) delle frontiere marittime dell’Unione. Ma che è soprattutto, si legge nel Preambolo, “il risultato di un processo costituente e di costruzione di un diritto dal basso”. E dal basso, secondo la Carta, si deve ripartire: promuovendo esperienze di “accoglienza diffusa, decentrata […] auto-gestionaria e auto-organizzata” per garantire concretamente il diritto di chi attraversa questo mare a essere ricevuto in uno spazio di solidarietà, così scardinando i meccanismi di criminalizzazione del migrante e gestione securitaria dei flussi che ancora oggi rendono impenetrabile la fortezza Europa.

Il prossimo obiettivo per i promotori è che il documento circoli e raggiunga un milione di sottoscrizioni. Il testo integrale della Carta di Lampedusa, approvato ieri, è già consultabile sul sito www.meltingpot.org.

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