Storia di un cinefilo rinnegato

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di Fabio Mazzilli

Quand’ero ragazzino avevo le idee molto chiare sul mio futuro. Cosa non comune, a pensarci bene. Volevo fare il regista cinematografico. A quell’età tutti sognano di fare o il cantante o l’attore o cose del genere. Ma il cinema era ai miei occhi la forma d’arte più completa e, sebbene adorassi Robert De Niro, di cui imitavo in continuazione gli sguardi e le smorfie, credevo che stare dietro la macchina da presa desse più possibilità espressive. L’attore cerca di studiare il personaggio, lo affina in base alla sua soggettività, ma il regista con i suoi film esprime una sua personale visione delle cose. Mi sembrava più “poetico”. Col tempo, ad affascinami maggiormente, fu la tecnica cinematografica – le inquadrature, i tagli, le dissolvenze, i movimenti di macchina. Insomma il cinema divenne la mia fonte di ispirazione.

All’epoca però avevo visto davvero poco. Conoscevo a memoria Nuovo cinema Paradiso, il film che mi ha insegnato ad avere passioni autentiche, ma non conoscevo affatto Kubrick o Brian De Paplma o Woody Allen, giusto per citare le mie ossessioni.

Ero troppo piccolo per usare internet e comunque non era diffuso quanto ora. Per scoprire autori usai la mia vecchia enciclopedia. Feci una ricerca sulla Utet su Giuseppe Tornatore, ma non c’era la sua voce. Di Nuovo cinema Paradiso amavo le musiche di Morricone, che pensavo fosse uno sconosciuto: sicuramente non c’era neanche la sua, pensai. Ma mi sbagliavo, e venni a sapere che il Maestro era uno dei musicisti più famosi al mondo. Aveva collaborato con Sergio Leone, che conoscevo solo di nome, ma non avevo visto nessuno dei suoi film. Allora mi segnai i titoli delle pellicole di cui Morricone aveva composto le musiche: Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Giù la testa, C’era una volta in America, Mission, Gli intoccabili…

Finalmente avevo qualcosa su cui concentrarmi: ogni giorno vedevo il televideo, sperando che uno di quei film fosse mandato in onda. Ma nulla… Non sapevo come fare: avevo sete di cinema, di film, di fotogrammi. Divenne una passione morbosa, a tratti quasi patologica. Andai alla videoteca vicino casa, ma le cassette che aveva erano davvero commerciali – lo capivo anch’io, cinematografaro dallo sguardo verginale – e quando glielo feci notare al tizio del negozio, con garbo e preoccupato di non ferire i suoi sentimenti – mi disse che erano comunque bei film. Nessuno poteva competere con Nuovo Cinema Paradiso, pensavo, e allora me ne andai, e lì dentro non ci tornai più.

Una mattina vidi sul televideo che, quella sera, sul tardi, trasmettevano Quei bravi ragazzi, che divenne col tempo una delle mie pellicole preferite. Tutt’ora, quando lo guardo, ne rimango affascinato quasi fosse la prima volta che ne apprezzo la genialità. Ma la prima volta che lo vidi, mi fece schifo, davvero. Troppo violento, troppe parolacce, troppo volgare. Col tempo però capii che la rappresentazione del male non ne è l’elogio, ma uno studio sociologico, diciamo così. E sebbene con la mia coscienza ancora pallida non volevo ammetterlo, i film di mafia, in cui c’è sempre qualcuno che viene ammazzato o pestato con violenza esagerata, sono stupendi. Passarono anni prima che apprezzai quel film. Scorsese, poco alla volta, divenne il mio punto di riferimento culturale. Riuscii a vedere tutti i suoi film: me ne innamorai. Si può vivere una esistenza cristiana in un mondo che, quella cultura, la ignora? Bella domanda: forse è questo il merito artistico più riconosciuto dalla critica in Martin Scorsese. Ma mi resi conto sin da subito che a differenza di altri autori che scoprii in quel periodo, c’era un’altra chiave di lettura che mi interessava di più. In quasi tutti i suoi film non esistono né buoni né cattivi. Anche i personaggi che apparentemente appartengono a una delle due macro-categorie, in realtà agiscono seguendo i propri impulsi e la propria emotività, segnata dai quartieri in cui sono cresciuti, dalla strade, da una New York irriconoscibile.

La mia maturità mi fece guardare con più distacco al cinema: ora riuscivo finalmente a capire i reali meriti di un film, senza ripetere come un pappagallo quello che sentivo dire sui giornali da questo o quel critico. Avevo capito una cosa fondamentale: i film bisogna amarli, farsene una propria idea ed esprimerla apertamente, senza alcun tipo di timore reverenziale. Fellini, per esempio, non mi è mai piaciuto, nonostante la critica mondiale lo consideri uno dei massimi registi della storia. Ma a me non importava. Può darsi che sbaglio, ma perlomeno ho una mia visione personale, ragiono con la mia testa, senza condizionamenti. Col tempo mi resi conto che Tornatore, a cui devo praticamente tutto, non era il maestro, non era il migliore – come credono i bambini innamoratisi del proprio maestro, che ai loro occhi curiosi e teneri paiono super uomini.

Un problema su cui vorrei soffermarmi adesso è questo: quando sognavo di fare il regista, e mi imposi di avere passioni da coltivare, non usavo internet. Oggi con la rete possiamo tranquillamente accedere alle informazioni che ci occorrono in quel momento particolare. Per chi ama il cinema, o per chi vuole farlo, non c’è posto migliore che il web: scaricare film, in tutta onestà, non lo considero così negativo, se si applica perlmeno un “ma”. Effettuare il download del film in sala, o scaricarlo ancor prima che esca nei cinema, è una fesseria: si vede male, di sicuro, e – cosa più importante – si fa un danno oggettivo a tutta una industria. Ma se volessi vedere Vicino al mare più azzurro, film sovietico degli anni ’30, onestamente non capisco perché considerarlo illegale. Sta di fatto che, illegale o no, tutti hanno il diritto di farsi una cultura, sia essa cinematografica, sia essa musicale, sia essa ciò che vi pare. La chiusura di Megavideo e Megaupload è per me un grosso errore: internet nasce per condividere e, sebbene si possa arrecare un danno oggettivo ai distributori, non vedo ragioni per cui si debba impedire il download di film irreperibili sui canali tradizionali. In altre parole se volessi vedere Gangster cerca moglie o Duello al sole, non potrei farlo: la TV non li trasmetterebbe mai, quindi ci si regola di conseguenza.

Gli anni sono passati e la maturità ha soppiantato l’impulsività: la linea che separa la tenacia dall’incoscienza è labile. Non voglio fare il regista. O meglio, voglio ma non posso. In Italia la cultura è un valore sbandierato da tutti – dagli intellettuali agli analfabeti – ma poi rimangono solo belle parole: Più peso alla cultura… Ho capito una cosa in tanti anni di cinema e libri: i film vanno amati. Spesso capita che i miei amici vadano al cinema in base a ciò che leggono del film sullo smarthpone, io ci vado per emozionarmi. Perché il cinema è emozione, storia, sentimento.

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