“Solidarietà ai lavoratori della Cooperativa Rear”, Ken Loach rifiuta il premio del Torino Film Festival
di Fabio Grandinetti
«Come potrei non rispondere a una richiesta di solidarietà da parte di lavoratori che sono stati licenziati per essersi battuti per i propri diritti? Accettare il premio e limitarmi a qualche commento critico sarebbe un comportamento debole e ipocrita. Non possiamo dire una cosa sullo schermo e poi tradirla con le nostre azioni. Per questo motivo, seppure con grande tristezza, mi trovo costretto a rifiutare il premio». Così il regista Ken Loach ha chiuso la lettera indirizzata al Torino Film Festival con la quale annunciava il suo rifiuto. Una questione di coerenza, sembra affermare il cineasta britannico che larga parte della sua carriera ha dedicato proprio alla tematica dei lavoratori. La vicenda, ben più complessa di quanto in apparenza possa sembrare, è stata ben sintetizzata dallo stesso Ken Loach: «A Torino sono stati esternalizzati alla Cooperativa Rear i servizi di pulizia e sicurezza del Museo Nazionale del Cinema – ente che ospita il festival – Dopo un taglio degli stipendi i lavoratori hanno denunciato intimidazioni e maltrattamenti. Diverse persone sono state licenziate. I lavoratori più malpagati, quelli più vulnerabili, hanno quindi perso il posto di lavoro per essersi opposti a un taglio salariale […] Il fatto che ciò avvenga in tutta Europa non rende questa pratica accettabile […] Non è giusto che i più poveri debbano pagare il prezzo di una crisi economica di cui non sono responsabili».
Fin qui tutto chiaro. La condotta del regista sembra rispondere in pieno al concetto di coerenza. Ma la versione degli altri soggetti interessati complica notevolmente l’interpretazione di quanto accaduto. La presenza di Loach al festival, sebbene programmata e confermata da tempo, è saltata a pochi giorni dal via. Un brusco cambio di programma che per gli organizzatori dell’evento sa di smacco. La Stampa ha raccontato l’amarezza di Alberto Barbera, direttore del Museo Nazionale del Cinema: «Gli ho fornito personalmente tutti gli elementi per capire che stava prendendo una cantonata. Noi non c’entriamo nulla con le questioni salariali della Rear […] un conto è la coerenza con i propri ideali di difesa dei diritti dei lavoratori, un altro è buttare in pasto ai giornali una questione pretestuosa, alimentata da un sindacato di base con cui noi neppure abbiamo rapporti». Già, il sindacato. Era stata l’Usb (Unione sindacati di Base) a “richiedere” in una lettera la solidarietà del regista. La stessa lettera il sindacato l’aveva inviata ad un altro ospite d’onore del Festival, Ettore Scola, al quale verrà consegnato un premio alla carriera. È sempre La Stampa a riportare la posizione del grande regista italiano, anch’egli sensibile a simili tematiche sociali: «Mi è stato spiegato che la società di servizi è una ditta esterna al Museo del Cinema, non c’è motivo per boicottare il festival […] la scelta dell’Aventino è sempre un po’ aristocratica e di solito non aiuta a risolvere i problemi: i gesti simbolici non sempre sono efficaci […] Quando, nel ’68, non si era d’accordo con la gestione del Festival di Venezia noi autori non decidemmo di disertare anzi andammo tutti, in massa, e facemmo le giornate degli autori, non andare sarebbe stato sbagliato».
Due modi diversi di affrontare la stessa vicenda, questione di stile più che di coerenza. Il mondo della politica e dello spettacolo italiano si sono espressi in maniera quasi unanime sull’accaduto. Sempre sulle pagine del quotidiano torinese si leggono le posizioni del direttore del festival, Gianni Amelio, secondo cui il gesto di Loach è stato «narcisistico con una punta di megalomania», o quella del sindaco Piero Fassino, che avrebbe preferito «un atteggiamento come quello di Scola, che ha promesso solidarietà ai lavoratori, ma non per questo ha danneggiato con un’eventuale assenza il Torino Film Festival». Per il regista Daniele Segre, anch’egli tra i premiati, Loach «ha profondamente sbagliato, commettendo un errore politico e mancando di rispetto ad Amelio e al Festival».
Gratitudine e ammirazione da una parte, dai lavoratori e dal sindacato, aspre critiche dall’altra per un gesto che, è proprio il caso di dirlo, era nato per fare discutere.