Amarcord: Brescia ’98, quando lottare non basta

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Una retrocessione è sempre dolorosa, che sia per squadre condannate o quasi già in partenza o per quelle formazioni che restano invischiate a sorpresa nella lotta e non riescono a risalire. Ma ce ne sono alcune che procurano rabbia e fastidio molto più delle altre, come accaduto al Brescia nel campionato 1997-98, sofferto e dall’epilogo bruciante.

Il Brescia che a maggio del 1997 festeggia il ritorno in serie A dopo due stagioni è una squadra solida e compatta, sapientemente guidata in panchina da Edoardo Reja, tecnico pratico e dal carattere forte, capace di risollevare una formazione che solamente un anno prima aveva rischiato la retrocessione in serie C, evitata solamente alla penultima giornata. Il presidente Corioni sceglie di non stravolgere l’organico dei lombardi, anche se a luglio cambia l’allenatore dopo una divergenza con Reja che viene rimpiazzato da Giuseppe Materazzi. Resta invece il blocco del gruppo che ha stravinto la serie B, arrivando primo grazie ad una lunghissima striscia di risultati utili consecutivi. Perni di quel Brescia sono il capitano Maurizio Neri, attaccante esterno e leader carismatico dello spogliatoio, i ruvidi corridori Luciano De Paola e i gemelli Antonio ed Emanuele Filippini, ma soprattutto la punta Dario Hubner, caterve di gol fra serie C e serie B, al debutto in A a 30 anni suonati. Nelle griglie di partenza del campionato 1997-98, gli esperti pronosticano un’annata di sofferenza per il Brescia che dovrà sudarsi la salvezza fino alla fine, col punto interrogativo che la stessa squadra (o quasi) che ha vinto la serie B non possa essere competitiva allo stesso modo anche in serie A, che Hubner, ad esempio, non sappia ripetersi in zona gol nel massimo campionato dopo aver fatto centro a valanga nelle serie minori.

Materazzi è però convinto che la sua squadra possa dire la sua grazie all’organizzazione tattica, alla grinta e alla determinazione che hanno contraddistinto la stagione precedente delle rondinelle. E in effetti all’esordio in campionato, il Brescia non sfigura affatto, anzi, mette paura più del dovuto alla nuova Inter di Simoni, candidata numero uno allo scudetto con l’acquisto di Ronaldo che ha fatto parlare dei nerazzurri per l’estate intera. Ma a San Siro, domenica 31 agosto 1997, il brasiliano appare in ombra e a rubare la scena è dapprima Dario Hubner che infila Pagliuca al 73′ realizzando il suo primo centro in serie A e portando avanti il Brescia, poi l’altro esordiente Alvaro Recoba, fantasista uruguaiano dell’Inter che grazie a due magie di sinistro ribalta la situazione in favore della squadra meneghina che vince 2-1 lasciando i bresciani con l’amaro in bocca ma con la sensazione di poter davvero lottare alla pari con tutti gli avversari. Alla seconda giornata, poi, ecco l’esordio casalingo della formazione di Materazzi che allo stadio Rigamonti ospita la Sampdoria; la gara è pirotecnica, una delle più divertenti del campionato: dopo appena 3 minuti il Brescia segna con Hubner, mentre all’inizio della ripresa i liguri trovano dapprima il pareggio col francese Boghossian, quindi il vantaggio con Montella, prima che Hubner trovi ancora il gol firmando il 2-2. Negli ultimi dieci minuti, infine, sono ancora i centravanti a fare da protagonisti, perchè Montella sigla la rete del 2-3 che sembra beffare ancora il Brescia, salvato però da un’altra zampata di Hubner che realizza così il 3-3 finale ed il suo quarto gol in due partite grazie ad una tripletta che sbatte il suo nome sulla prima pagina di tutti i giornali sportivi italiani.

Il Brescia dà l’impressione di poter recitare un ruolo migliore del condannato a morte che tutti avevano pronosticato in estate, anche perché non sembra peggio attrezzato delle rivali, col Lecce che non fa che perdere ed il Napoli che, rimpinzato di soli giovani e con una crisi economica della società che non permette particolari investimenti, è inchiodato sul fondo della classifica sin dalle prime battute del campionato. Dopo essere stato eliminato in Coppa Italia al primo turno dal Bari, il Brescia alla terza giornata esce con le ossa rotte dalla trasferta di Torino contro la Juventus (4-0), ma al quarto turno, il 28 settembre, trova il primo successo stagionale battendo in casa 2-0 il Piacenza grazie alle reti del veterano rumeno Sabau e del solito implacabile Hubner che in 4 giornate ha già messo a referto 5 reti, altro che bomber di categoria, il trentenne attaccante triestino la butta dentro senza distinzioni di sorta, fa gol di testa, di piede, calcia indifferentemente sia col destro che col sinistro, ed è normale che ci si chieda: ma perché ha esordito in serie A così tardi? Domenica 5 ottobre va in scena a Bergamo il sentitissimo derby con l’Atalanta che il Brescia ha bisogno di vincere per i tifosi e soprattutto per la classifica: la partita è nervosa e spigolosa, la risolve al quarto d’ora del secondo tempo Neri che manda in estasi il pubblico bresciano e getta in crisi un’Atalanta lontana parente di quella che solamente un anno prima era la rivelazione del campionato.

Sulle ali dell’entusiasmo del derby vinto, la squadra di Materazzi travolge 4-0 una settimana più tardi il Vicenza grazie alla doppietta di Neri, al solito gol di Hubner e al sigillo di un giovanissimo fantasista di cui a Brescia si dice un gran bene: Andrea Pirlo. Subito dopo, però, i lombardi vivono una crisi inspiegabile ma verticale: perdono tre gare di fila contro Lecce, Milan e soprattutto il rovescio casalingo con l’Udinese, uno 0-4 che mette a rischio la panchina del tecnico che si gioca tutto nella trasferta di Bari della decima giornata; se Materazzi tornerà senza punti dalla Puglia, il suo esonero sarà praticamente inevitabile. La sfida dello stadio San Nicola appare subito complicata per il Brescia, molto più contratto dei biancorossi che giocano con tranquillità e senza particolari patemi di classifica; il Bari va sul 2-0 grazie alle reti di Volpi, ex di turno, e dell’attaccante colombiano Guerrero. Il gol su rigore di Neri a 20 minuti dal termine regala un pizzico di suspense al finale, ma nessun punto ai lombardi che si ritrovano nelle ultime posizioni assieme a Lecce e Napoli e con un cambio di allenatore ormai prossimo. Materazzi non rilascia dichiarazioni di sorta, ma si capisce che il suo lavoro abbia ormai i minuti contati. Corioni ufficializza il licenziamento del tecnico e l’assunzione di Paolo Ferrario dalla squadra Primavera.

Ferrario, classe 1942, è un ex centravanti che negli anni sessanta giocava nel Milan ed era soprannominato Ciapina, nomignolo derivato da Ugo Ciappina, noto malavitoso, e che rimarcava la sua abilità nel realizzare gol di rapina in area di rigore. A lui il compito di risollevare un Brescia che dopo un confortante avvio è sprofondato in una preoccupante recessione; e la cura Ferrario sembra dar subito i suoi frutti perchè all’esordio in panchina il nuovo tecnico guida la sua squadra alla vittoria per 3-1 in casa contro l’Empoli, diretta concorrente per non retrocedere; è anche una partita storica per il calcio italiano che battezza il primo gol in serie A di un calciatore israeliano, Tal Banin, che firma il terzo ed ultimo gol dei lombardi. Prima di Natale, però, il Brescia conferma il periodo di estrema difficoltà perdendo in casa della Lazio e facendosi rimontare nei minuti di recupero sul pareggio dalla Roma, chiudendo l’anno in zona retrocessione e con parecchie lacune da colmare. L’inizio del 1998, però, non sembra portare nuova vitalità alla truppa bresciana: il 4 gennaio arriva la sconfitta di Bologna, l’11 quella in casa contro la Fiorentina, salvo poi trovare due vittorie consecutive, la prima 3-0 al San Paolo contro il derelitto Napoli ormai con un piede e mezzo in serie B, la seconda al Rigamonti contro il forte Parma, superato 2-1 per merito della doppietta del solito Hubner.

E’ un Brescia consapevole di dover battagliare per restare in serie A, più forte psicologicamente rispetto all’inizio di campionato e a cui poco dolore procurano le due sconfitte all’avvio del girone di ritorno, prima in casa contro l’Inter (0-1 firmato da Ronaldo nella ripresa) e poi a Genova contro la Sampdoria, vittoriosa solamente grazie ad un’autorete e ad un calcio di rigore. L’11 febbraio nel turno infrasettimanale giocato di mercoledì sera, il Brescia blocca sul pareggio la capolista Juventus: il difensore Savino riacciuffa il vantaggio bianconero di Filippo Inzaghi, poi Hubner reclama un calcio di rigore abbastanza netto ma non sanzionato dall’arbitro Bettin. Al pari contro la Juve fanno seguito quello casalingo a reti bianche contro il Piacenza e soprattutto il 2-2 nel derby di ritorno con l’Atalanta e che vede il Brescia avanti 2-0 grazie alla doppietta di Hubner e la rimonta atalantina in tre minuti fra il 70′ ed il 73′, punti che le rondinelle rimpiangeranno pesantemente. Il sofferto 3-2 contro il Lecce ormai quasi retrocesso porta la squadra di Ferrario a sperare dopo il doloroso ko di Vicenza con rete decisiva subìta all’85’, quindi il pareggio in casa contro un Milan in grande difficoltà ed acciuffato al 68′ grazie al primo centro in serie A di un altro bomber di categoria come Girolamo Bizzarri, infine l’1-1 al Rigamonti contro il Bari che genera altri rammarichi, anche perché il Brescia domina, segna e subisce il pari alla prima disattenzione difensiva.

La sconfitta di Empoli getta i bresciani nello sconforto: la lotta con gli stessi toscani, con l’Atalanta, con il Bari, con il Piacenza e con il Vicenza è serratissima, perdere gli scontri diretti può risultare determinante, così come non sfruttare i turni casalinghi. Nel periodo decisivo del campionato, il calendario non dà una mano al Brescia che prima se la vede con la Lazio terza in classifica (1-1 al Rigamonti), poi cade fragorosamente all’Olimpico contro la Roma 5-0, quindi cede in casa 3-1 al Bologna e 5-1 a Firenze in quelle che appaiono le sconfitte taglia gambe per i lombardi, costretti a far punti nelle ultime due giornate e a sperare nelle disgrazie altrui. Dopo il ko col Bologna, inoltre, Corioni e Ferrario capiscono che serve una svolta, anche se disperata: in panchina arriva la coppia Salvi-Bacconi, l’uno è un bresciano doc che ha sempre allenato nelle giovanili del club, l’altro è un giovane tattico toscano. Il 10 maggio 1998, nel penultimo turno, il Brescia è costretto a giocare a Cesena per la squalifica del suo stadio ed ospita il Napoli già retrocesso: la paura genera una brutta partita, il gol del napoletano Bellucci sveglia la squadra di casa che rimonta coi gol di Adani e Neri. C’è ancora una sottile speranza di salvezza in vista della 34.ma ed ultima giornata di campionato quando la squadra di Egidio Salvi andrà a Parma ed il Piacenza a Lecce.

La classifica dice che a 90 minuti dal termine il Vicenza e l’Empoli sono ormai salvi, Lecce e Napoli già retrocesse, mentre il Piacenza conserva 2 punti di vantaggio sul Brescia e 3 sull’Atalanta. L’impresa è ardua perché i bresciani dovranno espugnare il Tardini di Parma contro una squadra sì appagata dal quinto posto finale con qualificazione in Coppa Uefa già acquisita, ma pur sempre molto forte, sperando in un passo falso del Piacenza contro un Lecce già condannato da tempo e senza più motivazioni se non quella di non sfigurare e di programmare la stagione successiva. Il Brescia vive la settimana che conduce all’epilogo del campionato con evidente rabbia e frustrazione: la squadra sa che le proprie sorti non dipendono più da sé stessa e che l’annata ormai in conclusione ha rappresentato una sorta di enorme e costante occasione mancata per una compagine in grado di lottare, di sgomitare con le rivali ma di arrivare all’ultima giornata con una percentuale minima di conquistare la permanenza in serie A, condannata a vincere augurandosi le concomitanti disgrazie degli altri, non il massimo per una doppia partita che si giocherà in campo, alle radioline e sul filo dei nervi.

Il Brescia è seguito a Parma da migliaia di tifosi, ma il nervosismo sembra prendere il sopravvento: i padroni di casa vanno in vantaggio al 5′ con Dino Baggio ed i lombardi ci mettono una mezz’ora a riorganizzarsi, poi Bizzarri firma sia il pareggio che il vantaggio bresciano, il tutto proprio mentre il Piacenza sblocca la situazione a Lecce. Nella ripresa gli emiliani si portano sul 2-0 e anche la gara di Parma perde di sapore: il Brescia concluderà sul 3-1 grazie a Neri, il Piacenza segnerà ancora e subirà l’inutile rete della bandiera dei salentini. Doppio 1-3 finale che condanna alla retrocessione i lombardi e poco conforto a Brescia regala la concomitante caduta dell’Atalanta: sul pullman di ritorno sono tante le lacrime, le stesse iniziate al fischio finale da calciatori che speravano di poter agguantare la salvezza grazie ad un miracolo sportivo che quella 34.ma giornata del campionato il 16 maggio 1998 non si verifica. In molti si rammaricano pensando che forse con un calendario diverso le cose sarebbero potute cambiare o che forse con qualche punto in più nei periodi di maggiori difficoltà quella salvezza sarebbe potuta arrivare a scapito delle rivali.

Il senso che resta nell’ambiente bresciano è di frustrazione, delusione e grande ingiustizia, non perché la salvezza del Piacenza, dell’Empoli e del Vicenza sia stata disonesta, quanto perché l’orgoglio e la caparbietà del Brescia avrebbe meritato un destino migliore. I lombardi chiudono il campionato con 35 punti, uno solo in meno della zona salvezza, 9 vittorie, 2 in più del Piacenza, ma soprattutto con un centravanti come Dario Hubner in grado di realizzare ben 16 reti al suo primo anno in serie A. Non sono bastati, nulla è bastato in un’annata intensa ma sfortunata, rimasta comunque nel cuore dei bresciani, affezionati ad un gruppo di combattenti arrivati un soffio da una salvezza che forse avrebbero anche meritato.

di Marco Milan

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