Amarcord: l’ultima Juventus di Trapattoni

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Il nome di Giovanni Trapattoni è stato, è e rimarrà sempre legato alla Juventus, col ricordo di quei 10 anni consecutivi in panchina fra il 1976 ed il 1986 da cui derivarono 6 scudetti, una Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Coppa delle Coppe, una Coppa Uefa, una Supercoppa Europea e due Coppe Italia. Numeri da brividi che fanno passare, forse, in secondo piano la seconda avventura del Trap in bianconero, meno fortunata ma pur sempre storica.

Nella primavera del 1991 si capisce che l’esperimento juventino, voluto da Luca di Montezemolo, di portare sulla panchina bianconera Luigi Maifredi è stato un fallimento e, senza aspettare la fine del campionato, la società torinese si accorda con Giovanni Trapattoni che lascerà l’Inter e che accetta di tornare in Piemonte per aprire un nuovo ciclo dopo i trionfi degli anni ottanta. La Juve torna al passato, scrivono i giornali, la Giovin Signora si riscopre più vecchia ma con nuovi entusiasmi e Trapattoni viene accolto come il salvatore della patria, come colui che riporterà i bianconeri in lotta per il vertice dopo qualche campionato anonimo e lo scudetto lasciato a Napoli, Inter, Milan e Sampdoria. L’allenatore lombardo è chiaro col club: non sarà semplice, ma ci dobbiamo riuscire. Il primo anno, stagione 91-92, è interlocutorio, ma si capisce già che l’aria intorno alla Juventus è diversa: la squadra è più compatta, gira attorno all’estro e alla fantasia di Roberto Baggio, tallona il Milan di Capello dalla prima all’ultima giornata, pur con la consapevolezza di essere un gradino sotto lo squadrone rossonero che vincerà il campionato senza subire alcuna sconfitta, anche se i due scontri diretti terminano 1-1, segno che forse la Juve non è così inferiore. La stagione potrebbe comunque portare a Torino un trofeo, ma la formazione di Trapattoni perde la finale di Coppa Italia contro il Parma, nonostante l’1-0 dell’andata al Delle Alpi (rigore di Baggio), reso nullo dallo 0-2 subìto in Emilia nella gara di ritorno.

Pazienza, dicono nell’ambiente juventino, ci riproveremo l’anno prossimo. Nell’estate del 1992, poi, la società non bada a spese e strappa alla Sampdoria Gianluca Vialli, andando così a ricomporre alla Juventus la coppia d’attacco della Nazionale, formata dal centravanti e da Roberto Baggio, acclamato unanimemente come il miglior giocatore d’Europa. Eppure, nonostante le attese e le premesse, la Juve in campionato non ingrana e ben presto si accorge che contendere lo scudetto al Milan sarebbe una perdita di tempo perché la squadra di Capello ha a disposizione un organico di cui perfino le riserve sarebbero migliori dei titolari delle rivali. E così la Juventus si concentra sulle coppe: in Coppa Italia esce in semifinale dopo due pareggi col Torino, eliminata solo dalla regola dei gol in trasferta, mentre in Coppa Uefa il cammino è da schiacciasassi: i bianconeri fanno fuori nell’ordine i ciprioti dell’Anorthosis Famagosta (6-1 e 4-0), i greci del Panathinaikos (1-0 e 0-0), i cechi del Sigma Olomouc (2-1 e 5-0), poi trionfano ai quarti di finale contro il Benfica, rimontando al Delle Alpi la sconfitta per 2-1 incasata a Lisbona, disputando forse la più bella partita dell’anno con un 3-0 firmato da Kohler, Baggio e Ravanelli che porta la squadra di Trapattoni dritta in semifinale al cospetto del Paris Saint Germain che sarà eliminato da 3 gol di Roberto Baggio, 2 nel 2-1 dell’andata a Torino e quello con cui i bianconeri vincono 1-0 al Parco dei Principi conquistando così la finale contro il Borussia Dortmund.

Gli stenti e le delusioni del campionato sono spazzati via da una finale forse inattesa ma di sicuro meritata da una Juve formato europeo pressoché perfetta. I bianconeri sono i grandi favoriti anche se il Borussia è una signora squadra. Il 5 maggio 1993 la formazione italiana inizia in maniera pessima la finale d’andata, buscando subito un gol al 2′ da Michael Rumenigge, fratello minore dell’ex interista Karl-Heinz. Poco male, però, perché la Juventus è inarrestabile e già nel primo tempo prima Dino e poi Roberto Baggio capovolgono la situazione, quindi intorno alla mezz’ora della ripresa ecco l’1-3 ancora di Roberto Baggio che fissa il punteggio e consegna 3/4 di coppa alla Juve. Trapattoni non si fida in vista del ritorno, ma in cuor suo sa che farsi sfuggire il trofeo è impresa quasi impossibile; predica comunque calma, riproponendo il suo ormai proverbiale “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco“. Ma il sacco è ben legato e il nodo definitivo lo appone ancora Dino Baggio che dopo 5 minuti segna l’1-0, poi firma anche il raddoppio al 38′; la contesa è ormai finita, il sigillo lo mette un tedesco che fa gol ai suoi connazionali, Andreas Moller, in gol al 65′ per il 3-0 finale che consegna la Coppa Uefa alla Juventus, l’ultima della sua storia. E’ il 19 maggio 1993, Trapattoni è portato in trionfo, il suo ritorno a Torino non è stata una scelta negativa, ma ora manca l’ultimo passo, ovvero lo scudetto.

Nell’estate del 1993 la Juventus si rinforza ancora: dall’Atalanta ecco il venticinquenne difensore Sergio Porrini, dal Genoa il promettente terzino sinistro Andrea Fortunato e dal Padova il tornante Angelo Di Livio. Sembrano colpi di secondo piano, ma in realtà l’idea della Juve è quella di costruire un organico numericamente e qualitativamente di tutto rispetto, cementare e far crescere il gruppo; il Milan è fortissimo, competere sul mercato coi rossoneri è impossibile, ma si può contrastare il club di Berlusconi con l’astuzia: loro sono forti ma avanti con l’età, proviamo a costruire e vediamo quando infilarci nella lotta al vertice. Trapattoni approva, ma forse non è convinto della scelta al 100%. Più di una volta nell’arco della stagione dirà che la sua squadra è indietro rispetto ad altri (Milan su tutti) e che vorrebbe augurarsi che il progetto triennale sbandierato dalla famiglia Agnelli si riducesse drasticamente, anche perché la Juve non vince lo scudetto dal 1986, un’eternità in un ambiente come quello juventino per cui anche un secondo posto è sinonimo di fallimento. L’avvio dell’annata 93-94 è a dir poco altalenante: la Juventus esordisce con l’1-0 casalingo sulla Cremonese, poi perde in casa della Roma, batte la Sampdoria e pareggia a Foggia; in più, si fa clamorosamente eliminare ad ottobre dalla Coppa Italia per mano del Venezia che è nulla più di una squadra di metà classifica in serie B. Alla fine dello stesso mese, però, il 4-0 rifilato al Genoa (tripletta di Roberto Baggio che a dicembre sarà insignito del Pallone d’Oro) e la concomitante sconfitta del Milan in casa della Sampdoria, permette ai bianconeri di issarsi al comando della classifica proprio assieme ai blucerchiati.

Sembra l’inizio di una stagione felice, ma sarà solamente un fuoco di paglia. La Juve, infatti, gioca male e spesso si affida esclusivamente al talento di Baggio che è il leader tecnico e pure il capocannoniere della squadra, anche perché Vialli è ai box per la frattura del piede, rimediata dopo aver calciato male e fallito un calcio di rigore contro la Roma, e Ravanelli non è un bomber da 20 reti a campionato. Inoltre, la Juventus è alle prese con un rimpasto di governo che finirà col pesare anche sulle sorti della squadra: il club si sta riorganizzando, passando dalla gestione di Boniperti a quella del trio Bettega-Giraudo-Moggi che verrà ufficializzata verso il termine della stagione ma di cui si vocifera già da prima di Natale. E’ chiaro che la nuova Juve ripartirà anche da un nuovo allenatore che non sarà Trapattoni e che non sarà un vecchio senatore, tanto per rimanere nel gergo politico, ma sarà invece un tecnico più giovane, con idee nuove, entusiasmo e carisma. L’identikit porta al profilo di Marcello Lippi che sta conducendo un Napoli disastrato economicamente e dato da tutti per sicuro retrocesso, addirittura in Coppa Uefa dopo aver guidato ottimamente l’Atalanta nella stagione precedente. Il nome di Lippi circola sempre più forte nell’ambiente juventino, anche se la società, come al solito, è brava a mantenere riserbo sul futuro.

La stagione, intanto, va avanti, Trapattoni sembra non curarsi delle voci circa il suo avvenire, ma la squadra ha un vertiginoso calo: a fine novembre si fa rimontare a San Siro dall’Inter sul 2-2 al 90′, poi perde 3-1 in casa della Lazio e pareggia 4 partite su 5 all’inizio del girone di ritorno, col risultato che il Milan è ormai già scappato verso il terzo scudetto consecutivo. I bianconeri si fanno riprendere sul pari anche nel derby contro il Torino, poi vincono 3-1 a Bergamo e si preparano alla sfida col Milan in programma al Delle Alpi domenica 6 marzo 1994. Il discorso è semplice: vincere per cullare ancora qualche timida speranza tricolore. E’ forse quel giorno che nasce la Juve di Lippi, di Moggi e della nuova dirigenza, di sicuro è quel giorno che termina l’avventura juventina di Giovanni Trapattoni. La Juventus non gioca neanche male, ma appare evidente come ormai il Milan faccia del campionato italiano ciò che vuole: i rossoneri aspettano, giocherellano, sembrano quasi sbadigliare davanti alla foga bianconera che si conclude però col famoso fumo che sovrasta il poco arrosto. Al quarto d’ora della ripresa, poi, il Milan decide che è giunta l’ora di fare i bagagli: una zampata del centrocampista Eranio batte Peruzzi e consegna ai milanesi vittoria e una buona fetta di scudetto. Alla Juve resta ancora una volta l’amaro in bocca, oltre alla Coppa Uefa in cui i bianconeri sono ancora in corsa, nonché detentori del trofeo.

Ma il destino è beffardo anche in Europa. La Juve ha eliminato finora i russi della Lokomotiv Mosca, i norvegesi del Kongsvinger e gli spagnoli del Tenerife, ed ora si ritrova ai quarti di finale, opposta ai connazionali del Cagliari che sono la rivelazione del torneo. La squadra di Trapattoni è favoritissima, ma già nell’andata in Sardegna gioca male e perde meritatamente 1-0, rete del centravanti panamense Dely Valdes al 60′. E’ il 1 marzo 1994, pochi giorni dopo la Juve perde in casa col Milan in campionato e dice addio ai residui sogni scudetto, concentrando tutte le sue attenzioni sulla Coppa Uefa e sul ritorno col Cagliari, programmato per la sera del 15 marzo. La partita è avvincente, la Juventus segna dopo 23 minuti con Dino Baggio, ma il Cagliari pareggia al 33′ col difensore Firicano. I bianconeri attaccano, hanno bisogno di due reti per passare il turno, l’arbitro polacco Wojcik prova ad aiutarli concedendo un inesistente rigore che però Roberto Baggio calcia sul palo. Non è davvero la serata della Juve e Oliveira pochi minuti dopo mette la parola fine sulla stagione bianconera segnando l’1-2 che porta il Cagliari in semifinale ed elimina la Juventus da tutto. Trapattoni se ne va in silenzio, il pubblico, al contrario, tira fuori la voce e dà vita ad una delle contestazioni più fragorose della storia juventina con tanto di minacce verso i calciatori, accusati di avere poco carattere. In pochi vengono risparmiati: Dino e Roberto Baggio, Fabrizio Ravanelli ed il giovane Alessandro Del Piero, astro nascente della squadra.

A nulla serve il buon finale di campionato della Juventus che vince 5 delle ultime 8 partite conquistando il secondo posto finale a 3 punti dal Milan campione d’Italia, così come a nulla (o quasi) servono i 17 gol di Roberto Baggio, capocannoniere di una squadra poco bella e poco vincente, partita con tante aspettative e finita col deludere tifoseria e società, scossa anche dal caos societario e da una dirigenza che non ha saputo proteggere squadra ed allenatore, schiacciati dal peso delle attese e del blasone di un club orfano di scudetti da ben 8 anni. Non occorrono domande sul futuro per capire che Giovanni Trapattoni dirà addio alla Juventus; è tutto fin troppo chiaro da mesi, il tecnico stesso ormai da febbraio parla del futuro dei bianconeri come se fosse un osservatore esterno, inoltre nessun dirigente lo coinvolge sui progetti e sulle idee della campagna acquisti estiva. Ognuno attende la fine del campionato nel proprio silenzio, Gianni Agnelli rilascia un paio di dichiarazioni criptiche, una volta gli chiedono cosa manchi alla Juventus per lottare alla pari del Milan, l’Avvocato ci pensa qualche secondo, sembra che voglia rivelare qualcosa di scottante, invece si limita solamente ad affermare: “Mancano tante cose“. Sta per finire un’epoca, l’impressione si avverte non solo a Torino e dintorni, ma un po’ in tutta Italia.

Juventus-Udinese 1-0 del 1 maggio 1994 (rete di Gianluca Vialli) è la partita del commiato per Giovanni Trapattoni sulla panchina bianconera, ma anche il commiato della vecchia Juve di Boniperti, di una gestione aristocratica ed austera, più consona agli anni settanta e ottanta che al moderno calcio del duemila. Giovanni Trapattoni lascia Torino dopo tre anni, due secondi posti e una Coppa Uefa, forse poco rispetto alle ambizioni, tanto se si considera il momento storico. Come è andata dopo lo sanno tutti: i trionfi della Juve di Lippi e del trio Moggi-Giraudo-Bettega, il passaggio dalla vecchia alla nuova Signora, merito del nuovo staff e dei nuovi vertici, certo, ma forse anche del saggio Trap che a quella Juve vincente ha fatto un po’ da apripista.

di Marco Milan

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