Amarcord: Jùlio César, il lavamacchine del calcio

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Nascere in Brasile non deve essere facile per chi cresce col mito di diventare calciatore ma non possiede tecnica e talento come gli storici fuoriclasse carioca. E se poi nasci nella città dove è diventato grande Pelé, le difficoltà probabilmente aumentano. La storia di Jùlio César da Silva è un concentrato di sport, umiltà e luoghi comuni, stretta attorno ad un ragazzone alto, grosso, muscoloso e col mito del calcio del sangue.

Jùlio César da Silva nasce a Bauru, nello stato di San Paolo, l’8 marzo 1963, crescendo con la passione per il calcio come un po’ tutti i ragazzini brasiliani, innamorati del pallone sulla spiaggia o per la strada, affascinati dalle leggende del grande Brasile. Nel 1970 la nazionale verdeoro dei 4 fantasisti Pelé, Rivelino, Tostao e Jairzinho, vince i mondiali in Messico e ragazzi come Jùlio César che all’epoca non hanno nemmeno 10 anni restano affascinati da quel pallone che rotola e sognano un giorno di imitare i campioni che riescono di sfuggita a vedere in quelle poche televisioni di cui qualche famiglia dispone. L’infanzia e l’adolescenza di Jùlio César, però, non si sviluppano sui campi di calcio, se non qualche volta in giardini e campetti amatoriali: a casa non si naviga nell’oro ed il ragazzo inizia a lavorare molto presto. Bussa alle porte dei negozi e si propone per qualsiasi mestiere: “Posso essere utile in qualche modo?”, chiede con umiltà, iniziando a guadagnarsi qualcosa facendo il lustrascarpe, il rivenditore di orologi, quindi il manovale ed infine il lavamacchine, ottenendo un impiego quasi ufficiale che sembra poter diventare il suo mestiere prima che il calcio entri definitivamente nella sua vita.

Grazie ai pochi soldi guadagnati, infatti, Jùlio César può permettersi qualche maglietta sportiva e soprattutto gli scarpini coi tacchetti che gli consentono di allenarsi un paio di volte a settimana con le giovanili della squadra cittadina del Noroeste. Il ragazzo mette quasi paura a compagni ed avversari: alto, robusto e con i muscoli d’acciaio, resiste a qualsiasi sforzo perchè le sue fasce muscolari sono tirate e potenziate dai lavori manuali svolti, dai pesi sollevati non in palestra ma nei cantieri sotto il sole. Lo nota il Guaranì, club con sede a Campinas, da dove Jùlio César da Silva nel 1979 a 16 anni inizia la sua carriera da calciatore vero. Schierato come stopper, il ragazzo mostra ottime doti di impostazione, senso della posizione ed una possanza fisica impressionante che gli permette di vincere praticamente tutti i contrasti. L’intelligenza tattica che acquisisce, inoltre, gli consente di compensare una certa lentezza nel rincorrere gli avversari, motivo per cui spesso gli viene fatto ricoprire il ruolo di libero. Nel 1982 debutta nel campionato brasiliano destando un’ottima impressione e venendo notato anche dai responsabili delle nazionali, soprattutto quando si capisce che il ragazzo è bravo, disciplinato e possiede tutte le doti per diventare un calciatore vero.

Jùlio César è umile ma molto ambizioso, nella linea difensiva del Guaranì è quasi sempre il migliore, abbina doti fisiche al senso della posizione, mette ordine e diventa anche pericoloso in attacco grazie ad un tiro potente dalla distanza che affina col passare del tempo, acquistando anche dimestichezza nel calciare le punizioni. La svolta arriva nel 1984 quando viene convocato per la prima volta in nazionale nella gara contro il Paraguay del 19 gennaio. Le ottime prestazioni e l’unicità delle sue caratteristiche in Brasile, convincono poi due anni più tardi il commissario tecnico Telé Santana a portarlo ai mondiali messicani e schierandolo come difensore centrale titolare al fianco di Edinho. Jùlio César gioca 5 gare in un campionato del mondo sfortunato per i brasiliani, fermati ai quarti di finale dalla Francia che prevale ai calci di rigore proprio a causa dell’errore del difensore carioca che prende il palo. Jùlio César si consolerà parzialmente col titolo di miglior difensore del torneo che a 23 anni gli vale la chiamata dall’Europa e proprio da quella Francia che è rimasta indigesta a tutto il Brasile; lo acquista il Brest dove passa una stagione, condita da 32 presenze ed un gol, quindi si trasferisce ai connazionali del Montpellier, squadra che da neopromossa acciuffa il terzo posto in classifica e due anni più tardi vince anche la coppa nazionale.

Scartato dalle convocazioni per Italia ’90, Jùlio César avrà modo ugualmente di giocare proprio negli stadi dei mondiali perchè in quella stessa estate la Juventus lo strappa al Montpellier per 850 milioni di lire. Al nuovo tecnico juventino Maifredi serve un difensore robusto ma che sappia toccare bene il pallone, vuole trasformare la vecchia Juve di Trapattoni e Zoff da difensivista a spettacolare, vuole divertire col tandem d’attacco della Nazionale Baggio-Schillaci, ma allo stesso tempo ha bisogno di difensori solidi e prestanti che non scoprano la retroguardia. Jùlio César è schierato in coppia con Gianluca Luppi, uno dei fedelissimi di Maifredi, arrivato da Bologna assieme all’allenatore. Il brasiliano fa il suo esordio in serie A alla prima giornata, il 9 settembre 1990, nel successo dei bianconeri a Parma per 2-1; il suo inserimento in Italia è buono, anche se la Juventus vive di alti e bassi, il gioco fantasioso promesso da Maifredi non si vedrà mai, anzi, la squadra perderà posizioni in campionato fino a scivolare fuori anche dalla zona Uefa, rimanendo esclusa dalle competizioni europee dopo 28 anni. Jùlio César sarà uno dei migliori nell’annata stregata della Juve, mostrando qualità e quantità, impressionando allenatore, compagni e dirigenti per lo strapotere fisico; un preparatore atletico dirà: “Mai viste cosce così dure, sono di marmo”. Merito dei mestieri pesanti svolti in adolescenza, di quei sacrifici che hanno tonificato e rinforzato l’estensione muscolare di un calciatore che si rivela ottimo anche per la serie A.

Quando Jùlio César è assente la Juventus affonda, è il caso della sconfitta in casa del Milan il 30 dicembre quando Ancelotti e Gullit fanno il bello e il cattivo tempo nella rabberciata e fragile difesa bianconera. Una settimana dopo, invece, il brasiliano mostra le sue doti podistiche e di resistenza partendo in progressione dalla sua metà campo e costringendo il portiere del Napoli Giovanni Galli a fermarlo con le cattive maniere venendo espulso. Alla prima di ritorno, poi, il difensore juventino realizza il suo primo gol italiano nel 5-0 rifilato al Parma e segnando la rete del vantaggio grazie ad un missile su punizione che lascia di sasso il connazionale Taffarel. Segnerà anche due reti in Coppa delle Coppe, una contro i bulgari dello Sliven e l’altra contro i belgi del Royal Liegi, mentre l’avventura bianconera in Europa si concluderà in semifinale contro il Barcellona. A fine anno Maifredi viene esonerato e a Torino torna Giovanni Trapattoni che mette immediatamente in chiaro due aspetti: per prima cosa la Juve tornerà ad essere una squadra più solida, alla costante ricerca del risultato e non dello spettacolo, e poi Jùlio César sarà il perno della difesa a cui si è aggiunto il tedesco Jurgen Kohler.

Nel campionato 1991-92 la Juventus sarà la rivale più accreditata del nuovo Milan di Fabio Capello che chiuderà il campionato al primo posto e senza sconfitte. Jùlio César fornisce prestazioni positive, è attento e maggiormente protetto dalla squadra rispetto a quanto accadeva con Maifredi quando la difesa era costretta spesso e volentieri agli straordinari. Il brasiliano sarà uno dei più presenti (33 presenze su 34) e segnerà una rete, ancora su punizione, il 15 marzo nel 2-0 della Juventus a Cremona, oltre ad una in Coppa Italia contro l’Atalanta. Confermato dal club torinese anche per la stagione successiva, l’ex Montpellier è uno dei pilastri della squadra che trionferà in Coppa Uefa nella doppia finale vinta contro il Borussia Dortmund e che annovera tra le sue fila anche un altro ex “faticatore” come Moreno Torricelli, calciatore dilettante nei ritagli di tempo e falegname di mestiere, scoperto da Trapattoni durante un’amichevole che folgora il tecnico bianconero a tal punto dal volere il difensore con sé. La rottura della tibia il 4 ottobre 1992 durante una gara contro il Napoli, priverà la Juventus di Jùlio César per qualche mese, ma in primavera il brasiliano tornerà fresco e determinato, fornendo un contributo decisivo nel successo della squadra in Europa e ritrovando anche il gol in campionato decidendo la sfida di Ancona a 10 minuti dalla fine.

L’ultima stagione del brasiliano in Italia coincide anche con l’ultima di Giovanni Trapattoni sulla panchina della Juventus. Il campionato 1993-94 vedrà i bianconeri chiudere al secondo posto dietro all’inarrivabile Milan (giunto al terzo scudetto consecutivo) e costringerà la dirigenza juventina ad optare per un cambiamento radicale nell’estate successiva. Jùlio César fornirà come sempre prestazioni solide e di livello nelle occasioni in cui verrà schierato, poche in realtà rispetto al passato; a 31 anni il brasiliano capisce che il suo ciclo italiano è ormai agli sgoccioli, gioca la sua ultima gara in serie A il 1 maggio 1994 (Juventus-Udinese 1-0), quindi se ne va da Torino in silenzio, proprio come era arrivato 4 anni prima, accordandosi con il Borussia Dortmund con cui vivrà altre 4 stagioni di gloria vincendo due titoli tedeschi e soprattutto la Coppa dei Campioni nel 1997 proprio contro la Juventus, senza però giocare la finale. Dopo un breve ritorno in Brasile al Botafogo, Jùlio César chiuderà la carriera prima in Grecia, poi di nuovo in Germania al Werder Brema, infine in patria nel Rio Branco quando si ritirerà nel 2001 a 38 anni.

Calciatore silenzioso, libero o stopper a tratti elegante, certamente potente e con un tiro poderoso, merito di allenamenti giovanili di certificata fatica. Alla Juventus lo ricordano con affetto per impegno e dedizione, per quel suo essere schivo e riservato, in contrapposizione con la proverbiale giovialità brasiliana. Atipico in tutti i sensi: silenzioso e cresciuto a pane e lavoro, forse per questo apprezzato e stimato da compagni, allenatori e tifosi, 1 metro e 85 per 80 kg di muscoli sani ed allenati con tanti e faticosi sacrifici. Per tutti, Jùlio César rimarrà il lavamacchine del calcio, epiteto che probabilmente è sempre piaciuto anche a lui, atleta serio e uomo semplice.

di Marco Milan

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