Multiculturale ma poco integrata. La scuola italiana specchio delle tendenze globali.

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di Emiliana De Santis

In occasione della Giornata dell’Infanzia, l’Unicef ha presentato a Genova uno studio demografico che illustra i dati e le tendenze delle popolazione mondiale da qui al 2050. È stata questa l’occasione per una riflessione più ampia sulla costituzione delle classi italiane e sul fenomeno, da noi del tutto nuovo, delle seconde generazioni.

L’occasional paper dell’Unicef, realizzato in collaborazione con la Divisione Popolazione e Demografia delle Nazioni Unite e con gli uffici Statistica e Strategia, mette in luce un trend piuttosto importante: nel 2015 il globo sarà abitato da 8 miliardi di persone, nonostante il generale assestamento del tasso di natalità. Un nato su tre sarà africano così come lo saranno i due terzi della popolazione al di sotto dei 18 anni entro la metà del secolo: nell’arco di quattro decadi o poco meno assisteremo, infatti, non a un boom di nascite ma a un rapido e drastico cambiamento nella composizione della popolazione infantile. Un numero importante che evidenzia da un lato l’enorme potenziale economico e di sviluppo dell’Africa, favorito dalla positiva finestra demografica, dall’altro l’invecchiamento complessivo del resto del mondo, perfino in paesi come la Cina, dove il benessere economico e la politica del figlio unico stanno iniziando a tradurre i loro effetti sulla società. Questo significa che mentre a Nairobi, Harare e Città del Capo ci sarà il problema di come di come pianificare le risorse per la scolarizzazione e l’assistenza sanitaria della forza lavoro del futuro – stesso discorso a Brasilia, Quito e La Paz – il resto del mondo dovrà fronteggiare la situazione opposta, ossia la razionalizzazione delle risorse tra generazioni.

Il fenomeno, mutatis mutandis, centra in pieno l’Italia. Il miglioramento della speranza di vita è certo una buona notizia: viviamo più allungo e in maniera più soddisfacentemente. D’altro verso, la scarsa attenzione e conoscenza del fenomeno, unitamente all’assenza di programmazione di lungo periodo, stanno togliendo alla pur esigua fetta di giovani e forza lavoro potenziale, basi essenziali per il futuro. In particolare la scuola, bacino dello sviluppo, è un passo indietro rispetto alla situazione sociale reale. Nelle classi italiane ci sono 755.939 alunni stranieri, di cui il 44% nati in Italia da genitori stranieri ma non cittadini. In base alla legge sulla cittadinanza del 1992, infatti, questa si acquisisce automaticamente per ius sanguinis e non per ius solii. I nati in Italia da genitori stranieri, quindi, non ottengono automaticamente la cittadinanza alla maggiore età ma devono dimostrare una residenza ininterrotta nel nostro Paese insieme a una serie di altri requisiti. Non importa che, come dimostrano recenti ricerche, i ragazzi siano tra di loro ben integrati, conta piuttosto che la scuola e poi il mondo del lavoro, non diano a tutti le stesse possibilità. E, se si obietta che queste possibilità non ci siano nemmeno per i ragazzi italiani, si può altrettanto rispondere che un’adeguata politica di inclusione, accompagnata dalla liberazione di risorse intrappolate in strani equilibrismi politici e in un’acuta abulia produttiva, sarebbe coadiuvante e non negazione del rilancio economico che tutti aspettiamo.

Il ministro Profumo, ha parlato di una “ scuola più aperta e multietnica, capace di correlarsi al mondo”. Ora il mondo è nelle nostre classi, non sciupiamo questa opportunità.

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