Amarcord: Bruno Neri, il calciatore partigiano

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Esiste una foto, ormai sbiadita, ingiallita e piegata dal tempo, che è forse il simbolo sportivo di quell’Italia che ha provato a non sottomettersi al Regime Fascista, alle imposizioni posticce di un totalitarismo nazionale che tanti e troppi guai ha portato al paese. C’è una squadra di calcio schierata a centrocampo e rivolta verso la tribuna: 10 calciatori su 11 salutano il pubblico col braccio destro teso, uno solo ha le braccia verso il basso, è Bruno Neri, emblema calcistico dei partigiani italiani nella Seconda Guerra Mondiale.

Per capire e contestualizzare il periodo è necessario spiegare cosa fosse l’Italia negli anni 30-40 in relazione al calcio. Di calcio si parla già in Italia, eccome se ne parlano, forse non è ancora lo sport più popolare della nazione che si raduna e si appassiona alle gesta del ciclismo più che a quelle del pallone, anche se il paese festeggia la doppia vittoria della Nazionale ai mondiali del ’34 prima e del ’38 poi. E’ il periodo in cui il mondo del calcio scopre le gesta di Bruno Neri, terzino successivamente trasformato in mediano di spinta, nato a Faenza il 12 ottobre 1910 e debuttante fra i professionisti quando ha soltanto 16 anni nella squadra della sua città, prima di essere acquistato dal Livorno e, nel 1929, dalla Fiorentina che lo paga 10 mila lire (non poco per l’epoca), milita in serie B e progetta il salto in serie A. Neri assieme ai viola ottiene la promozione ed è uno dei protagonisti della squadra: corsa, sudore e grinta sono le caratteristiche di questo ragazzo che appare diverso dagli altri calciatori: lui legge, scrive, ama la poesia, visita spesso musei e mostre d’arte, si incontra sovente con poeti, scrittori, persino qualche attore con cui condivide la passione per le arti. Poi la domenica in campo si trasforma in un mastino, in un corridore instancabile che azzanna gli avversari e non li molla neanche per un secondo durante la partita.

Bruno Neri gioca con la Fiorentina per 7 stagioni collezionando 187 presenze ed una rete, ma entrando soprattutto nella storia d’Italia per quanto accade il 13 settembre 1931 in quello che oggi si chiama stadio Artemio Franchi a Firenze e che all’epoca era stato appena costruito, voluto fortemente dal Duce in persona e addirittura progettato a forma di D proprio in suo onore. Quel 13 settembre è in programma l’inaugurazione dell’impianto in un’amichevole tra la Fiorentina e la squadra austriaca dell’Admira Vienna; quasi 15 mila spettatori in un pomeriggio caldo nel capoluogo toscano, in tribuna diverse autorità del Regime Fascista, sul campo i 22 calciatori schierati sulla linea mediana per il consueto saluto. Gli 11 giocatori della Fiorentina sono rivolti verso gli spalti, 10 di loro tendono il braccio in onore del Fascismo, magari qualcuno lo fa pure di controvoglia, però lo fa. Uno di loro, tuttavia, resta fermo, le braccia lungo i fianchi, lo sguardo fiero di chi dice “io non mi presto“. Un gesto pericoloso e rischioso, certamente notato dagli stati generali del Regime, ma sul quale il governo preferisce soprassedere e che resta ancora oggi una delle fotografie principali dell’Italia che si ribella al sistema politico dell’epoca.

Neri, nel frattempo, si disimpegna alla grande sui campi di calcio dove sgomita e combatte in ogni partita, conquistandosi anche la convocazione in Nazionale da parte del commissario tecnico Pozzo quando il calciatore milita già nella Lucchese, ottima compagine di serie A, che lo ha acquistato nel 1936 dalla Fiorentina. Con la maglia azzurra, Neri disputa 3 partite: l’esordio a Milano il 25 ottobre 1936 nel successo dell’Italia sulla Svizzera per 4-2 nella Coppa Internazionale, l’amichevole vinta a Genova contro la Cecoslovacchia il 13 dicembre dello stesso anno per 2-0, infine Svizzera-Italia 2-2 del 31 ottobre 1937, ancora valida per la Coppa Internazionale. Le cronache parlano di un calciatore generoso, di un lottatore tenace e carismatico, forse dalla tecnica non sopraffina ma del quale in campo si sente costantemente la presenza. Neri si guadagna così l’ingaggio da parte del Torino che sta gettando le basi per diventare la squadra più forte d’Italia e con la quale il giocatore romagnolo chiude la carriera agonistica a trent’anni nel 1940 dopo tre stagioni in granata, 219 presenze e 2 reti in serie A. Bruno Neri gioca la sua ultima gara in massima serie il 26 marzo 1940 contro l’Ambrosiana Inter, esce dal campo come gli altri, non esistono ancora sostituzioni, standing ovation, programmi televisivi che celebrino le gesta dei calciatori.

Smessi i pani dell’atleta dopo una brevissima esperienza di allenatore alla guida del Faenza, Neri tenta l’avventura imprenditoriale, rileva un’officina meccanica grazie ai soldi messi da parte con l’attività di calciatore e, al contrario di molti suoi ex colleghi che si ritrovano a 30 anni senza un soldo, fa fruttare i suoi guadagni avviando un’attività che gli permetta di costruire un futuro agiato. La vita di Bruno Neri sembra bella e spensierata, completa, l’ex ragazzo prodigio del calcio, ormai uomo, è intelligente e con la testa sulle spalle, si è divertito ma ha anche faticato sui campi da gioco, ora dirige l’officina, dimostrandosi persona più che assennata, in barba a chi pensa che i calciatori siano tutti ignoranti e superficiali. Del resto, lui ha studiato, ha letto, ha una cultura diversa rispetto a molti suoi coetanei, ha messo in pratica ciò che ha letto sui libri, ciò che ha sentito da persone più grandi ed esperte di lui, capendo che i proventi del calcio sarebbero durati poco senza farli fruttare in altro modo. Ma proprio quando tutto sembra volgere per il meglio, ecco lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e l’ingresso dell’Italia nel conflitto. Bruno Neri, trentatreenne, già antifascista convinto durante il suo periodo da calciatore, anche al di là dell’episodio allo stadio di Firenze, si arruola nel 1943, imbraccia le armi e trasforma la sua storia da quella di un ex atleta ormai imprenditore a quella di un combattente.

Del resto, lui ha combattuto tanto in campo e con la stessa grinta e determinazione fa lo stesso con il fucile sotto il braccio. Terzino da calciatore, Bruno Neri ha ora un altro ruolo, è il comandante del Battaglione Ravenna nella Resistenza Partigiana. Porta il soprannome di Berni, è uno dei più apprezzati comandanti della Resistenza, ha idee e coraggio da vendere, ripete in continuazione che è arrivato il momento di liberare l’Italia dal Fascismo, costi quel che costi. Neri raccoglie informazioni nascoste, cerca in ogni modo di danneggiare il Regime grazie ai segreti scoperti che permettono alla Resistenza di giungere prima dei fascisti agli obiettivi. Nel 1944 torna perfino a giocare a calcio nel campionato Alta Italia con la maglia del Faenza, chiudendo così il cerchio e indossando per ultima la maglia della sua città natale con la quale aveva debuttato ad appena 16 anni. Il 10 luglio 1944 nei pressi di Marradi, vicino Firenze, Bruno Neri assieme all’amico Vittorio Bellenghi si sta recando a Gamogna dove sul monte Lavane c’è da recuperare un aviolancio degli Alleati. I due percorrono la strada e, come sbucati dal nulla, ecco 15 soldati tedeschi dietro di loro: Neri e Bellenghi, fucili spianati, intimano ai nazisti di fermarsi, li tengono sotto tiro, una sola mossa e apriranno il fuoco su di loro. Ma i tedeschi sono più svelti, in un attimo arretrano, si riparano dietro un parapetto ed iniziano a sparare all’impazzata sui due partigiani che inizialmente rispondono al fuoco, poi si rendono conto di essere in strada e senza ripari e battono in ritirata: troppo tardi perché vengono raggiunti da una scarica di pallottole che non lascia scampo a nessuno dei due.

La successiva testimonianza di un colono che, nascosto dietro una cascina aveva assistito al breve scontro a fuoco, dirà di aver avuto immediatamente l’impressione che i due partigiani fossero stati colpiti già all’inizio dai proiettili tedeschi, resistendo e rispondendo nonostante le ferite. Dirà anche che, seppur colpito alla testa ed ormai crollato a terra, Bruno Neri rotolando verso la morte avrebbe sparato ancora qualche colpo verso il nemico. E’ forse questa l’ultima immagine dell’ex calciatore: un estremo intervento difensivo per evitare il successo dell’avversario, costi quel che costi, che sia calcio o guerra. A Bruno Neri è oggi intitolato lo stadio cittadino di Faenza.

di Marco Milan

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