Amarcord: Juan Funes, cuore matto

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Essere costretti a smettere con il proprio sport è sempre un trauma per ogni atleta professionista che si rispetti e che fin da bambino sognava di praticare esattamente quella disciplina. Eppure, storie di infortuni o incidenti sono all’ordine del giorno, ma quella di Juan Funes è forse più triste e particolare di altre.

Juan Gilberto Funes Baldovino nasce in Argentina, a San Luis, l’8 marzo del 1963. La passione per il calcio è pressoché innata, così come le doti, sia quelle fisiche che quelle tecniche, perché Funes è alto e corpulento, ha nella potenza muscolare e nell’esplosività le sue doti principali, ma già in età giovanissima i suoi allenatori notano una personalità ed una leadership fuori dal comune. Insomma, le possibilità che questo centravanti possa sfondare nel grande calcio sono parecchie e molti in Argentina sono incuriositi da quanto si dica di lui, nonostante l’epoca non sia ancora quella di internet e dei social. Gli inizi sono con la maglia dell’Huracan nel 1981, per poi trasferirsi nel 1983 al Gimnasia di Mendoza dove gioca poco ma segna (2 reti in 5 partite il primo anno, 6 in 8 il secondo) e vince due campionati nazionali.

Nel 1984, Funes sceglie di cambiare paese e va a giocare in Colombia a Bogotà con la maglia dei Millonarios, club con cui mantiene un’ottima media gol, 45 reti in 94 presenze. Lo chiamano bufalo e i tifosi colombiani sono contenti che un altro argentino sfondi con la maglia dei Millonarios dopo Alfredo Di Stefano negli anni cinquanta. A Funes interessa poco l’illustre paragone, lui pensa solo a fare gol con quel sinistro al fulmicotone e quel carattere che conquista tutti, compagni, allenatori e pubblico. Trattenerlo in Colombia, però, appare presto impossibile: troppi in Sudamerica si stanno accorgendo di quel centravanti che segna tanto, ha tecnica e fisico, coraggio e personalità; così, nel 1986, si fa vivo il River Plate: Funes può tornare in patria e né lui né i Millonarios possono (e vogliono) dire no ad uno dei club più storici e blasonati del mondo.

Lo sbarco di Funes al River è una bomba e l’attaccante è subito protagonista del successo dei biancorossi nella Copa Libertadores, andando in rete nella finale contro l’America Cali sia all’andata che al ritorno. La festa che si scatena nella parte di Buenos Aires che tiene al River è entusiasmante ed i calciatori scendono in piazza a far baldoria con i tifosi, tutti tranne Funes che chiede ed ottiene dalla società il permesso di tornare a San Luis per festeggiare assieme alla famiglia. E’ particolare anche in questo il centravanti, determinato e cattivo in campo, riservato e semplice nel privato. Dopo il successo continentale con il River Plate, Funes viene convocato in nazionale nel 1987 ed esordisce in un’amichevole contro l’Italia disputata a Zurigo, anche se l’attaccante non è felice di non essere stato preso in considerazione dal commissario tecnico Bilardo per i mondiali del 1986, vinti proprio dall’Argentina in Messico.

Ma i cambiamenti per Funes non sono finiti e nel 1988 tenta l’avventura europea, andando a giocare in Grecia nell’Olympiakos Pireo con cui gioca metà della stagione 88-89 mettendo a segno 7 reti in 22 presenze, un bottino più che buono. Ma l’Europa non è il Sudamerica, i tifosi lo trattano come gli altri, lui non sente quell’affetto che avvertiva in Colombia e in Argentina, anche se non vuole terminare la sua esperienza europea dopo neanche un anno. Si fa avanti il Nizza che però non tessera l’argentino dopo le visite mediche: c’è qualcosa che non va al cuore, secondo i medici le condizioni cardiache del calciatore non sono delle migliori e gli sconsigliano addirittura di proseguire la carriera agonistica. Ma Funes non vuole saperne di smettere col calcio, torna in Argentina, parla con il Boca Juniors, si sottopone ad altri esami ed anche il club gialloblu si tira indietro, la situazione del cuore è seria, lo staff medico non se la sente di tesserarlo, cosa che invece fa il Velez Sarsfield.

Juan Funes gioca col Velez 25 partite e mette anche a segno 12 reti, poi è costretto a ritirarsi perché le sue condizioni peggiorano, gli sforzi lo mettono sempre più a rischio, oramai anche il suo medico di base gli intima di chiudere col calcio perché il pericolo di infarti ed arresti cardiaci si fa sempre più minaccioso. Il centravanti si arrende, chiude col calcio nel 1990 ad appena 27 anni per cause di forza maggiore, come accadrà a Marco Van Basten nel 1995 dopo due stagioni di inattività. Ma Funes non saprà mai dei guai alla caviglia del fuoriclasse olandese del Milan poiché l’11 gennaio del 1992, dopo aver aperto una scuola calcio ed aver fatto avanti e indietro con gli ospedali a causa dei suoi problemi cardiaci, muore a causa di un infarto nella sua casa di Buenos Aires. Ormai debilitato dal progredire della malattia al cuore e costretto a letto per intere giornate, riceve la visita di parecchi ex compagni ed amici, fra cui Diego Armando Maradona che lascia la casa in lacrime, distrutto dalle condizioni in cui versa quell’ex bomber.

Proprio l’indimenticato Diego parlerà di Juan Funes nella sua autobiografia (Yo soy el Diego) in cui scriverà: “Vedere quel gigante buono costretto a letto, debole e indifeso, era un’immagine tremenda, dolorosissima“. Un’investitura ed un ricordo struggente per un campione sfortunato, un goleador d’altri tempi che ha messo sempre il cuore davanti a tutto, ma che proprio da quel cuore è stato ingiustamente tradito.

di Marco Milan

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