Amarcord: il tragico destino di Mario Giacomi

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Molti hanno conosciuto la frazione di Verona chiamata Chievo per i fasti dell’omonima squadra gialloblu che all’inizio degli anni duemila riuscì nell’impresa di salire in serie A e sgomitare clamorosamente con le grandi del calcio italiano. In pochi, forse nessuno, sa che Chievo ha dato i natali ad un portiere, Mario Giacomi, la cui storia è triste, tragica e, per certi versi, clamorosa, come poche altre nella storia dello sport e della vita in generale.

Mario Giacomi nasce, per l’appunto, nella piccola frazione di Chievo in provincia di Verona, il 10 dicembre 1949 e di professione fa il portiere. Ha buone doti, non è un talento fuori dal comune, ma il suo impegno e la sua serietà bastano a convincere il Verona a tesserarlo, a scalare le gerarchie del settore giovanile e a divenire terzo portiere della compagine scaligera, dietro a due mostri sacri come Pizzaballa e Colombo. Un paio di prestiti nelle serie minori, sempre in Veneto (Legnago e Cerea), poi il ritorno a Verona e l’esordio in serie A nella sfida contro il Cagliari; è il 17 marzo 1974, in una stagione sfortunata per il Verona che retrocede in serie B, quella della svolta per Giacomi che è promosso titolare in vista del torneo cadetto nel quale colleziona 27 presenze contribuendo all’immediato ritorno dei gialloblu in serie A.

Ma il Verona, nel frattempo, ha acquistato Ginulfi che è titolare della squadra e Giacomi è la sua riserva. Certo, è un po’ seccato di dover fungere da dodicesimo dopo aver condotto la sua squadra alla promozione l’anno prima, ma ben presto le preoccupazioni per Giacomi arrivano da casa, perché il piccolo fratellino Antonio (che non ha nemmeno 18 anni) si è ammalato e, stando a quanto dicono i medici, ha poche speranze di guarigione. E così, Mario Giacomi si divide fra allenamenti, partite, spogliatoio e le corse a casa per sostenere quel fratello sfortunato e i genitori, praticamente inermi di fronte ad una situazione sempre più complicata. Nell’estate del 1976, intanto, l’allenatore del Verona Giancarlo Cadé si trasferisce al Pescara in serie B e chiama Giacomi ad alternarsi con l’altro portiere Piloni; Giacomi è riconoscente a quel tecnico che lo ha fatto esordire in serie A, così accetta il trasferimento in Abruzzo.

La carriera di Mario Giacomi può essere già ad un bivio decisivo: a quasi 27 anni, infatti, è il momento di prendersi una titolarità e non finire nel dimenticatoio degli eterni secondi. Ma non sarà neanche così, perché in una gelida giornata di inizio marzo, il portiere viene raggiunto dalla chiamata che mai avrebbe voluto ricevere: da Verona lo chiama la famiglia, il fratello Antonio si è aggravato, è necessaria la presenza di tutti al suo capezzale. Mario Giacomi lascia Pescara, forse nel viaggio verso il Veneto ripensa ai pranzi di famiglia, ai Natali, ai giochi tra quei fratelli che ora la vita sta per separare bruscamente. A Verona sta tornando anche l’altro fratello, Gianni, che è il più grande dei tre. Giunto a casa, Mario Giacomi apprende che Antonio è morto, non ha fatto in tempo a salutarlo, ha appena la possibilità di rendersi conto che la sua stanza è vuota e così resterà per sempre.

Il portiere chiama la sede del Pescara, chiede e naturalmente ottiene il permesso di rimanere a Verona per il funerale del fratello. La sera la famiglia Giacomi mangia assieme, in silenzio, perché attorno a quella tavola manca la gioia e la normalità per dire anche solo una parola. Poi, Mario e Gianni vanno a dormire nella stessa camera, chiudendo gli occhi pensano al loro fratellino e al saluto che gli dovranno dare il giorno dopo, una giornata durissima anche per sostenere i genitori. Mario e Gianni si addormentano la sera del 9 marzo 1977, qualche ora prima del funerale del loro sfortunato fratello. Non si sveglieranno più. La stufa che riscalda la stanza, infatti, è difettosa, lascia fuoriuscire monossido di carbonio che anestetizza e uccide i due fratelli nel sonno. Nessuno conosce o può immaginare il dolore della famiglia Giacomi la mattina dopo: i genitori perdono 3 figli a distanza di 24 ore, qualcuno in città neanche ci crede.

Andiamo al funerale di Antonio Giacomi“, dice qualche conoscente, senza minimamente immaginare che i funerali saranno tre. Quella di Mario Giacomi e dei suoi fratelli è una storia agghiacciante, una di quelle che dovrebbe far riflettere le persone che magari si sentono sfortunate se qualcuno inavvertitamente gli riga la fiancata della macchina. E in questa drammatica vicenda c’è forse un solo aspetto romantico: quei tre fratelli sono stati separati appena qualche ora, per poi ritrovarsi di nuovo tutti e tre insieme, magari in un altro mondo, in un’altra dimensione, in un altro spazio, ma insieme. Vogliamo pensarli così ancora oggi.

di Marco Milan

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