Amarcord: Massimo Orlando, il grande predestinato

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Se chiediamo oggi ad un ragazzo giovane chi sia Roberto Baggio, probabilmente saprà benissimo quasi tutto dell’ex fuoriclasse di Fiorentina, Juventus e Milan, nonostante non lo abbia ammirato dal vivo. Provando a chiedere, invece, se il nome di Massimo Orlando gli dica qualcosa, probabilmente finirebbe col guardarci interrogativamente. Eppure, Massimo Orlando e Roberto Baggio hanno avuto tanto in comune, a partire dal talento, al punto che lo “sconosciuto” Orlando finì per essere etichettato come l’erede del campione di Caldogno, senza però avere il tempo per riuscirci.

Massimo Orlando nasce a San Donà di Piave (VE) il 26 maggio 1971 da una famiglia di origine tarantina e cresce a pane e pallone, ammirando le partite sulle prime televisioni a colori, quindi provando ad emulare i suoi beniamini nel cortile di casa o al campetto con i compagni di scuola. La passione si fa troppo forte e Orlando viene iscritto alla scuola calcio, dopodiché il suo talento viene notato da diversi osservatori e non sarebbe potuto essere diversamente: il ragazzino possiede grandi doti naturali, ha un sinistro vellutato ed una facilità di calcio impressionante, motivo per il quale, dopo gli esordi nella Libertas Ceggia e nel Fossalta Piave, viene prelevato dal settore giovanile del Conegliano, uno dei più completi in Veneto, e nel quale Orlando perfeziona schemi e competenze tattiche. A 16 anni, poi, l’esordio in prima squadra nel campionato Interregionale (l’attuale serie D) che diventa a tutti gli effetti il primo passo verso il grande calcio perché un talento simile non passa inosservato neanche se ha 16 anni e neanche se gioca in quinta serie e in mezzo alle nebbie del Triveneto collezionando appena una presenza, sufficiente però a convincere qualche club di categorie superiori ad andare sino a Conegliano a chiedere informazioni.

Il viaggio più lungo lo fanno gli osservatori della Reggina che dopo essersi sobbarcati 1200 km scoprono un calciatore in erba così bravo da giustificare anche un percorso così tortuoso per andare a scovarlo. Massimo Orlando spicca sugli altri, ha la stoffa del predestinato ed è impossibile nasconderlo, perfino i genitori degli altri ragazzi del Conegliano lo notano, forse lo invidiano perché è palesemente più bravo dei loro figli. La Reggina non ci pensa su due volte e gli fa firmare il primo contratto professionistico; è l’estate del 1988, gli amaranto sono stati appena promossi in serie B ed hanno un allenatore che si chiama Nevio Scala e che sta rifondando la squadra assieme al direttore sportivo. A Reggio Calabria sbarcano tanti giovani, il più talentuoso dei quali sembra proprio quel ragazzino veneto non altissimo, col ciuffo ribelle e il sorriso da copertina che piace molto alle ragazze. Scala plasma alla perfezione la sua giovanissima formazione che inizia a macinare gioco, risultati e punti; Orlando gioca, a volte commette naturali peccati di inesperienza, ma è fra i più bravi del torneo che la Reggina chiude al quarto posto assieme alla Cremonese andandosi a giocare a Pescara lo spareggio per centrare la sua prima, storica promozione in serie A. Sarà un pomeriggio sfortunatissimo, invece, per i calabresi, sconfitti dai lombardi dopo i calci di rigore in uno stadio Adriatico per 3/4 colorato di amaranto. La delusione è cocente, ma serve ad Orlando per capire in fretta il mondo dei grandi e per ripartire con ancora più fame.

Nel campionato successivo, con Scala finito a Parma a mettere in piedi un miracolo calcistico di rara bellezza, la Reggina chiude sesta, Orlando si afferma ancor di più e già da metà stagione ha gli occhi di mezza serie A addosso. Chi ci crede di più è la Juventus che in vista della stagione 1990-91 programma un grande rinnovamento e ringiovanimento, a partire dalla dirigenza con a capo Luca Cordero di Montezemolo e proseguendo con la panchina che verrà affidata all’emergente tecnico Luigi Maifredi. I bianconeri acquistano Massimo Orlando per una cifra altissima per un ragazzo di neanche vent’anni, ovvero 6 miliardi di lire, somma che ancora oggi a Reggio Calabria fa il giro della città con la leggenda che abbia contribuito a ristrutturare il centro di allenamento del club amaranto. Orlando è naturalmente al settimo cielo per l’approdo a Torino, anche se già durante il ritiro estivo inizia a dubitare del possibile spazio da potersi ritagliare in bianconero: la Juventus, infatti, ha nel frattempo acquistato anche Roberto Baggio, strappato alla Fiorentina per l’ira dei tifosi viola, inferociti con la famiglia Pontello che, ceduto il suo fantasista, vende anche la società ai Cecchi Gori. Logico che Baggio sia titolare inamovibile nella Juve e logico, di conseguenza, che per Orlando si spalanchino le porte della panchina, motivo per cui ad inizio ottobre la società juventina lo dà in prestito proprio alla Fiorentina per compensare in parte l’assenza di Baggio con la garanzia che l’ex reggino possa giocare con continuità in Toscana.

Neanche il tempo di indossare la maglia bianconera, dunque, che Massimo Orlando richiude le valigie e si trasferisce a Firenze in una città ancora scossa ed arrabbiata per la partenza del suo simbolo, ma che immediatamente si affeziona al nuovo arrivato che sin da subito si cala nella parte della mezzapunta protagonista, accaparrandosi spesso e volentieri anche la maglia numero 10. Il resto, poi, lo dimostra sul campo: Orlando ha davvero doti eccezionali, al punto che la tifoseria gigliata lo elegge a naturale erede di Baggio e ne inizia a chiedere a gran voce alla proprietà il riscatto in vista della stagione successiva. Il campionato 90-91, comunque, non è arrivato neanche alla metà e per l’ex fantasista della Reggina il meglio deve ancora venire: il primo gol in maglia viola e in serie A arriva l’11 novembre nel 2-2 casalingo contro il Genoa. Orlando segna all’85’ la rete del 2-1, sembra fatta per la Fiorentina, ma proprio al 90′ Skurhavy trova la zampata per il 2-2 finale. Ma il giovane veneto si è ormai preso la squadra sulle spalle e, vista l’anemia degli attaccanti, si assume pure la responsabilità di fungere da bomber. Il 2 dicembre 1990 si gioca Juventus-Fiorentina e sugli spalti ci sono almeno 5000 sostenitori viola; tutti gli occhi sono per il grande ex Baggio, ma ad aprire le danze è proprio Massimo Orlando che dopo 8 minuti gela il Delle Alpi girando in rete un cross dalla sinistra. Una soddisfazione enorme per chi, a conti fatti, è stato ripudiato dalla Juve ed ora l’ha colpita dimostrando di essere già maturo per il calcio dei grandi; peccato solo che la Fiorentina in quella stagione non sappia tenere un risultato neanche a pagarlo oro e che Angelo Alessio si travesta da Baggio siglando la doppietta che ribalta la partita a favore della Juventus.

Proprio una doppietta, all’ultima giornata del girone di andata, permette ad Orlando di entrare definitivamente nel cuore di Firenze: suoi, infatti, i due gol con cui i viola battono il Cesena all’Artemio Franchi, così come suo è il gol a Bergamo nonostante la sconfitta per 2-1. Massimo Orlando è ormai il punto di riferimento della Fiorentina, segna nel 4-0 rifilato al Pisa, nel 4-1 al Cagliari e nella sconfitta di Roma contro la Lazio in cui i viola passano ancora in vantaggio, salvo poi essere raggiunti e battuti. A fine stagione le reti sono 8 e Massimo Orlando è capocannoniere della squadra assieme a Diego Fuser, due centrocampisti, entrambi in prestito, uno dalla Juventus e l’altro dal Milan, destinati dunque a lasciare la Toscana a giugno. Ma mentre Fuser rientra a Milano come da accordi, la Fiorentina riscatta Orlando dalla Juventus per farne il simbolo della formazione viola. Dal campionato 1991-92 Firenze si aspetta l’esplosione definitiva del talento veneto, forse l’unico in grado di far dimenticare Roberto Baggio e la sua cessione burrascosa. Ma Cecchi Gori commette un errore di valutazione ed aggiunge alla trequarti della squadra Pietro Maiellaro, prelevato dal Bari, col risultato che il tecnico brasiliano Lazaroni inizia ad alternare l’ex barese ed Orlando, finendo col preferire il primo, frenando la crescita del secondo che andrà in rete solamente 3 volte (contro Bari, Lazio ed Atalanta) più una in Coppa Italia a Cesena. E’ il prologo ad una stagione maledetta per la Fiorentina, quella 92-93, che vedrà i viola partire a razzo grazie alla coppia gol Baiano-Batistuta ma che, dopo l’assurdo esonero di Radice e l’arrivo in panchina di Agroppi, retrocederà clamorosamente in serie B.

E’ una delusione troppo forte per Massimo Orlando che passa mesi a rimuginare su quell’annata senza riuscire a consolarsi neanche coi ricordi del campionato europeo under 21 vinto da protagonista e neanche dall’amore di Firenze che nel frattempo aveva coniato anche il coro “Orlando meglio di Baggio“. Intanto la Fiorentina ha un nuovo allenatore, Claudio Ranieri, che riporta immediatamente i toscani in serie A, ma che instaura con Orlando un rapporto tutt’altro che idilliaco, tanto che il fantasista medita l’addio. Inoltre, fonti vicine ad Arrigo Sacchi gli avevano comunicato che il commissario tecnico della Nazionale lo aveva tenuto d’occhio per tutta la stagione 1992-93 con l’idea di convocarlo per i mondiali americani del 1994, ma che la disgraziata retrocessione della Fiorentina lo aveva indotto a volgere lo sguardo verso Antonio Conte della Juventus per la stagione successiva, in quanto non se la sarebbe sentita di portare al campionato del mondo un calciatore reduce da un’annata di serie B. Un’altra tegola sul morale di Massimo Orlando che in poco più di un anno è passato dal poter diventare l’alter ego di Roberto Baggio a fare il comprimario alla Fiorentina, anche perché, problemi con Ranieri a parte, ecco anche qualche infortunio di troppo che ne mina la continuità. E così Orlando segna solamente 2 reti nell’anno della promozione (contro Vicenza e Fidelis Andria) in 19 presenze e nell’estate del 1994, anziché volare negli Stati Uniti con la Nazionale, se ne va a Milano, prestato al Milan.

I rossoneri sono campioni d’Italia e d’Europa in carica, la concorrenza a centrocampo e in attacco è foltissima, Fabio Capello non guarda in faccia nessuno e men che meno Massimo Orlando che si presenta a Milanello mezzo infortunato e che a causa di una guarigione lenta, tortuosa e complicata, salta in pratica l’intera stagione milanista, collezionando appena 2 presenze nelle ultime due giornate di campionato contro il Bari a San Siro e proprio nella sua Firenze, subentrando entrambe le volte a secondo tempo ampiamente iniziato e chiudendo l’anno con soli 37 minuti giocati. A metterci lo zampino, in senso negativo, è nuovamente Roberto Baggio perché nell’estate del 1995 il fuoriclasse vicentino passa dalla Juventus al Milan e per Orlando non c’è più spazio in rossonero, proprio come accaduto cinque anni prima a Torino. A venirgli in soccorso è di nuovo la Fiorentina che se lo riprende, nonostante i pessimi rapporti con Ranieri che ha ormai in Baiano e Batistuta i suoi gemelli del gol, in Rui Costa il suggeritore e in Anselmo Robbiati la riserva multiuso. Per Orlando, dunque, gli spazi sembrano ridotti, ma il fantasista veneto vuole provarci ancora, del resto il talento non l’ha certo perso per strada e allora perché non tentare di capovolgere le gerarchie della squadra? Ma il destino pare incaponirsi contro di lui, perché dopo un avvio sfavillante in cui perfino Ranieri sembra essersi ricreduto mandando in campo Orlando quasi sempre, sia dal primo minuto che da subentrato, con tanto di gol realizzato nella vittoriosa trasferta di Napoli, nel corso di Fiorentina-Bari del 29 ottobre 1995, l’ex milanista (partito dall’inizio) tenta un’innocua scivolata a centrocampo al 28′, una come se ne fanno a centinaia nel corso di una partita, ma il piede gli resta piantato nel terreno e il ginocchio si gira in maniera innaturale causandogli una grave distorsione. La stagione per lui è finita, mentre il calvario sembra appena iniziato.

Massimo Orlando, infatti, dopo l’inattività e il recupero avverte che qualcosa continua a non andare, il ginocchio non è lo stesso, lo sente diverso, meno stabile, gli fa male ad ogni movimento, ad ogni scatto e lui inizia ad avere paura nel lasciare la gamba nei contrasti, non riesce più a giocare con tranquillità. Nella stagione 1996-97 infila appena 16 apparizioni in campionato senza andare in gol, mentre un po’ meglio va nelle coppe: in Coppa delle Coppe realizza una rete contro i rumeni del Gloria Bistrita, in Coppa Italia una a Bologna. Ma a fargli male, oltre al ginocchio, sono anche le voci della città, perché a Firenze inizia a circolare la barzelletta che “all’Orlando non gli garba più di giocare“, anche allo stadio prende sempre più corpo la favola che il calciatore abbia esaurito le motivazioni e si trascini svogliatamente in campo. Orlando, semplicemente, ha un ginocchio che non riesce quasi più a muovere, ma nessuno sembra accorgersene, così nell’estate del 1997 lascia la Fiorentina e si trasferisce a titolo definitivo all’Atalanta dove trova un allenatore come Emiliano Mondonico che gli dà subito fiducia; l’anno sembra iniziare bene per Orlando che segna alla prima giornata nel 4-2 dei bergamaschi contro il Bologna, ma è un fuoco di paglia perché i guai al ginocchio non gli danno tregua e a fine campionato collezionerà appena 2 presenze mentre la squadra finisce in serie B. I nerazzurri non pongono veti al calciatore che resta a Bergamo anche fra i cadetti, ma le sue prestazioni sono ormai in calo verticale: 10 presenze e nessun gol nella stagione 98-99, addirittura zero in quella successiva con un solo gettone in Coppa Italia. A nemmeno trent’anni, la carriera di Massimo Orlando sembra volgere al termine e le ultime cartucce l’ex viola prova a spararle a Pistoia dove però si accorge subito che niente è più come prima, gioca una partita e poi decide nel 2001 di ritirarsi nonostante un altro anno di contratto a cui rinuncia con ammirevole dignità.

Una carriera chiusa nell’ombra dopo essere stato definito uno dei possibili fuoriclasse del calcio italiano, una stella che ha brillato ma che si è esaurita presto, forse anche per un carattere troppo estroso nei primi anni e un po’ dimesso alla fine, certamente per una serie di tormenti fisici che lo hanno debilitato proprio nel momento in cui la sua vita sportiva era sul punto di ricominciare. A Firenze lo amano ancora come il primo giorno, in ricordo di quel talento che in Toscana si è espresso a livelli che in pochi avevano mostrato da quelle parti, forse solo Giancarlo Antognoni e quel Roberto Baggio che per Massimo Orlando è probabilmente stata un’ombra troppo ingombrante che lo ha seguito per tutta la sua breve carriera.

di Marco Milan

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