Roma Tor Vergata: l’università baluardo di legalità contro la mafia

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di Eloisa De Felice

Le mafie in Italia. Un male intestino da Sud a Nord e viceversa. Organizzazioni che vanno contro l’organizzazione stessa dello Stato e i diritti-doveri che vi risiedono. Mina la libertà e la democrazia. Un cancro contro il quale non possiamo proprio nulla? Con la mafia non dobbiamo obbligatoriamente convivere. Occorre squarciare questo velo di Maya. È un fenomeno umano che può essere sconfitto. Per farlo, però, serve un forte mutamento di prospettiva culturale. Dobbiamo interrompere il suo carattere sistemico. Lavorare ognuno, minuziosamente e quotidianamente, porterà alla sua sconfitta e alla vittoria della legalità.

Il 25 novembre, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tor Vergata, nell’ambito delle iniziative per la “Giornata di riflessione sulla cultura dell’antimafia”, si è tenuto il dibattito “Università: luogo di diffusione dei saperi e della legalità”, un momento di riflessione sul ruolo attivo che l’università può svolgere in questa lotta. L’università quale luogo principe per la diffusione dei saperi e dei principi legati alla legalità, deputato alla formazione dei giovani rinnovatori del Mondo. Non è la prima volta  – e sempre con un nutrito numero di partecipanti che l’università di Roma Tor Vergata – ospita iniziative come questa. Ricordiamo, ad esempio, il ciclo d’incontri di cittadinanza attiva che sono in svolgimento anche presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dove la mafia viene raccontata e spiegata, non solo tramite le parole, ma anche con immagini, video e rappresentazioni teatrali. A tamburo battente, quindi, senza perdere neanche una occasione per approfondire il tema, in tutte le sue sfaccettature, perché ciò che si conosce non può e non deve fare paura.

Rendere il terreno fertile, quindi, per la democrazia e per la legalità, principio imprescindibile dello Stato italiano, ma allo stesso tempo estirpare con forza e in profondità ogni erba cattiva che la mafia semina, tramite, in primis, il diritto penale: baluardo di giustizia e legittimità, con le sue leggi. Come la 416-bis, in lotta all’associazionismo di tipo mafioso, tecnicamente illustrata dal prof. Enzo Musco, Ordinario di Diritto Penale, o la legge 109 del ’96 , per il riuso e riqualificazione dei beni sequestrati alla mafia, presentata da Serena Sorrentino, Segretaria Nazionale CGIL. Attraverso la forza delle regole, la gente può sentire effettivamente la forza dello Stato che si riappropria di ciò che gli compete di diritto. Fertilizzare il terreno, quindi, ma anche cercare di non far cadere nel vuoto altre opportunità, come l’applicazione severa dell’articolo 151 del Codice Penale che sancisce che l’amnistia può essere sottoposta a condizioni o a obblighi e che non si applica ai recidivi.

Ha sostenuto la Sorrentino: “Il diritto penale, però, da solo non può bastare. Servono più fattori e attori sociali per lottare insieme contro la mafia. E per farlo, proficuamente, devono allearsi e legarsi tra loro a doppio filo. Occorre investire sulle risorse umane, come i giovani, perché la mafia, oggi, sta tentando di fare il salto di qualità, arruolando sempre più gente esperta e di alto profilo. Si sta insinuando fra i cosiddetti  colletti bianchi”. E ciò si è visto anche – ha ricordato Antonio Turri, referente di LIBERA Lazio –  nei fatti che ci riporta la cronaca: ad esempio l’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose nel mercato ortofrutticolo di Fondi, a Latina.

L’associazionismo di stampo mafioso arriva ovunque. Può arrivare in un mercato importante, come quello del pontino, secondo in Europa per grandezza, poi in economia e in politica. Non occorre che una persona sia nata o residente in un posto piuttosto che in un altro per essere mafioso. La mafia, occorre dirlo, non è insolita all’uso di armi. Può agire per anni, indisturbata, senza essere minimamente contrastata dalla giustizia.

La storia e le storie, come quelle di Falcone e Borsellino, o quella di Peppino Impastato o di tanti altri piccoli e sconosciuti eroi civili che non pagano il pizzo o denunciano il malaffare, insegnano. Occorre farsicoraggio, guardare oltre! Oltre la propria persona e la propria stessa vita. Occorre non solo dire basta alle limitazioni della propria libertà, ma urlare basta fino a perdere la voce.

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