Partiti, ieri e oggi. Come ti censuro il dissenso sul web e in tv

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di Gaia Cocchi

“Guerre dentro non ne voglio più. Chi fa domande su domande e si pone problemi sulla democrazia del movimento va fuori”. Parole pronunciate da Grillo – in seguito all’espulsione dei consiglieri del M5S che ricordano molto da vicino un vero e proprio diktat, un editto “italiano” e non “bulgaro” in questo caso, ma pur sempre un editto. Così i due giovani politici sono andati a rimpolpare le fila – purtroppo mai scarne – di quelli che hanno sperimentato sulla propria pelle una vera e propria censura del dissenso.

Sono in buona compagnia quantomeno, dato che in Italia la repressione delle opinioni divergenti non è certo una pratica nuova al potere: mettere a tacere è spesso la sola parola d’ordine. La lista è lunga, dagli anni ’60 ad oggi ed i nomi non sono niente di meno che illustri: si va da Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi – colpevoli di aver parodiato l’allora presidente della repubblica Gronchi (1959) – a Dario Fo e Franca Rame – per aver azzardato uno sketch sul flagello delle morti bianche mentre infuriava una vertenza sindacale degli edili riguardante appunto le morti sul lavoro (1962); da Alighiero Noschese ed Enzo Tortora – il posto in Rai viene perso da entrambi, uno per la parodia dell’ex leader Dc Fanfani, l’altro per non aver saputo arginare le caricature del comico (1960) – fino ad arrivare ai casi più recenti, come quelli che hanno visto coinvolti Enzo Biagi, Daniele Luttazzi, Michele Santoro nonché Beppe Grillo stesso.

Allora è davvero molto probabile che un “padrone in redazione” (G. Bocca) ci sia e che sia proprio il potere politico. Se volessimo (e vogliamo) dar retta a quanto disse Joseph Pulitzer agli inizi del ‘900, e cioè che “un’opinione pubblica ben informata è la nostra corte suprema”, allora possiamo quasi considerare questo genere di comportamento censorio come un vero e proprio “attacco alla magistratura”, mirante a rendere i giudici sempre più confusi, costringendoli ad impegnarsi nel compito sempre più difficile di distinguere i fatti dai fattoidi.

Tale tendenza a mettere a tacere le voci pubbliche discordanti risulta però essere la diretta emanazione dell’atteggiamento repressivo che il potere impiega anche ed in primo luogo all’interno di se stesso. Gli interventi di Berlusconi per invitare i propri parlamentari a lasciare trasmissioni ritenute “scomode” non sono altro che i diretti discendenti delle impostazioni da sempre caratterizzanti alcuni impianti partitici italiani. Guardando infatti al “modello carismatico” (M. Weber) proposto nell’intero percorso politico del Cavaliere è molto facile tracciare una robusta linea di collegamento con il Psi di Bettino Craxi. La cancellazione immediata delle primarie seguita all’annuncio della sua candidatura a premier per il 2013, l’accentuata inclinazione al soffocamento del dissenso, la crisi in cui è precipitato il Pdl in seguito agli scandali personali nonché l’esaltazione della figura del leader sembrano rispecchiare quasi fedelmente il processo di personalizzazione politica a cui l’ex segretario socialista sottopose il proprio partito, legandolo interamente al suo stesso destino personale.

Sul versante opposto si collocano gli altri due grandi attori della Prima Repubblica, la Dc e il Pc. Quest’ultimo fu un esempio lampante di modello oligarchico, fondato su ciò che l’ortodossia marxista definiva “centralismo democratico”, dove di democratico si trovava ben poco: pur di preservare l’unità interna non c’era la minima esitazione ad ostracizzare chiunque avesse osato violarla.

Quanto c’è stato di effettivamente differente nel comportamento di Grillo nei confronti dei suoi giovani consiglieri? Infine sembra che l’estremo correntismo personalista – endemico nella storica Dc, sempre divisa in tanti pezzi quanti erano i feudatari che ne tenevano il controllo – abbia trovato ampio spazio anche nel Pd della Seconda Repubblica (come ha dimostrato il recente braccio di ferro tra Renzi e Bersani) nonostante la presenza dell’ormai logoro feticcio dell’unità ereditato dal passato. A quanto pare, neanche sessant’anni di repubblica sono riusciti a mitigare questa dannosa allergia al dissenso, sotto la quale per lo meno, tutti i partiti sono riusciti a trovarsi finalmente uniti.

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