Parità di genere: intervista a Rosanna Oliva
di Sabrina Ferri
Cosa significa essere donna, nel Terzo Millennio, in un paese come l’Italia? Significa, forse, dare uno sguardo al passato e tornare sui propri passi con fierezza, consapevoli di quanta strada sia già stata fatta. Significa non essere più mero strumento di procreazione e oggetto di sottomissione, ma essere soggetto pensante, capace di muoversi in una fitta rete di diritti e di lottare con forza, determinazione, coraggio.
Oggi ogni donna dovrebbe essere una roccaforte di diritti inviolabili. Nessuna donna, invece, andrebbe lesa nella sua dignità. Eppure, in ogni angolo del mondo, chi è donna si ritrova il più delle volte ad annaspare in un mare di abusi, violenze e discriminazioni come se la sua condizione di donna fosse un errore. Ecco che allora parlare di pari opportunità e parità di genere diventa un’ovvietà, l’ultimo baluardo cui aggrapparsi per non lasciar sfumare quel principio secondo il quale tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge, senza distinzioni di sesso.
Rosanna Oliva, presidente dell’associazione “Rete per la Parità”, fu una delle tante donne “coraggio” che caparbiamente lottò per i diritti delle donne e che ancora oggi si batte per rendere concreto ed effettivo quanto sancito dall’art. 3 della Costituzione. Fu nel 1960 che riuscì a far rimuovere una legge risalente al 1919, che contrastava apertamente con gli articoli 3 e 51 della legge fondamentale dello Stato, e che le aveva impedito di accedere alla carriera prefettizia. La Corte Costituzionale emanò la celebre sentenza n. 33 con la quale sanciva l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che avessero creato discriminazioni di genere nell’accesso alle carriere pubbliche.
Da allora sono trascorsi oltre cinquant’anni, tanti i passi in avanti che sono stati fatti, tanti ancora quelli da compiere. Rosanna Oliva ci racconta quello che è stato fatto e quello che c’è ancora da fare in un mondo dove la donna fatica ancora ad affermarsi e dove è spesso costretta a scegliere tra il ruolo di lavoratrice e quello di madre. In un mondo dove l’immagine di donna resa dai media è sempre più un’immagine storpiata, ancorata all’estetica e ad un corpo che vuole essere mostrato ad ogni costo.
Si è tenuta lo scorso 25 novembre la dodicesima edizione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Perché oggi la donna è ancora vittima di abusi e violenze sia in ambito domestico che lavorativo?
In occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne di quest’anno, con un post pubblicato in prima battuta su www.aspettarestanca.wordpress.com, abbiamo denunciato che, in Italia, il taglio dei fondi ai centri di accoglienze, alle Forze dell’Ordine, al Welfare, la crisi economica dei Comuni, hanno aggravato il cosiddetto “femminicidio”, la piaga che provoca centinaia di vittime ogni anno nell’ambito famigliare.
E ancora poco si fa anche contro l’altro fenomeno che vede vittime le donne oggetto di tratta e di riduzione in schiavitù, nonostante sia stato denunciato con forza il 13 febbraio di quest’anno alla prima manifestazione di “Se non ora, quando?” a Roma, in Piazza del Popolo, da Suor Eugenia Bonetti al grido «le donne non sono merci».
Va sostenuto il rifinanziamento dei centri anti violenza e la valorizzazione dei consultori familiari pubblici, primo e indispensabile servizio per le donne che sono in difficoltà, così come occorre aumentare l’attenzione del Governo e del Parlamento sui temi della violenza alle donne: la legge sullo stalking, che costituisce già un primo risultato, deve essere seguita da una legge organica che consideri i tanti aspetti della violenza, come in altri paesi d’Europa.
La presenza di tre donne ministro in settori chiave quali Interno, Giustizia e Welfare ci fa ben sperare per un cambio deciso di direzione.
A 51 anni dalla celebre sentenza n. 33, cos’è cambiato nel rapporto donne-lavoro? Quali sono state le principali conquiste? Quali gli ostacoli che ancora non si è riusciti ad abbattere?
L’appartenenza delle donne a ruoli tradizionalmente maschili è sicuramente un cambiamento epocale nella società italiana, ma permane il fenomeno che ho definito, parafrasando il titolo di un noto romanzo, “la solitudine dei numeri uno”. Poche donne ai vertici, spesso costrette ad omologarsi per non farsi espellere o isolare.
Insieme con giovani donne e giovani uomini va costruita una maggiore consapevolezza sulla situazione attuale delle donne italiane: ci impegneremo per ridurre in Italia il gap di genere occupazionale, contributivo e rappresentativo nelle carriere e nelle professioni.
Vanno inoltre proposte modifiche alle regole (dalle leggi elettorali alle norme sul cognome dei figli e sui titoli delle cariche pubbliche), ideare nuovi strumenti di diffusione della cultura di genere, organizzare laboratori di sostegno alle scelte professionali e alle carriere.
Il nostro preciso impegno è fare in modo che la “Rete per la Parità” offra una possibilità in più per lavorare con maggiore incisività su questi ambiti a persone, associazioni ed enti che hanno aderito o aderiranno alla Rete per la Parità e per creare e sviluppare sinergie, senza antagonismi, anche con altre meritevoli associazioni e reti impegnate per la parità uomo-donna, in modo da dare maggiore forza ai gruppi di pressione impegnate sui vari obiettivi collegati alla parità.
Continueremo a lavorare per contribuire alla promozione del diritto di ogni persona, donna o uomo, a sviluppare al meglio, in ogni fase della sua vita, in ogni contesto privato o pubblico, le proprie potenzialità, anche a vantaggio della democrazia paritaria e della collettività.
Gender gap e parità di genere. Due termini inconciliabili?
Sono convinta che dal gender gap si possa e si debba passare alla parità di genere. So bene che i tempi sono lunghi: non sono bastati 63 anni dalla Costituzione, 51 dalla sentenza del 1960, e quelli trascorsi dopo le varie direttive europee, che in altri paesi hanno già prodotto effetti rilevanti. Lo abbiamo potuto approfondire a proposito di un tema che sembra limitato e che è stato oggetto del convegno a Cà Foscari il 19 settembre: quello del linguaggio, che in Italia non si è allineato alla realtà sociale politica, che vede le donne presenti da anni in settori e con incarichi in passato monopolio maschile e della mancata trasmissione del cognome ai figli in condizione di parità tra i coniugi.
Parliamo di politica. Severino, Cancellieri, Fornero. Tre donne ministro contro quindici uomini. Sarebbe stato meglio un “cinquanta e cinquanta”?
Sicuramente un Governo “50-50” sarebbe stato un grande segnale di vero rinnovamento. Lo abbiamo scritto l’11 novembre in una lettera al Presidente della Repubblica, prima ancora che formalizzasse l’incarico a Monti come “donne gentili e rivoluzionarie” riunite all’Aquila.
Abbiamo detto che un Governo paritario sarebbe stato un segnale importante di discontinuità e premessa perché tutte e tutti, di persona o attraverso le rappresentanti e i rappresentanti eletti, si impegnino a superare la difficile fase che il Paese attraversa.
A quella prima richiesta hanno fatto seguito altre, da parte di “Se non ora, quando?”, della Casa Internazionale delle Donne di Roma, della Rete Armida, di “Pari o Dispare” e della stessa “Rete per la Parità”, che se non hanno visto il risultato pieno hanno sicuramente evitato un Governo tutto di uomini come si andava profilando. Comunque sia, l’alta professionalità delle tre ministre e l’importanza degli incarichi loro affidati, in parte rimediano allo scarso numero.
“Rete per la Parità”, associazione della quale Lei è presidente, ha chiesto al Governo Monti tre leggi a costo zero in grado di incidere positivamente sulla situazione delle donne e sullo sviluppo economico del Paese. Quali sono queste tre leggi e perché “a costo zero”?
Legge a costo zero: “Mai più donne invisibili”.
Norme che eliminino l’anomalia mediatica che mina la nostra democrazia e diano visibilità alle donne vere, anche in occasione delle campagne elettorali (cosiddetta par condicio di genere) e impediscano immagini lesive della dignità delle donne. Obbligo per legge del doppio cognome alle figlie e ai figli (www.reteperlaparita.org/wp/?p=366).
Legge a costo zero: “Mai più italiane portatrici d’acqua”.
Col termine “Portatrici d’acqua” si allude alle donne presenti nelle liste al solo fine di portare voti ai candidati uomini. Si chiedono norme di garanzia di genere previste e legittimate dagli artt.51 e 117 della Costituzione italiana e dall’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, (Nizza – 2000). Misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato, applicate a qualsiasi sistema adottato nelle leggi elettorali nazionali, regionali, provinciali e comunali (si veda l’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria di “Noi Rete Donne” www.womenews.net/spip3/spip.php?article9356 ).
Legge a costo zero: “Mai più maternità e paternità penalizzate”.
Una legge che impedisca licenziamenti mascherati da dimissioni, come chiesto con le petizioni della “Rete per la Parità” presentate alla Camera il 30 giugno e al Senato il 6 luglio di quest’anno, che contengono anche le possibili soluzioni tecniche. Allo stato attuale, le lavoratrici e i lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato, e soprattutto le donne, vivono il ricatto dell’assunzione condizionata alla firma di una lettera di dimissioni con data in bianco. Questa delittuosa e diffusa pratica condanna al precariato anche chi ha un contratto a tempo indeterminato ed elimina ogni diritto della lavoratrice e del lavoratore, compresi quelli che tutelano la maternità e la paternità. (www.reteperlaparita.org/wp/?p=306)
Dalla “Rete per la Parità”, che riunisce 16 associazioni e 7 Università che operano a livello nazionale per la parità uomo-donna, è partita la richiesta di 3 Leggi a costo zero con una lettera al Presidente del Consiglio Mario Monti, al Presidente del Senato Renato Schifani, al Presidente della Camera Gianfranco Fini, alle Ministre del Lavoro, Welfare e Pari Opportunità Elsa Fornero, dell’Interno Anna Maria Cancellieri, della Giustizia Paola Severino ed al Ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda.
Queste tre leggi incidono positivamente sulla situazione delle donne e di conseguenza sullo sviluppo economico del nostro Paese, senza richiedere stanziamenti, ecco perché le abbiamo definite a costo zero. La nostra associazione dall’inizio si è concentrata su questi temi. Azioni positive che non pesano sul bilancio dello Stato, sono di veloce esecuzione e possono contribuire alla parità uomo-donna
Da dove partire e quali obiettivi porsi per raggiungere una demos effettivamente paritaria?
In questi tempi di crisi economica, di tagli ai bilanci pubblici e di sacrifici imposti alle cittadine e ai cittadini, abbiamo lanciato la proposta delle 3 leggi a costo zero per richiamare l’attenzione su iniziative legislative che giacciono in Parlamento e rischiano di essere dimenticate perché non implicano né risparmi né spese, mentre sono importanti per ridurre sia il gap di genere che caratterizza il nostro Paese, sia, con gli effetti indotti, il gap economico nei confronti dell’Europa.
Fonte foto: