Legge elettorale: quel miraggio mai avvicinanto dal Governo Monti

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di Martina Montoni 

La legge elettorale appare come il miraggio mai avvicinato dal governo Monti. A un anno di distanza dall’entrata in Parlamento dei tecnici, quando il porcellum sembrava essere in cima alla lista delle cose da fare, anzi, da cambiare, con tutta probabilità questo impegno verrà tradito. Il Capo dello Stato, qualche giorno fa, ha richiamato all’ordine tuonando: «Basta a questo interminabile braccio di ferro, al gioco degli equivoci dovuto al ripetuto alternarsi di opposti irrigidimenti sulla riforma elettorale». Ma tutti sembrano tacere e girare la testa dall’altra parte, malgrado non sia la prima volta che Napolitano si esprime proprio per esortare i partiti e spronare il governo a modificare la legge. Era luglio quando si rivolse in una lettera ai presidenti Schifani e Fini, ed anche in quel caso le parole non furono così accomodanti: «Stanno purtroppo trascorrendo le settimane senza che si concretizzi la presentazione alle Camere – da parte dei partiti che hanno da tempo annunciato di voler raggiungere in proposito un’intesa tra loro – di un progetto di legge sostitutivo di quella vigente per l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato». E non solo, tra ottobre e novembre il centro del dibattito politico era proprio incentrato su questo tema così pungente, tanto che alla Commissione Affari costituzionali del Senato gli stessi partiti si sono scontrati proprio su quali eventuali modifiche applicare.

Ma ora tutto è cambiato: con la crisi di governo annunciata pochi giorni fa ci sarà tempo solo per approvare la legge di stabilità e pochi altri provvedimenti, e dato che i partiti non sono riusciti a giungere a nessun accordo, quasi sicuramente la legge elettorale non sarà compresa tra questi.

In questo viavai di promesse mai mantenute, è ancora una volta il Pdl a giocare un ruolo fondamentale. Dopo la notizia della ricandidatura di Silvio Berlusconi, il partito ha garantito solo l’approvazione della legge di stabilità. I dubbi, a questo punto, sono molti: da un lato, il Pdl non considera tra le priorità dell’ultimo mese e mezzo di governo riprendere in mano la legge, dall’altro Berlusconi prima ha messo il veto sulla modifica, poi, qualche giorno fa a Milanello, ha auspicato che questa venga cambiata. E queste parole disorientano anche di più se si pensa che fu proprio lo stesso ex premier, il 4 ottobre del 2005, a volere fortemente il porcellum tanto da minacciare la caduta del governo nel caso in cui non fosse stato approvato. Lo stesso ideatore della legge, il leghista Calderoli, qualche giorno fa ha detto: «il maiale può dormire sonni tranquilli», sintetizzando con questa metafora il clima di incertezza in merito.

Per la terza volta quindi gli italiani si vedranno costretti a votare tramite un sistema elettorale che non permette loro di esprimere la propria preferenza sui candidati al Parlamento, con il rischio di ritrovarsi di nuovo tra i piedi un Fiorito, un Lusi, un Maruccio che nessuno ha votato, ma che il partito ha deciso di selezionare.

Le prospettive per le future elezioni non appaiono così diverse dalle ultime elezioni del 2008: se si tiene in considerazione anche il fatto che il premio di maggioranza per la Camera (55% dei seggi, 340 deputati) viene riconosciuto alla coalizione più votata e non al partito, con tutta probabilità i partiti politici inizieranno una “corsa all’alleanza” più spietata possibile per vedersi assicurata la vittoria. Si assisterà ad una compravendita di voti, promesse e lusinghe che caratterizzerà tutto il periodo della campagna elettorale, per poi ritrovarsi il giorno dopo le elezioni di nuovo con una maggioranza disomogenea, divisa negli obiettivi, scoordinata nelle prospettive e costretta a fronteggiare un’opposizione troppo debole per avere voce in capitolo.

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