Valentino Rossi, semplicemente il motociclismo

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E’ passato ormai qualche giorno dall’ultima gara della carriera di Valentino Rossi in MotoGP e quella domenica 14 novembre 2021 sarà per sempre una data che gli appassionati di sport non potranno dimenticare. L’eco non si è ancora smorzata e tutti hanno negli occhi quei giri del numero 46 nei quali ogni tifoso era diviso tra l’attesa di capire cosa sarebbe accaduto dopo e la consapevolezza che tutto stesse per finire.

Valentino Rossi ha detto addio al motociclismo a quasi 43 anni, perché era giunto il momento, perché uno come lui non poteva più arrancare dietro ai colleghi dopo 9 mondiali, 115 vittorie e 199 podi, perché, lo sapeva lui per primo, lasciar spazio ai giovani è una regola che dovrebbe valere per ogni mestiere e quello di motociclista professionista non fa eccezione. A dire il vero, domenica si è consumata una festa nel retro box della Yamaha Petronas, l’ultima scuderia di Rossi: prosecco a volontà, salti, balli, cori, risate, alla fine a piangere è rimasta solo la compagna di Valentino che a febbraio lo renderà pure papà per la prima volta, segno che l’eterno ragazzino impertinente è davvero diventato grande.

Dietro la festa rimane la malinconia dei ricordi: un ricordo, si sa, non deve essere un dolore, ma deve conservare anzi la gioia di ciò che ha regalato e che lo renderà indelebile per sempre. E oltre ai ricordi, Valentino Rossi porterà con sé nella sua seconda parte di vita la consapevolezza di non essere stato solo il più grande interprete del motociclismo, ma di essere stato il motociclismo stesso. E’ una dote che hanno in pochissimi, viene in mente Alberto Tomba per lo Sci o Michael Jordan per la Pallacanestro, vale a dire chi è riuscito a farsi apprezzare, amare e seguire da una larga fetta di pubblico che prima e dopo di lui non ha più seguito quello sport.

In quanti, se ci pensate bene, in questi 26 anni avete sentito dire: “Oggi pomeriggio seguo Valentino Rossi“. Certamente almeno gli stessi che dicevano: “Oggi guardo la MotoGP“. Rossi è entrato nelle case anche di chi non aveva passione per le moto e non ha né annoiato e né assuefatto nessuno quando vinceva a raffica, un po’ come poi accaduto a Marc Marquez o a Michael Schumacher e a Lewis Hamilton in Formula 1. Valentino Rossi ha avuto un talento eccezionale in pista che ha dimostrato in gare epocali come a Laguna Seca nel 2008 o come in Sudafrica nel primo gran premio del mondiale 2004 quando esordì sulla Yamaha dopo i 4 anni e i 3 titoli vinti alla Honda HRC, lasciata per confermare agli scettici che a vincere era lui e non la moto migliore.

Anche quella decisione ha sfondato i muri delle case degli appassionati: ma come, il miglior pilota del mondo guida la moto migliore e se ne va per appollaiarsi su una che non vince da anni? Davide Brivio, che nel 2004 era team principal della Yamaha, ha sempre ricordato che si fece ripetere più volte da Rossi se volesse davvero accettare quella sfida: “Ma vieni sul serio da noi? Non è che ci ripensi?“, gli ripeteva il manager, incredulo di fronte a quella possibilità. Valentino voleva dimostrare di contare più del mezzo meccanico, unico a riuscirci: ha vinto e stravinto, dominando 9 gare su 16 ed annichilendo il suo rivale storico, Max Biaggi, che pensava finalmente di riuscire a battere l’antipatico concorrente dopo avergli ereditato la Honda ufficiale.

Valentino Rossi è stato il motociclismo perché ha rivoluzionato quel mondo: se ne è fregato delle convenzioni, ha snobbato il numero 1 dopo aver conquistato i titoli, scegliendo di tenersi il suo fedele 46 che è diventato un’icona in tutto il mondo, come la faccia di Che Guevara o la linguaccia dei Rolling Stones; ha creato gag e siparietti dopo le vittorie: Biaggi usciva con Naomi Campbell, Rossi si portava una bambola gonfiabile in moto come irriverente risposta al rivale poco amato. E poi l’accademia: il pilota di Tavullia (paese nel quale ha continuato a vivere nonostante la notorietà e la fama) è stato forse l’unico sportivo al mondo che in piena attività ha creato una “scuola piloti“, formando gente come Bagnaia, Morbidelli e il fratellino Luca Marini, tutti ragazzi che oggi si fanno valere in MotoGP.

Ecco perché Valentino Rossi lascia un’eredità ma non lascia eredi nel motociclismo: credere che nascerà un altro come lui è più o meno fantascienza. Potranno nascere altri fenomeni, qualcuno capace persino di vincere più di lui (e in fondo Giacomo Agostini ed Angel Nieto hanno già conquistato più mondiali di Rossi), ma probabilmente nessun altro in grado di catalizzare quasi del tutto l’attenzione e l’affetto come ha fatto quel ragazzino partito dalla provincia di Pesaro nel 1996 ed arrivato al traguardo da uomo nel 2021. Oggi cala il sipario sulla carriera di Valentino Rossi e, ragionevolmente, anche su una parte del motociclismo.

di Marco Milan

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